La de­co­ra­zio­ne

Dialogo maieutico con Aldo Rossi

Fondamenta prosegue la riflessione sui temi teorici che attraversano la disciplina architettonica. Al centro del testo, un dialogo inedito tra Aldo Rossi e Maria Grazia Eccheli — registrato nel 1992 — che riporta una delle questioni più eluse e decisive dell’architettura moderna: quella della decorazione, considerata da Rossi il luogo in cui l’architettura si misura con la propria memoria, la propria cultura e, forse, la propria poesia.

Data di pubblicazione
16-10-2025

La speculazione teorica di Aldo Rossi sull'architettura si consumerebbe dal 1966 al 1976, mentre tutto il seguito sarebbe una lunga dichiarazione di poetica e una poesia ininterrotta. (A dire il vero, anche la teoresi rossiana nascerebbe dall'esigenza poetica interiore e si manifesterebbe all'interno del suo sviluppo creativo che risulterà straordinariamente creativo e insolitamente felice - per quanto il principale studioso di questa stessa teoretica, lo spagnolo José Luque Valdivia, nel libro La ciudad de la arquitectura. Una relectura de Aldo Rossi, Barcelona 1996, recalcitri davanti a simile interpretazione.)

Davvero, da allora a oggi, non si darebbe nessun perfezionamento? Nessuna appendice alle sue classiche proposizioni teoriche?

A renderci meno sicuri della risposta sopraggiunge il dialogo maieutico intorno al ruolo della decorazione nella costruzione architettonica, secondo che i due interlocutori, Rossi medesimo e Maria Grazia Eccheli, hanno risolto di chiamarlo. Il dialogo è suscitato dalla Eccheli, portato a compimento e deregistrato nel 1992, nel clima del DIZIONARIO critico illustrato delle voci più utili all'architetto moderno, Venezia-Faenza 1993, per il quale Eccheli redasse in modo approfondito proprio la voce Decorazione. Per l'esattezza il testo era destinato a "Phalaris". Ma, in quel giro di tempo, la rivista diretta da Semerani chiudeva i battenti: così lo scritto restò inedito e adesso, grazie alla cortesia degli Autori, viene recuperato per pubblicarsi sulla "Rivista Tecnica". 

Come in ogni dialogo architettonico, da Filarete a Valéry, vale il contenuto, soprattutto l'asserto formulato più vol te, via via in forme diverse, sempre più persuasive, il postulato irreperibile in Loos, in Tessenow o in qualunque altro teorico della decorazione, il principio nuovo, che il frammento, derivato per ritaglio o frantumazione, può essere decorativo del rivestimento e che essa, decorazione, può integrare il manufatto, esserne forse la parte migliore e distintiva.

Conta poi la riproposta pressoché arguta di un'architettura né neobrutalista né decostruttivista, composta in maniera classica, rivestita, decorata, nuda però di ogni ornamento; dall'aspetto rigido, dal tono austero, all'incirca preludio al Sublime - al quale Rossi tende tramite la forza della struttura architettonica o urbana; insomma attraverso le opere, dalla Tomba Alessi a Giussano al Teatro Carlo Felice a Genova, e via continuando lungo l'elenco fittissimo.

Sembra notevole anche il parlato del dialogo. Quel succedersi colloquiale di metafore, esempi e sentenze, quel risonare delle parole da dietro un certo velo di stanchezza..... Appassionato di teatralità, costruttore di teatri, spesso tentato dalla drammaturgia. Rossi deve prediligere la battuta mediante la quale interrompere sia pure per poco Eccheli che va affermando la costruzione essere certa e invece la decorazione essere dubbia, ovvero la breve battuta sospesa: "... è una frase letteraria..."

Sicuro, fulminante, Rossi; sino in fondo, fino allo stremo. Architetto tra i massimi della storia dell'architettura, osservatore della vicenda architettonica plurimillenaria, protagonista della vicissitudine disciplinare, magari escludendo la crisi degli ultimi tempi, per parte loro insofferen ti del vincolo morale, teoretico, poetico, figurativo imposto implicitamente dalla ricerca sua - ebbene, Aldo Rossi è scomparso. Egli è morto tra la fine dell'agosto e l'inizio del settembre 1997.

