Dra­go rosso su fon­do ver­de

L’ambasciata svizzera a Nairobi (Kenia)

Coi suoi massicci muri rossi l’Ambasciata svizzera a Nairobi, opera dello studio Röösli & Maeder Architekten, emana eleganza e riserbo. La sua architettura, ecologicamente calibrata, in gran parte è l’esito di un’insolita collaborazione keniano-elvetica.

Publikationsdatum
23-11-2020

La via d’accesso attraversa un boschetto che è un probabile residuo della vicina Karura Forest, confinante con il quartiere residenziale. A fine strada c’è una sorpresa cromatica: il semplice muro perimetrale dell’ambasciata svizzera. Nel verde dell’erba ben rasata il suo bruno-rossastro argilloso («coffee soil red») ricorda quel colore del terreno che coi suoi ossidi di ferro, almeno a partire dalla stagione delle piogge, in Kenia tinge senza pietà il basamento di ogni casa. Sfruttando il lieve pendio del terreno, gli architetti hanno fatto sì che guardando l’ambasciata da fuori se ne veda, a seconda dell’angolazione, un piano al massimo.

Solo a chi, dietro il muro, nel giardino rigoglioso, ha già avvistato il rosso brillante della bandiera elvetica e superato la barriera di sicurezza alla portineria, il luogo rivela, nell’ingresso, il proprio lato rappresentativo: gli imponenti lampadari a corona minimalisti, la vetrata frontale a tutta altezza da cui si scorge il giardino tropicale, il massiccio parquet elegante in eucalipto che dalle scale prosegue nei due livelli dell’edificio. Lì i locali dell’ambasciata hanno finestre sorprendentemente ampie, per questo clima e per questa città. La fluidità di vani d’accesso e uffici punta a dissolvere le gerarchie: cooperazione allo sviluppo (DSC), consolato e diplomazia operano sotto lo stesso tetto.

Un segnale nell’Africa orientale

L’ambasciatore Ralf Heckner espone così la rilevanza regionale del Kenia: «È il centro economico dell’Africa orientale, dove si prendono le decisioni più importanti della regione. La città, inoltre, ospita l’ONU coi suoi programmi per l’ambiente e per gli insediamenti umani. Il nuovo stabile mostra che qui la Svizzera ufficiale persegue una presenza solida e durevole». Anche tutto ciò può spiegare l’architettura pregnante, moderna del nuovo edificio; in effetti questo tipo di segnale dato dagli svizzeri sembra fare scuola, o forse il fatto che anche Francia e Australia hanno curato moltissimo le loro nuove ambasciate risponde a una necessità politica e allo spirito dei tempi. Finora non era scontato: in genere le rappresentanze diplomatiche a Nairobi sorgono sì in quartieri privilegiati, ma spiccano piuttosto per i vetri riflettenti alle finestre, i box dei condizionatori antistanti e gli ingressi incorniciati da capitelli corinzi. L’ambasciata progettata dallo studio Röösli & Maeder rispetta lo standard di sostenibilità della Confederazione e soddisfa i requisiti fissati dall’ONU nell’Environment Programme of Sustainability. Quest’ultimo punto è importante per rendere la Svizzera credibile nei dibattiti parlamentari all’ONU, per evitare cioè, in un certo senso, che la comunità internazionale la veda predicare bene ma razzolare male.

Pareti massicce fatte a mano

Dal giardino la costruzione evoca un rettile rossastro arrotolatosi qui fra gli alberi a fare la siesta. Il bilancio termico del rettile spiega, in chiave semplificata, anche quello dell’edificio: la massa dei notevoli muri in calcestruzzo, privi di strati intermedi e ispessiti da riquadri frangisole intorno alle finestre, è sufficiente per immagazzinare calore diurno o frescura notturna. Gli utenti, se non si ostinano a volere una gamma di temperatura ristretta, possono fare a meno dell’aria condizionata. Nei locali il termometro talvolta segna sì 18 gradi nella stagione fredda e 25 in quella calda, ma secondo Christian Maeder, che ha seguito la costruzione in loco, accade pochi giorni l’anno.

Per lui era importante una struttura in calcestruzzo massiccia, creata sul posto. Dapprima in Svizzera sono stati allestiti modelli di casseri per la facciata con macchine CNC a 4 assi, poi però, visto il risultato, si è detto che in Kenia casseri così complessi per getti faccia a vista non erano fattibili; l’ubicazione dell’ambasciata in un quartiere residenziale, dove l’andirivieni dei camion è soggetto a restrizioni, rendeva inoltre impossibile consegnare il cemento con autobetoniere, quindi agli architetti è stato suggerito da più parti di ripiegare su muri intonacati. «Sono contento che ci siamo attenuti alla nostra idea progettuale originaria e che il committente l’abbia appoggiata», dice Christian Maeder. L’appaltatore generale keniano, accettata la sfida, ha sorpreso tutti per i casseri precisi, realizzati col segaccio, e per il calcestruzzo della qualità voluta, prodotto a mano in cantiere.

