Sil­va­no Zor­zi, de­si­gner strut­tu­ra­le

Ha attraversato anni che hanno modificato radicalmente il mondo dell'ingegneria e della progettazione, realizzando ponti con uno spirito da designer. Una panoramica sul percorso di Silvano Zorzi.

Publikationsdatum
02-10-2019
Tullia Iori
Storica dell’ingegneria, responsabile scientifico del progetto SIXXI presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata
Gianluca Capurso
Storico dell’ingegneria, ricercatore del progetto SIXXI presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata

Silvano Zorzi è stato uno dei protagonisti della Scuola italiana di ingegneria del Novecento, insieme a Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi e Sergio Musmeci.

Grande esperto di cemento armato precompresso, ha lasciato un patri­monio di ponti bellissimi, dal Nord al Sud dell’Italia: a Milano, a Genova, a Roma, a Napoli, dal Friuli alla punta estrema della Calabria e giù in Sicilia.

Approfondimento – Qui puoi ascoltare il podcast dove Tullia Iori racconta Silvano Zorzi

Nasce nel 1921: con Nervi corrono 30 anni e con Morandi quasi 20. E sono anni importanti: Zorzi opera solo nel secondo dopoguerra, partecipa attivamente alla ricostruzione, diventa famoso negli anni del boom. Quando arriva la crisi deve affrontarla: è ancora giovane e mentre gli altri due, più anziani, fanno valere le loro carriere all’estero, Zorzi è in Italia che trova un modo per continuare a progettare i suoi «capolavori postumi»: quelli realizzati quando l’ingegneria «Made in Italy» non è la più importante del mondo com’era stato negli anni del miracolo.

Capolavori realizzati in un mondo del lavoro in profondo cambiamento: all’inizio della sua carriera i cantieri sono pieni di operai, che vanno occupati in massa (le opere pubbliche servono anche per sconfiggere la disoccupazione) e che costano pochissimo. Sono gli operai che montano a mano le centine tubolari Innocenti, a cui si affida un cantiere senza macchine e senza attrezzature. Poi però, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il costo del lavoro aumenta rapidamente: le rivendicazioni sindacali introducono finalmente la cassa edile, le ferie, le tutele in caso di malattia e infortuni, la giornata pagata anche se c’è maltempo e non si può lavorare, le 45 ore a settimana, gli straordinari non obbligatori. L’operaio non è più il costo più basso del cantiere: e per questo la costruzione in Italia, soprattutto delle grandi strutture, cambia: si rinnova, accettando l’industrializzazione.

Zorzi però non rinuncia mai all’identità della Scuola italiana, all’originalità del linguaggio delle strutture. La sua sarà un’industrializzazione «all’italiana», senza omologazione.

Se Nervi e Morandi si possono definire «artigiani» puri, che pensano alle loro strutture come grandi sculture alla scala del territorio, come oggetti unici e ­irripetibili, Zorzi invece è più simile a un «designer industriale». Lavora proprio come i progettisti che si dedicano a disegnare tavoli, sedie, lampade, librerie per la produzione industriale. E non è strano: perché un ponte è più simile a un tavolo che a una casa: è un oggetto d’uso, funzionale. E Zorzi è, a pieno titolo, un designer del Made in Italy, parte integrante di quel mitico gruppo che da Milano, a partire dagli anni Settanta, conquista i vertici mondiali in questo settore.

Designer che immaginano un prodotto funzionale senza rinunciare alla qualità della manifattura artigianale; riproducibile in serie, ma limitata; industriale, ma di fatto realizzato in fabbriche a gestione famigliare, con attrezzature flessibili, capaci di riorganizzare il ciclo produttivo per adeguarsi ai nuovi prototipi.

Usando una metafora legata a un altro cavallo di battaglia del Made in Italy, che è la moda, Nervi e Morandi si possono definire sarti di haute couture, da atelier; e invece Zorzi uno stilista del prêt-à-porter, che non disegna più un capo unico, ma è proprio come i primi stilisti milanesi di inizio anni Settanta che sfilano con le loro piccole collezioni: uno stilista minimalista, se volessimo cercare una definizione per il suo stile.

Per continuare a leggere il saggio di Tullia Iori e Gianluca Capurso, acquista qui Archi 5/2019. Qui puoi invece leggere l'editoriale.