Fu amante di molte Regioni del mondo, del Ticino in modo speciale: sicché le istituzioni culturali ticinesi dovrebbero e forse potrebbero promuovere la meditazione più elevata sull'uomo, l'artista, il progettista incomparabile; diciamo almeno il grande convegno internazionale di studi - cui, prevedibilmente, parteciperanno gli autori più importanti, progettisti e critici, quali gli sono sopravvissuti.

Vorrei tentare di formulare assieme a te la "questione della decorazione oggi". Partiamo dall'assunto che la decorazione sia divenuta "impossibile ma necessaria": impossibile perché la costruzione la esclude, necessaria come elemento di una teorica completezza dell'architettura, vuoi per risolvere un edificio vuoi come risposta ad una aspettativa sociale...

Credo che quanto tu dici, che la decorazione sia divenuta oggi impossibile per motivi esterni, economici ad esempio, è una constatazione seria. Credo, però, che il problema - uno dei problemi più difficili in Architettura - sia di stabilire che cos'è la decorazione. A fronte dell'ipotesi del costruttore che rifiuta la decorazione, dobbiamo chiederci perché non la vuole. Solo per motivi economici?

Che cos'è, infatti, nel senso comune, la decorazione? In prima approssimazione, nel senso comune sono le statue, sono le porcellane, sono i dipinti sulle facciate...: tali cose per avvicinarci al concetto di decorazione sono qualcosa in più delle necessità strutturali e funzionali, ma sono anche qualcosa in più dello stesso progetto architettonico. Sono qualcosa che l'architetto aggiunge alla propria architettura. Aggiunge o non aggiunge.

Questo mi sembra già un corretto avvicinamento al problema della decorazione. La decorazione non esiste per motivi strutturali, non esiste per motivi - diciamo cosi -tecnologici. Potrebbe esistere per motivi di maschera mento. Ma è una proposizione che tu scarterai e che anch'io scarto: laddove ho bisogno di un mascheramento c'è una cattiva architettura. Quindi, in tal caso, non avremo decorazione.

Non che voglia fare il socratico per arrivare ad una definizione di decorazione, ma pensiamo ad un progetto che in sé corrisponda al canonico principio di "utilitas/firmitas/venustas": non è ancora detto che presenti la decorazione. Io voglio aggiungere qualcosa a questo progetto. Credo che in questo caso la decorazione sia interna all'architettura, cioé darei un giudizio generalmente positivo della decorazione.

A questo punto mi chiedo se, ad esempio, il tempio greco colorato è un tempio decorato, non tanto quindi per le statue i timpani e le metope, ma proprio per la volontà di porre sulla pietra uno stucco rosso o verde o giallo. In questo caso la decorazione è parte dell'architettura. Laddove non c'è questa decorazione ed è il caso dell'architettura classica per come noi la conosciamo è una conseguenza di una deformazione romantica, perché in fondo noi, dal Petrarca in avanti, vediamo i relitti classici come relitti "non finiti". E ci dà un pò fastidio questa possibilità di colore nelle statue o nell'architettura classica, per cui diamo a questo senso di decorazione un valore negativo che di per sé non possiede.

A proposito del tempio greco, come condividere la tesi che tutto sia decorazione, trattandosi di una continua mimesi della natura (per cui la costruzione in pietra imita la costruzione in legno: colonne, antefisse, metope...)? lo penso che sia l'origine dell'architettura...

Anch'io.

Parlerei invece di decorazione allorché i Romani, grandi costruttori di città, compongono ordini già sperimentati dall'architettura greca e rivestono le loro grandi opere con pietra e marmi preziosi, con fregi e statue e bassorilievi... Non a caso è questa la lettura dei "moderni", dall'Illuminismo all'Adolf Loos di "Ornamento e delitto". II Loos che pretende, per i propri edifici, la maniera degli "antichi romani", che ripercorre nella - Chicago Tribune - strade forse intransitabili; il Loos della "Michaeler Platz" che riveste il basamento in marmi preziosi, che compone colonne monolitiche là dove il carattere del luogo lo richiede.