«La muratura è eccellente. Gli artigiani keniani meritano il massimo rispetto», osserva l’architetto. Qui molto viene fatto a mano, dalla ghiaia ai componenti per tubi d’aerazione, e a suo avviso è un peccato che tutto questo know-how vada perduto con i prodotti finiti importati. Il fenomeno è frequente: nell’Africa orientale le cose non si fanno come in Svizzera. Se però si spiega bene come dev’essere l’esito finale, alla fine il risultato c’è.

A stupire i keniani, viceversa, sono stati i quattro svizzeri che in meno di una settimana hanno montato tutte le finestre di sicurezza a triplo vetro prefabbricate su suolo elvetico. Le loro strette alette laterali di aerazione sono munite di una fine grata metallica: un posto discreto in cui sistemare anche la croce svizzera, che in tutte le nostre ambasciate trova una qualche forma di interpretazione architettonica.

Sono stati impegnativi i circa due metri di profondità delle fondamenta, su cui gli ingegneri svizzeri hanno insistito per la ridotta capacità portante del terreno. Il direttore dei lavori in loco, Simon Johnson, sorride della scrupolosità elvetica, ritenendo che sarebbe bastato anche meno. E racconta che la sfida maggiore, per gli uffici di costruzione keniani, è stata l’esattezza. Il calcestruzzo è sì comunissimo in Kenya, ma alle tolleranze millimetriche per i getti faccia a vista non si è abituati; alla fine però la cosa è andata in porto, e gli artigiani hanno imparato un parametro nuovo della qualità.

Non restare inattivi ma piantare

Le acque reflue raccolte nella parte inferiore del fondo vengono filtrate tre volte e riutilizzate per mantenere il giardino, in cui gli alberi vecchi, dove possibile, sono stati conservati. Il progetto dello studio Röösli & Maeder prevedeva di «dipanare» la costruzione intorno agli alberi, ma per due kapok ammalati si è reso necessario l’abbattimento; peccato, perché le loro capsule, che aprendosi lasciano cadere sul terreno fitti fiocchi serici, stagionalmente l’avrebbero imbiancato… quasi come fa la neve in Svizzera. D’altra parte nel fondo sono stati piantati molti alberi nuovi. La ricerca delle piante adatte per il tetto verde è stata lunga, perché non si voleva che diventasse né un tappeto rinsecchito né una giungla debordante; l’idea ha stupito più di un keniano. Eppure già l’attivista ambientale, premio Nobel per la pace e futura viceministra keniana Wangari Maathai era stata a lungo incompresa in patria, quando diceva: «Solo se prima scavi un buco, pianti un albero, lo innaffi e lo aiuti a sopravvivere hai fatto qualcosa; prima hai soltanto parlato». Un motto semplice, ma che anche noi in Svizzera dovremmo tenere presente.

Partecipanti al progetto

 

Committente Confederazione svizzera, Dipartimento delle finanze; Ufficio federale delle costruzioni e della logistica
Capoprogetto Jodok Brunner

Rappresentante del committente a Nairobi Bautop 2001, Biel-Bienne, con René Häni

Architetti ro.ma. roeoesli & maeder, dipl. architekten eth bsa, Luzern, con Christian Maeder, Philipp Röösli, Adrian Rogger; DMJ Architects, Nairobi (Kenia), con Simon Johnson
Construction management Mentor Management, Nairobi (Kenia), con collaboratore Andrew Ward

Architetto paesaggista Concrete Jungle, Nairobi (Kenia), col collaboratore Bruce Hobson

Ingegneria civile BG Ingenieure und Berater, Bern, con Markus Pieper; Metrix Integrated Consultancy, Nairobi (Kenia), con Khalid Alkizim
Ingegneria impiantistica BG Consulting Engineers, Lausanne, con Maxime Raemy e Benoît Müller; EAMS Ltd. Consulting Engineers, Nairobi (Kenia), con Gordon Schofield


Facts & Figures
 

Concorso di progetto internazionale con procedura libera (GATT/OMC), 2011

Realizzazione 10.2014-8.2016

Consegna 9.2016
Superficie del fondo 4046 m2
Superficie dei locali SIA 416 1512 m2
Superficie utile SIA 416 849 m2
Volume edifici SIA 416 6120 m3

Costi di costruzione (CCC 1-9) 9,3 milioni di franchi

Premi International Design Award IDA (Architecture; Sustainable Living/Green)

Gli articoli del numero speciale «Ambasciate svizzere» verranno pubblicati a puntate qui.

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