Edu­ca­zio­ne, pro­get­to e cos­tru­zi­o­ne

Il collettivo femminista Matrix

Publikationsdatum
18-05-2022
Silvia Groaz
Arch. EPFL, collaboratrice scientifica e assistente del laboratorio di teoria e storia LTH3 dell’EPFL

Come possiamo rispondere agli urgenti interrogativi sui processi partecipativi, sull’educazione delle nuove generazioni, sulle possibili forme della professione e sulla necessità di spazi domestici e urbani che rispecchino le rivendicazioni in atto nella nostra società? Il collettivo di donne noto come Matrix Feminist Design Co-operative, il primo dichiaratamente femminista, riteneva che solo attraverso la visione di un progetto critico che si estende dall’educazione alla costruzione si possa aspirare a un ambiente costruito capace di incarnare i valori di una società egalitaria e democratica.

Le esperienze di Matrix, presentate per la prima volta in Svizzera in occasione di una mostra presso l’École Polytechnique Fédérale di Losanna,1 forniscono spunti per esaminare criticamente l’architettura, i suoi attori e processi, facendo riemergere alcune questioni tuttora valide per il progetto contemporaneo. Il loro contributo, articolato attraverso corsi universitari, progetti di architettura, workshop, mostre e libri, è da considerarsi quale strumento capace di ridare una nuova vitalità alle questioni attuali sulla disciplina dell’architettura, situandole all’interno di una prospettiva critica che vede l’educazione e il progetto quali momenti necessariamente interdipendenti e complementari.

Matrix si forma nell’alveo del New Architecture Movement e delle azioni squatter londinesi in un periodo, quello dell’Inghilterra degli anni Ottanta, segnato dalla necessità di sviluppare nuovi metodi critici per rispondere alla disillusione verso le rivolte sociali in seguito all’elezione di Margareth Thatcher e al conseguente declino delle politiche di welfare. Composto da architette, studentesse, insegnanti, costruttrici e artigiane, il collettivo femminista ha contribuito a mettere in luce la responsabilità sociale dell’architettura e il suo potenziale nel soverchiare gerarchie canoniche e stereotipi di genere attraverso una riformulazione dei processi educativi, progettuali e costruttivi. Il loro attivismo, come esse stesse affermano, punta non tanto a proporre «soluzioni» quanto a formulare «domande» e individuare problemi inerenti alle complessità spaziali dei nostri edifici e delle nostre città.2

La riorganizzazione dell’industria edilizia e della professione dell’architetto era al centro dell’impegno di Matrix, volto alla promozione di modelli alternativi di relazioni tra i gruppi coinvolti nelle varie fasi del progetto, dalla concezione alla costruzione, dall’uso alla manutenzione. L’organizzazione stessa del collettivo, la cui struttura costituzionale richiamava quella delle cooperative di lavoratori, impostava le relazioni tra le attiviste sul principio egalitario e a-gerarchico del movimento della proprietà comune, senza alcuna distinzione né di ruolo, né di salario.

Il loro approccio ebbe un profondo impatto sia sulla funzione che sulla definizione stessa di architettura. Con l’ambizione di estendere la nozione di architettura a quella più ampia di «ambiente costruito», il ruolo dell’architetto era visto quale “facilitatore” nella comprensione e concretizzazione delle necessità spaziali dei futuri abitanti. Il progetto per Matrix non si limitava al disegno, ma era inteso quale atto di formazione e strumento di dialogo con le varie comunità, a partire da una raccolta e organizzazione critica di informazioni. Il processo partecipativo costituiva quindi l’occasione per interrogare la relazione tra architetti e utenti, ragionando sui metodi in cui i dati sono raccolti, sulle esigenze delle persone coinvolte e sul tipo di domande poste. Il loro metodo partecipativo è stato messo in pratica in diverse commissioni per edifici pubblici come centri comunitari per donne, strutture specifiche per l’infanzia e per rifugiati.3