Rimango ai tuoi tre esempi. Io credo che nell'architettura greca (e sono d'accordissimo con te che la colonna non è affatto decorazione, ma piuttosto l'origine dell'architettura, al pari dell'esigenza di creare un microclima: come vedi, sono le ipotesi del Milizia che vanno avanti...) il caso che ho citato del colore sia una decorazione nel vero senso della parola, perché è qualcosa che si è aggiunto in base ad un tipo di cultura che per noi è completamente perduto (citavo prima il Petrarca) e che riviviamo solamente attraverso una lettura, data la nostra incapacità di risalire alle origini. Ma si tratta indubbiamente di un tipo di decorazione. Eppure se io penso un tempio greco colorato a stucco, provo fastidio e quasi mi ripugna: il tempio mi piace così com'è oggi. Certo ammetto di aver perso qualcosa, qualcosa che non posso più assolutamente ritrovare. Nel caso dell'architettura romana che giustamente tu dici essere fatta allo stesso modo e poi rivestita è però valido il discorso della magnificenza civile: essendo l'architettura romana, giustamente, un'architettura che non inventa, ma che però è una architettura civile e spesso urbana, "che sa comporre", essa ha il bisogno e la necessità di esprimere le istituzioni, molto più di quanto facesse l'architettura greca. Quindi si pone il problema della magnificenza, della convinzione, della persuasione: le "Istitutiones oratoriae" di Quintiliano sono l'architettura romana, vale a dire il problema della convinzione attraverso la costruzione. In questo caso, quindi, non si tratta tanto di decorazione, ma di una parte dell'architettura stessa. Anche se poi credo che la struttura dell'edificio fosse portata ad altissimo compimento, per una capacità tecnica che però non aveva nulla a che fare con l'idea di finitezza dell'edificio.

Io, che in questi ultimi tempi mi trovo spesso a Roma, ho la finestra della mia camera d'albergo che dà proprio sul Mercato di Traiano, e ci sono queste torri stupende fatte in piccole pietre bianche e nere che sono magnifiche: per noi, però, sono come dei pilastri in cemento armato. Ora, solo un certo momento di una architettura brutalista ha pensato che il cemento armato fosse la costruzione finita. In realtà, una struttura esibita come struttura, diviene a sua volta una decorazione. Lo strutturalismo esagitato, offerto, conclamato diventa a sua volta un fatto decorativo.

La terza questione che mi ponevi, l'atteggiamento di Adolf Loos, è molto più complessa: direi che è tipica di Loos e di alcuni intellettuali del suo periodo: forse, in letteratura, di Musil...

Il magnifico titolo (potrebbe essere un bellissimo film di Hollywood) "Ornamento e delitto" - che è anche il titolo del mio film - è in realtà una contraddizione in termini, perché, se mai uno ha letto il saggio, cosa che pochi fanno, sa che quel testo è piuttosto un elogio che non una condanna della decorazione.

È talmente un elogio che si riferisce a ciò che è perduto. È un pò come il "Werther" per un libro d'amore: è il libro s dell'amore perduto. Quindi è un libro dell'amore per eccellenza. Per eccellenza l'amore è qualcosa di perduto. È un pò come il "Werther" per un libro d'amore: è il libro dell'amore perduto. Quindi è un libro dell'amore per eccellenza. Per eccellenza l'amore è qualcosa di perduto: voglio dire che un rapporto, una volta sublimato, è perduto. È proprio in tal senso che il testo di Loos è un delitto: perché, per me, si tratta di una tesi delittuosa. Per Loos la decorazione è il punto più alto di una cultura ed il selvaggio che si tatua possiede una identificazione con la natura ed una capacità di decorarsi che noi tutti sogniamo ma che abbiamo perduto. Non possiamo tatuarci, commetteremmo un delitto se lo facessimo, ma nel contempo siamo vittime di un delitto storico perché non possiamo più capire quello che poteva fare un selvaggio. Quindi, in tal senso, è un libro perverso, un tesi perversa.

