La se­zio­ne e il Raum­plan di Loos

«Prima di Kant, l’umanità non poteva ancora pensare nello spazio e gli architetti erano costretti a fare il gabinetto alto quanto il salone. Soltanto dividendo tutto in due potevano ottenere locali più bassi. E come un giorno l’uomo riuscirà a giocare a scacchi su un cubo, così anche gli altri architetti risolveranno il problema della pianta nello spazio». (Adolf Loos, 1929)

Publikationsdatum
07-04-2017
Revision
07-04-2017

La sezione è la rappresentazione ottenuta secando il manufatto progettato con un piano verticale. Anche la pianta è ottenuta secando il medesimo manufatto, con un piano orizzontale. Ma essa non è considerata oggi alla stessa stregua della sezione. Mentre la sezione è lo strumento per indagare e descrivere la sostanza costruttiva degli edifici, è lo strumento adottato e utilizzato da coloro che si occupano della cultura e dell’esecuzione della costruzione, la pianta ha invece un valore più universale, è una modalità di rappresentare e comunicare la forma degli spazi conosciuta e compresa da tutti. Quando è tale, è espressa in termini sommari, sintetici, che non riproducono la complessità delle parti costruttive secate. La pianta offerta ai clienti dalle società immobiliari viene letta e assume senso perché è integrata dal disegno degli arredi, gli unici elementi in grado di fornire la misura e di prefigurare la sensazione degli spazi. 

Tuttavia, tutte le più importanti definizioni di pianta, che leggiamo nei racconti della storia dell’architettura, prevedono una relazione di necessità con la sezione, senza la quale la pianta perde grande parte della sua sostanza rappresentativa. Quando la cultura della costruzione era una cultura unitaria, prima della separazione avvenuta nel XIX secolo tra le conoscenze tecniche e quelle estetiche, pianta e sezione erano due aspetti della medesima rappresentazione. Ne I quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, la pianta dei fabbricati descritti è accoppiata a un fronte e a una sezione, tracciata secando il fabbricato nella parte spazialmente più significativa. 

I protagonisti del movimento moderno, fin dal suo inizio, hanno sostenuto la necessità di ricostruire l’unità delle conoscenze nella concezione del progetto di architettura. Come sostiene anche Luca Ortelli nel testo che ospitiamo, è con il Raumplan di Adolf Loos che il progetto diventa progetto di spazio, e la pianta e la sezione riacquistano assoluta necessità vicendevole: «Quando a Stoccarda cercai di partecipare all’esposizione con una mia casa, mi fu decisamente negato. Avrei avuto qualcosa da mostrare, cioè un’abitazione i cui locali fossero distribuiti nello spazio e non sul piano, come è stato fatto finora sovrapponendo un appartamento all’altro. Grazie a questa soluzione, avrei consentito all’umanità di risparmiare parecchio tempo e lavoro sulla via del progresso…». Nei progetti loosiani più significativi, si rompe la meccanica sovrapposizione condominiale degli alloggi e la terza dimensione si impone, attraverso la rappresentazione di pianta e sezione. Sarà poi con Le Corbusier che la sezione verticale diventa protagonista anche del progetto urbano, quando il suolo della città viene pensato a strati, su più livelli, come nelle visioni e nei progetti di seguito raccontati da André Bideau.

Progettare in sezione è la chiave, in questo numero di Archi, per illustrare architetture recenti, a cominciare da quelle degli zurighesi Giuliani e Hönger, che hanno fatto della sezione verticale il centro della loro poetica architettonica già dall’eccellente Fachhochschule Sihlhof, del 2003. Tra i progetti pubblicati, l’edificio di Mario Botta ospita la doppia altezza del suo studio, utilizzando la complessa planivolumetria per realizzare lo spazio urbano di ingresso al nucleo di Mendrisio, mentre i piccoli edifici di Stefanie Hitz e di Davide Macullo sono validi esercizi di fluidità spaziale. 

Ci interessa, infine, trasmettere ai lettori qualche riflessione sulla residenza a Solduno di Buzzi Architetti, che ci sembra un’interpretazione aggiornata del Raumplan loosiano. Facendo le dovute proporzioni tra la potenza espressiva delle esemplari modulazioni spaziali della casa di Tristan Tzara di Loos e l’effetto della compressione ed estensione provocate dai piccoli dislivelli degli alloggi di Solduno, bisogna riconoscere a questo progetto il coraggio di avere rotto il criterio aggregativo degli alloggi, che il mercato e i costumi costruttivi hanno consolidato da decenni. L’esperimento ha il merito di aprire, nel vivace Laboratorio Ticino, una ricerca stimolante sull’abitazione borghese e sulla densità urbana.

Nel contempo, osserviamo come il rivestimento in pannelli di mattoni di cotto, proposto dallo studio locarnese che ha fatto della sperimentazione la cifra del suo lavoro, ci lascia invece perplessi sulla direzione della ricerca, che ci sembra contrasti con il rigore dell’ispirazione loosiana. Come osservava l’allievo e biografo di Loos Heinrich Kulka, gli spazi a seconda del loro scopo hanno dimensioni diverse ma anche altezze diverse e «…Loos riesce così, con gli stessi strumenti edilizi a creare più superficie abitabile, perché in questo modo ospita nello stesso cubo, tra gli stessi muri esterni, più spazi». La novità della ricerca loosiana è l’affermazione della parsimonia dei mezzi sia economici che espressivi.

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