Vo­ci nel­lo spa­zio

Per raggiungere l’ufficio di Eloisa Vacchini si attraversa il ronzio caotico della rotonda di piazza Castello a Locarno, si ferma la macchina in un parcheggio su cui si leva, sospeso, il parallelepipedo in cemento e vetro dello studio, realizzato da suo padre, Livio Vacchini, negli anni Ottanta. Si fanno le scale e si arriva al cartello canonico: «suonare e entrare».

Data di pubblicazione
09-04-2018
Revision
09-04-2018

Abbassata la maniglia, ci si trova in un ambiente che si protende senza sostegni – e sconfinando ai bordi nell’esterno grazie alle pareti vetrate – fino alla porta in fondo, in una tensione rafforzata dalla fuga in alto del doppio spazio. Al senso di sacralità che incute il solenne alternarsi di cemento e vetro fa da contrappunto ironico un pavimento di sfavillante plastica verde.

Anche Eloisa Vacchini è in verde nel far strada verso l’ufficio che è stato di suo padre, dove quadri e fotografie si arrampicano sulle pareti di cemento a doppia altezza. Il verde, spiega, è il colore vestito dai contralti del coro Goccia di Voci, dove canta dal 2009 sotto la direzione di Oskar Boldre; esperienza che l’ha portata a sviluppare il progetto raccontato dai piani, dai rendering e dai due modellini distribuiti sul tavolo a cui prende posto. «Questo terreno» spiega indicando il parcheggio fuori dalla finestra «è della mia famiglia e comprende l’edificio in cui ci troviamo. Mio papà diceva sempre: “Qui si potrebbe fare un investimento interessante, perché negli anni siamo diventati centro città”. Ho cominciato a pensarci seriamente circa otto anni fa. La città qui alle sei di sera è morta, così mi sono detta: posso approfittare del terreno per farne un centro cittadino, qualcosa che renda vivo il quartiere. Volevo fare un investimento, ma per prima cosa dovevo trovare i contenuti».

Nell’immaginarli, Vacchini trae spunto dalle attività che svolge con Goccia di Voci: se dapprima vi ha partecipato da corista, apprezzando come «Oskar fa piazza pulita di tantissime regole e tecniche del canto corale classico ma le riprende da un punto di vista più umano e istintivo», in seguito inizia a collaborarvi anche a livello amministrativo co-fondando, nel 2014, un’associazione che si propone di sostenerne le attività e di moltiplicarle attraverso laboratori e progetti. Giocando La Voce (nome che riprende il titolo del metodo ideato da Boldre, «un metodo per imparare a improvvisare; sembra un ossimoro ma è così») ispira il primo nucleo del progetto: «I cantanti con cui lavoriamo (esperti di improvvisazione che hanno collaborato con Bobby McFerrin) dicono sempre che in Europa, al contrario che in America, non ci sono università dedicate alla musica: sì, ci sono i conservatori, ma non c’è un Berklee College of Music. E manca qualcosa di incentrato sulla voce, che è un po’ sottostimata rispetto agli altri strumenti. C’è una scuola classica, ma una vera scuola per l’improvvisazione vocale o il jazz non esiste. Quindi mi sono detta: perché non creare, a Locarno, un centro di eccellenza dedicato alla voce?». Nel progetto che lei espone indicando il primo modellino, a quest’idea fa da controcanto un’altra: «Oggi gli alloggi per anziani stanno spuntando come funghi, ma otto anni fa, quando ho iniziato a progettare, nessuno ne parlava. Io però conoscevo diversi anziani che facevano fatica a vivere da soli. Così ho pensato di unire all’auditorium una residenza.

Spesso si costruiscono alloggi per anziani senza pensare alle attività per loro. Nell’auditorium invece, in quanto sede di Giocando La Voce e del nostro coro, si potranno dare dei corsi anche agli abitanti della residenza. Per questo ho chiamato il progetto PolOfonía: un polo d’incontro grazie alla polifonia, ai canti umani in armonia. Ecco qua il mio primo progetto, un progetto-provocazione». Nel modellino, lo studio è sostituito da un blocco a cui si aggraffa una struttura esagonale che avanza nel terreno dove ora vi sono i parcheggi; di fronte, oltre un giardino, la palazzina della residenza per anziani chiude l’isolato.