Passando alla prassi e alle modalità compositive della decorazione, dove e perché si può parlare di decorazione nei tuoi progetti? Nella maestosa cornice della Torre Scenica del Teatro Carlo Felice a Genova (decorazione come citazione)? Nelle verdi trabeazioni che ritmano la facciata del "Palazzo" a Fukuoka (decorazione come trascrizione e stilizzazione)? O nei frammenti sparsi nelle tue opere?

C'è stato un momento nella mia architettura (parlo di me perché costretto, altrimenti cerco di evitarlo, pur essendo io un egocentrico) in cui il problema che è emerso, anche nella mia vita, è stato il problema del frammento, di una educazione frammentaria, che è collegato al problema della citazione.

Quello che tu dici è vero: non so se citazione, frammento corrispondono esattamente a decorazione, però dal momento che avviene nelle arti figurative, in qualche modo è decorazione. L'esempio più calzante (il "Carlo Felice" è il più clamoroso) è la "Tomba di Giussano", dove addirittura, per rappresentare la morte, ho messo una cornice in marmo di Carrara - che è poi la stessa cornice del Vignola che c'è nella Torre Scenica a Genova -. Seguendo le norme del "delitto" di A. Loos, l'ho fatta costruire tutta a mano così è costata un capitale e gli sta bene-: dopo di che è stata rotta in alcuni pezzi. Quando i pezzi sono stati montati, io personalmente a un muratore gli ho fatto rompere, ancora una volta, la cornice: così la cornice si legge in parte rotta e in parte no.

Ora, questa rappresentazione, questa rottura, è una doppia rottura: una, chiaramente, è la rottura della vita (si tratta di una cappella mortuaria); l'altra è l'impossibilità di usare la cornice del Vignola così com'è. La terza, se vuoi, che ancor più trasforma l'opera in decorazione, è che, per qualche senso estetico, è più bello il frammento dell'opera compiuta. È ancora il discorso del Petrarca: quella cornice mi piace più rotta e frammentata che se fosse intera.

È ancora una citazione la grande "porta" lignea interna?

Entrando, vi è la ricomposizione della porta romana di Verona rilevata dal Palladio - ma non si tratta di una ricostruzione filologica - e che è un passaggio tra quello che c'è e quello che non c'è. Dietro la porta un cielo azzurro che, se vuoi, è decorazione, è scenografia, è invenzione.

Ancora sul frammento, visto sotto l'aspetto della decorazione: come leggere le perfette tessiture in mattoni delle chiese quando, in realtà, non sono che splendide strutture in attesa di "rivestimento"? È una semplice iconoclastia del destino o una resistenza dell'opera al proprio compimento a fissare nel tempo l'immagine delle facciate incompiute, in cui poche pietre o un basamento interrotto penso a San Petronio) trattengono l'opera come sospesa tra realtà e immaginazione? In termini compositivi...

Scusa se ti interrompo. Quanto hai detto adesso tocca un argomento che mi interessa molto. Non so se tu hai visto i miei ultimi progetti: ho in corso due lavori che sono ad dirittura fatti cosi: ripetono le antiche chiese non finite. L'Hotel "Duca di Milano" e la "Chiesa Lombarda" alla Barona hanno, entrambi, il basamento in pietra, in granito, mentre poi la costruzione va su in mattoni. Nella facciata della chiesa, poi, ci sono due grandi statue. In quest'ultima vi è anche una architettura simbolica, se vuoi, perché l'eredità storica del non-finito, che non è ancora frammento, viene ripresa come una forma di espressione della bellezza. Direi che forse la tesi più romantica è quel la di lasciare l'amore per il relitto, per la statua rotta...

