Pie­tro Lin­ge­ri in due pez­zi

Data di pubblicazione
20-10-2021

Che cosa c’entrano due avvenenti fanciulle in bikini con le sorti dell’architettura moderna? Siamo a Ossuccio, sponda occidentale del lago di Como, zona trasformata tra gli anni Venti e Quaranta da Pietro Lingeri (1894-1968) in una piccola riserva di sperimentazioni architettoniche, in cui il verbo razionalista si fonde con l’onda lunga della tradizione costruttiva lariana. In pochi chilometri ci sono piccole gemme come l’AMILA, la Villa Silvestri, le case per artisti sull’Isola Comacina e infine Villa Leoni, dove si trovano le due modelle. Da qualche anno, questa dimora – realizzata tra il 1938 e il 1944 – è stata trasformata in una location che oltre a soggiorni vacanzieri ospita matrimoni, eventi commerciali e shooting di moda, con migliaia di followers su Instagram.

Un simile aggiornamento delle funzioni originarie della villa ci pare interessante, non per approdare a commenti censori e controproposte colte (preferireste un museo del razionalismo al posto dei selfie con i calciatori? Moralisti!), ma per sottolineare un processo evolutivo cui è soggetta la sostanza e ancor più l’immagine di una Modernità con ormai molti decenni sulle spalle.

La misura della distanza tra l’iconografia originale e quella attuale di Villa Leoni ci è data da due fotografie, una d’epoca e l’altra scattata da Damiano Dargenio nel 2012. Entrambe sono ben composte. Se la prima utilizza il recinto cartesiano della villa per accentuare la fuga prospettica verso il lago e dunque la compenetrazione di geometria e natura, la seconda sfrutta l’architettura per creare il palcoscenico adatto all’avvenenza dei corpi e a un’idea di benessere a tratti caricaturale. La trave doppia in cemento disegnata da Lingeri divide in due campi l’inquadratura e innesca un gioco di diagonali. In alto, il bianco delle imbarcazioni allude a una fruizione edonistica del paesaggio e a un turismo impensabile negli anni della guerra. In basso, le due modelle – orientate come la prua del motoscafo, con le gambe distese a ricordare le due travi accostate, dello stesso colore rosa-carne – attualizzano il set e catturano lo sguardo del lettore-voyeur. La posa forzata dei corpi nudi esplicita la mise-en-scène, opponendosi alla naturalezza della foto storica, che sembra invece rubare un momento d’ozio domestico privato.

Nel catalogo della mostra su Pietro Lingeri in corso alla Triennale di Milano, Francesca Serrazanetti ha analizzato lo scarto tra la dimensione privata originale e l’incalzante «mediatizzazione» cui la villa è oggi soggetta, soprattutto per mezzo dei social, che la bramano come perfetto backstage per l’autorappresentazione digitale (Facebook, Instagram), o per la sua mercificazione (Airbnb, Tripadvisor). Come scrive Serrazanetti, «l’aspetto moltiplicativo e “performativo” delle immagini su queste piattaforme, la loro presenza su un piano estetizzante e non appartenente al reale le rende icone non prive di ambiguità», mentre all’abitante si sostituisce l’attore di spettacoli trasmessi in presa diretta. Post dopo post, il numero di queste immagini cresce, sostituendo al linguaggio della fotografia d’architettura un nuovo bagaglio iconografico. Biasimarlo? Ignorarlo? Tutt’altro. Piuttosto, lasciare che esso ci suggerisca inedite domande, sull’architettura moderna e oltre.

Pietro LingeriPietro Lingeri. Astrazione e costruzione
mostra a cura di Gabriele Neri

Triennale di Milano | 8 ottobre 2021 / 21 novembre 2021 (catalogo Electa)


 

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