Consapevole dell’ermeticità della disciplina dell’architettura, Matrix cercò di democratizzare l’accesso ai processi progettuali e costruttivi e di mettere le proprie competenze a disposizione delle varie comunità attuando un approccio che mirava a riequilibrare il rapporto di potere tra l’esperto e il profano. «Ognuno è un esperto del proprio ambiente – affermava Fran Bradshaw, una delle fondatrici del collettivo – e quello che bisogna fare [come architetta] è trovare i modi migliori per comprendere le competenze delle persone». L’intento di rendere i futuri abitanti, e le donne in particolare, parte attiva nel progetto at­traversa tutto il lavoro di Matrix. Grazie a finanziamenti statali, il collettivo fondò diversi centri di formazione per aiutare donne senza titoli di studio superiori, che non avevano accesso a lavori qualificati o apprendistato, ad acquisire dimestichezza con il progetto e il disegno tecnico, offrendo corsi pratici di costruzione, falegnameria, installazioni elettriche e idrauliche. Questi laboratori erano anche un modo per colmare le divergenze che erano e continuano a essere frequenti tra architetti e utenti, tra progetto e costruzione, e per attivare campagne di sensibilizzazione sui bisogni delle donne, sulla flessibilità dell’orario lavorativo, offrendo consulenze sindacali e consigli su prospettive di carriera.

Matrix credeva nella necessità di riformare l’educazione delle nuove generazioni per riflettere e agire sulle condizioni e valori contemporanei. Diverse collaboratrici hanno insegnato presso il Dipartimento di Environmental Design del Politecnico di North London, e hanno tenuto corsi di progettazione e di preparazione agli studi di architettura, come quello part-time Women into Architecture and Building. Alla base delle loro riflessioni pedagogiche vi era la volontà di contestare la centralità del progetto insegnato esclusivamente nella struttura del design studio, visto quale unica raison d’être di una scuola di architettura. L’educazione promossa da Matrix mirava a fornire una comprensione più ampia dei complessi fattori che influenzano il progetto, interrogando in primo luogo il programma, il sistema delle critiche quale momento di dialogo e formazione, più che atto performativo, sino a offrire prospettive su forme di pratiche alternative, come cooperative e collettivi. I corsi miravano a mettere gli studenti in contatto con gruppi diversi di possibili utenti, sempre nell’intento di costruire una visione più sociale delle proposte progettuali. Attraverso l’insegnamento, Matrix non promuoveva solamente una più alta percentuale di donne tra studenti e personale docente, ma anche asili nido gratuiti e la necessità di occasioni specifiche in cui dibattere le politiche educative.

Nonostante siano passati oramai più di trent’anni dalle esperienze pionieristiche di Matrix, le loro fondamentali domande sulla professione hanno indubbiamente segnato l’inizio di un mo­vimento consapevole per riconoscere e valorizzare un necessario attivismo sociale tramite l’architettura. Matrix, come il nome stesso suggerisce, ha posto le premesse culturali, sociali e politiche affinché la critica femminista si emancipi da facili slogan per divenire una questione di metodo dialettico, inteso quale atto fondamentale per ridefinire il nostro rapporto con l’ambiente costruito.

Note:

  1. Do not carry your flag too low. Actions from Matrix Feminist Design Co-operative è una mostra in corso presso la galleria Archizoom dell’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL), curata da Tiago P. Borges, Teresa Cheung e Silvia Groaz, con la collaborazione di diversi collettivi: la-clique per l’allestimento; Trojan per l’installazione Along opposites; Annex per l’installazione del duplicato della cucina del padiglione di Berta Rahm a Zurigo.
  2. «Non abbiamo concepito un progetto per un’architettura femminista. Quando parliamo del nostro lavoro con diverse persone e gruppi, spesso ci viene chiesto come dovrebbe essere un’architettura femminista, o se le donne progettano tipi di edifici diversi rispetto agli uomini, o ancora cosa si dovrebbe fare per progettare edifici più adatti alle donne. Non ci sono risposte immediate a queste domande. Noi non stiamo prescrivendo la soluzione; stiamo descrivendo un problema», Matrix Feminist Design Co-operative, Making Space. Women and the Man Made Environment, Pluto Press Limited, London & Sydney 1984, p. 8.
  3. I progetti e i documenti di Matrix Feminist Design Co-operative sono interamente accessibili online all’indirizzo: http://www.matrixfeministarchitecturearchive.co.uk.

Verwandte Beiträge