II "Dizionario" ideato da Luciano Semerani tocca più voci, tra le quali "Rivestimento". Secondo te, tra decorazione e rivestimento esistono dei punti di contatto o di coincidenza? Se si può stabilire una differenza tra un rivestimento che si esaurisce nel puro significato tecnico e rivestimento che, aggiungendo "qualcosa" all'opera, corrisponde ad una qualche intenzionalità estetica e decorativa, quando e come hai risolto questa alternativa nelle tue opere?

lo farei sempre un Rivestimento-Decorazione. In alcuni casi ho contrapposto l'intonaco ad un elemento più ricco. Nel Teatro di Genova, ad esempio, tutta la torre scenica fino all'altezza di quella che era la Torre del Barabino, è addirittura fatta in falso bugnato, ripetendo una tecnica dell'architettura neoclassica. Alla quota dove finiva la torre originaria ho messo una cornice di ottone: la si può leggere come decorativa, come letteraria, come memoria... Sopra vi è un'altra torre, con altre implicazioni, che viene finita ad intonaco. Poi, sopra ancora, la cornice del Vignola: altissima. Quando l'ho vista per terra mi sono spaventato è alta come una stanza - ... Invece va benissimo voglio dire che essa corrisponde proprio ad una volontà di decorazione.

Adesso sto facendo una costruzione che mi interessa moltissimo: è la villa di Alessi sul Lago Maggiore. Questo pro getto è una ricerca di architettura romantica, sfacciatamente di architettura romantica, e verrà costruita secondo le tecniche ottocentesche di alcune ville sul lago. Un'architettura post-boitiana, fatta tutta di scaglie in pietra, di cornici in cotto e con un pronao tutto in cotto, Credo che verrà molto bella, molto singolare. E molto costosa.

Tornando alla decorazione - e per tentare di definire i suoi probabili caratteri - mi sembrano ancora attuali alcuni assunti di Quatremère de Quincy: vale a dire che una decorazione si rende necessaria "per spiegare allo spettatore l'oggetto a cui si applica" e fonda la sua necessità sul to di "pigliare gli argomenti delle sue nuove invenzioni dall'idea principale del monumento, o dai rapporti accessori dell'idea stessa"...

Si: sono principi molto razionali, molto precisi... Credo che si dovrebbe affrontare un equivoco che si è prodotto nell'architettura moderna: uno dei suoi vanti volgari (neanche attribuibile a storici o ad architetti) è quello di essere semplice, di non avere decorazioni. Cosa non vera: neanche dai più stupidi è mai stata affermata. In compenso c'è stata una reazione contro un eccesso di decorazione superficiale, contro l'Art deco, contro il superfluo....

Credo che la decorazione sia anche molto legata al costume, alle abitudini. Qui, ad esempio, tutti portiamo la cravatta. La cravatta è indubbiamente una decorazione perché inutile: non ce n'è bisogno; anzi, si sta meglio senza. Esiste però un certo sistema di convenzioni sociali che rende la cravatta obbligatoria. Recentemente c'è stato un dibattito molto interessante con R. Venturi attorno ad un tema analogo.

Diceva ad un certo punto Venturi: "l'importante è il nodo della cravatta, che va fatto secondo certe regole e che di conseguenza - senza essere dei gentlemann - può venir anche bene... Ma ci sono poi questi vecchi Lords inglesi, que sti snob, che fanno il nodo pure un pò male e la cravatta risulta ancora più bella... Questo nodo, però, non lo si può insegnare". Applausi del pubblico... Credo che questo sia anche il problema della decorazione: noi possiamo anche dire che una facciata di mattoni, di forati, va rivestita in pietra o in intonaco, e definire tutto ciò una legge dell'architettura. Ma poi un grande architetto, un bravo architetto, chissà cosa fa: potrà usare una pietra preziosa, oppure l'intonaco... Da questo punto di vista, la decorazione può di-venire addirittura parte della personalità.

Esiste un tipo architettonico nel quale la decorazione fa parte dello stesso tema progettuale: mi riferisco al teatro. Progettando un teatro è difficile eludere il modello dello scenafronte romano: luogo fisico e logico ad un tempo della decorazione. Come è stato da te affrontato tale compito all'interno del "Carlo Felice"?

Direi che è un riferimento fondamentale. Nel caso del teatro io parlo ancora di magnificenza. È questa idea a trasformare il suo interno in una piazza di Genova. Ai lati dalla scena ci sono due grandi colonne di "rosso levanto", mozzate, che ricordano quello che era un teatro romano, irripetibile. E poi il cielo con le lampadine... Tutte queste cose chiamiamole magnificenza, decorazione.... Chiamiamole teatro.