«Da questa parte demolivo lo studio e costruivo un teatro auditorium con il mio ufficio, più piccolino, e delle salette dove dare dei corsi». Nel 2014, il progetto (ancora ipotetico: mancavano i finanziatori e la domanda di costruzione non era stata approvata) riceve una menzione al concorso «Abitare bene a tutte le età», bandito dalla Fondazione Federico Ghisletta, dall’ATTE e dall’associazione Generazioni & Sinergie, per aver proposto, recita il rapporto della giuria, «una visione che si discosta dai canoni tradizionali sul tema e che pone i rapporti interpersonali al centro del progetto, e trae ispirazione dalla musica, dalla cultura in generale e dai rapporti con la collettività, verso la quale è aperto». «Con questo progetto e la menzione sono andata dalla città. Mi hanno detto: ci sono due problemi. Numero uno: stiamo per mettere sotto tutela l’edificio dello studio. Numero due: il piano regolatore attuale impone delle distanze dalla strada. Ne abbiamo discusso e abbiamo trovato delle soluzioni molto interessanti.

Allora ho cambiato il progetto, senza modificarne i contenuti» e fa scivolare il secondo modellino al posto del primo. Di questo nuovo progetto, la domanda di costruzione viene approvata nel 2016, ma ancora manca un finanziatore: «Trovare una persona che creda in egual modo alla cultura e agli alloggi per anziani è difficile. Quest’estate però è successa una cosa che mi ha portato fortuna: il Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive si è spostato a Locarno. Così ho presentato ai responsabili il progetto. Si sono detti interessati: hanno bisogno di una sala dove fare cinema, all’incirca delle dimensioni dell’auditorium, e di alloggi per studenti e professori. Questi contenuti aggiuntivi rendono l’operazione molto più interessante, e infatti si stanno facendo vivi degli investitori».

Nel secondo modellino, lo studio resta intatto. «C’è la possibilità di realizzare una sala polivalente sotto l’ufficio, chiudendolo; il parco centrale rimane, ma si sviluppa al di sopra del teatro, che in questa variante è sotto terra. Di fronte allo studio c’è sempre la residenza per anziani». Vacchini estrae la pianta di un piano dell’edificio. Gli appartamenti seguono un modulo estremamente semplice: lunghi listelli affacciati su un ballatoio che li collega tutti e si rivolge verso il giardino. «Volevo creare una casa per anziani che non avesse corridoi interni, perché diventano subito brutti, vuoti, silenziosi. Ho pensato prima di tutto alle case tradizionali ticinesi, che sono case di ringhiera, organizzate lungo un ballatoio esterno, di solito molto stretto. Malgrado questo la vita della gente si faceva lì. Io ho tenuto la larghezza di 1,20 per la circolazione, ma ho creato sul davanti dei piccoli balconi e, di fianco alle porte degli appartamenti, delle nicchie, dove si può star fuori a prendere il sole – la costruzione è rivolta a ovest – e avere la propria privacy. I balconi mi permettono di creare moduli che si esprimono in facciata come degli individui: non è semplicemente una struttura ripetitiva, dà l’impressione di trovarti in uno spazio tuo. L’interno è poi molto semplice, con una zona dove mangiare e stare, un piccolo bagno e una camera». I moduli sono flessibili: possono essere fusi per realizzare un appartamento più grande o suddivisi in locali che rispecchino le esigenze del CISA. Ai piani inferiori si potrebbero poi collocare un Poliambulatorio per gli anziani e una Casa del parto; tutto dipenderà, però, dalle scelte del finanziatore.