Che dire dell'architettura americana di Graves e Venturi, ad esempio-? La decorazione non vi è troppo immediata nel processo progettuale, tanto da far svanire la sua natura di "cosa aggiunta"? Una ricerca troppo subito affasci nata dall' "immagine"?

Per me il problema non cambia molto, Graves, ad esempio, e più di Venturi, fa una architettura decorativa che è [12:33, 07/10/2025] Sophie Marie: basata sul dettaglio, sull'aggiunta: quella che viene comunemente chiamata architettura "post-modern". Non vi leggerei però una specificità diversa, tanto più se pensi all'architettura americana degli anni trenta o all'architettura americana "Beaux Arts"...: c'è sempre stata, nell'architettura americana, una derivazione europea.

Cos'è dunque la decorazione? Possiamo tirare delle conclusioni?

Credo che sul tema abbiamo detto molto... Ritengo che il punto fondamentale sia quello di intendere la decorazione. Ricordo che al Politecnico non si poteva usare nemmeno la parola: un po' come, oggi, la parola "cancro".

Leggevo l'altro giorno sul "Corriere della Sera" un articolo sulla morte di Dino Buzzati. L'autore, non so se fosse un suo amico, non ricordo chi fosse..., è riuscito a scrivere un'intera pagina parlando della morte di Buzzati -come loro si vedevano, come lui si è ammalato ecc - senza dire di che cosa è morto. Ho letto con attenzione perché era proprio quanto mi interessava: non ha mai detto l'età e di che cosa è morto. Tabu.

La decorazione è diventata un pò così: è una osservazione da uomo della strada ma anche da uomo di mestiere. Ormai non riusciamo più ad intendere la decorazione in senso positivo.

È anche una conseguenza delle teoresi ufficiali, cui tu prima accennavi, del M.M. sulla questione della decorazione? Eppure alcuni maestri hanno continuamente riproposto, negli scritti e nelle opere, il tema della decorazione: Tessenow, ad esempio, declina il tema tra la costruzione come certezza e la decorazione come dubbio...

Che è una frase letteraria...

Comunque pone la questione ed il problema...
Prima tu hai scherzosamente detto, mostrando la tua collana, "io sono decorata". Non vorrei fare lo psicanalista ma quella frase fa parte di questo tabù della decorazione Una donna dell'ottocento non avrebbe mai pensato, mettendosi una collana, di "decorarsi"...: metteva una collana che faceva semplicemente parte dell'abbigliamento della cultura femminile, e perfino maschile. Questa deformazione esiste ed è comune. Se io mettessi un anello, ne avrei vergogna (in America "macho" normalissimi portano l'anello, però ai nostri occhi...). Non è vero che la collana è una decorazione: e la tua giacca, allora?

È in questo senso che è perverso il saggio di Loos: tu ritorni al mito del selvaggio...

La decorazione come fatto di cultura. Può dunque la decorazione risultare uno strumento adeguato e praticabile per una architettura che, dopo le omologazioni del moderno, si voglia di nuovo "civile"...

Per essere civile un'architettura deve esprimere il senso di un certo tipo di cultura, di educazione, di civiltà. A Milano, ad esempio, moltissimi palazzi neoclassici avevano delle colonne. Il mio studio di S. Maria alla Porta aveva delle magnifiche colonne in granito rosa... Intonacate. La chiami decorazione, questa? È il senso dell'architettura civile, per cui l'architetto che faceva le case dei "sciuri" intonacava le colonne: un starei male ad intonacare una colonna in granito: eppure pò come l'architettura greca. lo fior di architetti lo facevano.

In seguito, però, non si è più potuto usare il granito perchè divenuto costoso. Da quel momento la colonna in granito torna ad essere la vera decorazione, perché è anche una esibizione di ricchezza. Esattamente il contrario di quando tutti avevano le colonne in granito.

 

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L'articolo è stato tratto da Archi 7-8|1997, Mendrisio, paesaggio di frontiera.

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