Al pianterreno, la residenza si apre su un giardino: «Le piante cresceranno sulla terra che sta sopra l’auditorium; formeranno un parco alla francese, col calcestre, dove si potrà creare anche un piccolo parco giochi». E si arriva all’auditorium: «Vorrei che fosse il migliore d’Europa per i concerti vocali e che contenesse uno studio di registrazione. Ho cominciato a lavorarci con l’ingegnere Dario Bozzolo, specialista in acustica. Prevedo 150 posti, una dimensione che a Locarno non c’è e si presta a tante altre attività». Vacchini pensa a «spettacoli con l’OSA!, notti del racconto per bambini, concerti del festival Voci audaci, piccoli teatri de La donna crea», oltre che, naturalmente, a corsi di improvvisazione vocale organizzati da Giocando La Voce e rivolti ad anziani e bambini («Immagina quello che può fare l’improvvisazione vocale a livello di integrazione! Si inventa un linguaggio comune, non ci sono parole, ci si capisce cantando…») o pensati a scopo terapeutico («la moglie di Oskar, Costanza Sansoni, lavora con persone che hanno difficoltà psicologiche, dando loro una mano a esprimersi attraverso il canto»).

Ma se c’è un elemento-chiave in cui trova una sintesi tutto il progetto, è la struttura che modula il confine tra l’isolato e la strada: «Vorrei realizzare un filtro verso la rotonda; ho pensato a dei parziali pannelli fonoassorbenti. Mi piacerebbe che fossero come delle canne d’organo che suonano col vento, ma ci sto ancora lavorando insieme a Oskar. Grazie a lui abbiamo scoperto che il Modulor di Le Corbusier si riflette non solo sulla sezione aurea ma anche sulle frequenze delle note musicali. Quindi la mia misura di base, 2,26 metri, corrisponde a un do diesis leggermente calante, che ha una frequenza di 136 Hertz. Il do diesis leggermente calante è una nota molto importante: diverse etnie hanno intuitivamente intonato i loro canti su questo suono. In India, ad esempio, lo strumento che accompagna la voce (la tampura) è accordato in do diesis e fa diesis, tonalità maschile e femminile. E, guarda caso, hanno scoperto che il do diesis leggermente calante è la nota di risonanza del pianeta terra. Per me è emozionantissimo: tutto si lega. Così la facciata è costruita sulla base del 2,26, che regola tutta la costruzione (lavoro sempre col Modulor perché mi piace, e adesso so anche perché mi piace). A partire dal do, moltiplicando il 2,26 trovi tutte le altre note. Quindi vorrei creare con la struttura una musica, che Oskar comporrà; e sarà una musica… fonoassorbente».

L’architettura come composizione e spartito? D’altro canto, Eloisa Vacchini nota che, nello svolgere il proprio mestiere, non smette mai di rifarsi a quanto insegnatole dalla pratica musicale: «Fare della musica è una maniera per riempire e comprendere uno spazio, per farlo suonare. E poi improvvisazione vocale e architettura sono molto simili: hai la struttura della linea di basso rafforzata dalle percussioni, che ti danno qualcosa di solido, una fondazione, su cui puoi costruire una melodia. Quando costruisco ci penso, al coro, perché mi piacerebbe che i miei edifici cantassero in coro con quello che hanno intorno e soprattutto con il territorio.

Esterno e interno per me sono due cose che funzionano insieme: non si pensa prima alla casa e solo dopo al giardino. Un esempio: sto studiando, con un architetto del paesaggio, i nuovi spazi verdi delle scuole Saleggi. Anche in questo caso per me esterno-interno è una musica, un modo per insegnare ai ragazzi a tenere presente il rapporto col paesaggio: infatti vorrei eliminare il più possibile i sempreverdi, così da mostrare l’alternarsi delle stagioni. Quindi sì: musica paesaggio suono armonia degli spazi sono cose legate, anche se legarle non è sempre facile. E soprattutto il silenzio: mi piacerebbe un giorno riuscire a costruire un edificio che suoni per la qualità dell’architettura ma che, anche, crei nella città il silenzio».

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