Un'intervista con Xu Tiantian, DnA_Design and Architecture
Ospite di Mantovarchitettura il 13 maggio alla Casa del Mantegna, Xu Tiantian porta in Italia il suo approccio sensibile e strategico, basato sull’“agopuntura territoriale”: piccoli interventi capaci di attivare grandi trasformazioni nelle aree rurali cinesi
Matteo Moscatelli: Raccontando dei tuoi lavori hai citato il concetto di “agopuntura territoriale”, definendola come una strategia generale che coinvolge l'intero territorio e come un programma d'intervento a cui tutti i progetti che hai elaborato fanno riferimento. Come è iniziata questa ricerca?
Xu Tiantian: È iniziata nel 2014, quando siamo stati invitati nella Contea di Songyang a trascorrere qualche giorno di visita e di studio. Era la prima volta in vita mia che vedevo i villaggi rurali di montagna e sono rimasta molto colpita dalla loro bellezza e complessità.
È stato un viaggio durante il quale le persone che incontravamo ci chiedevano continuamente opinioni o consigli su cosa potevano fare per migliorare le loro condizioni di vita. È così che abbiamo iniziato a impegnarci nell'ambito delle aree rurali, partendo con interventi puntuali e piccoli progetti. Il primo anno abbiamo lavorato come consulenti, fornendo semplicemente alcune soluzioni alle comunità dei villaggi. La collaborazione è poi proseguita con l'elaborazione di alcuni disegni e con il supporto tecnico durante la fase di costruzione degli edifici. Per noi è stato davvero gratificante compiere questa esperienza di apprendimento e al contempo osservare l'impatto positivo delle soluzioni che avevamo proposto.
MM: La tua formazione è internazionale. Hai studiato alla Tsinghua University di Pechino e poi negli Stati Uniti alla Harvard Graduate School of Design per la Laurea in Architettura e Progettazione Urbana. Questa fase della tua vita ha in qualche modo influenzato l'approccio progettuale che hai poi adottato?
XT: I miei studi si sono svolti molti anni fa (eravamo in un altro secolo!) e l'istruzione era molto diversa da quella di oggi. Quando andavo all'università i programmi dei corsi erano incentrati sull'architettura, sulla progettazione urbana e sull'urbanistica ma, anche se in quel periodo non si parlava ancora di questione rurale, le problematiche di queste zone iniziavano a essere oggetto di riflessione, offrendo nuovi spunti per la ricerca e il progetto.
Se ripenso alla mia formazione, direi che la mia principale fonte di apprendimento è stata la cultura del costruire e l'architettura anonima, e che quindi il momento più importante è ancor oggi l'interazione con la popolazione locale.
MM: Riflettendo sul tuo approccio alla costruzione, ripercorrendo alcuni lavori recenti, mi sembra che le scelte riguardanti i materiali derivino non solo dalla necessità di ottenere determinate prestazioni, e quindi da considerazioni riguardanti la loro resistenza o capacità di isolamento, ma anche dalla possibilità di instaurare un dialogo con il luogo. Mi piacerebbe approfondire questo aspetto: qual è il tuo approccio rispetto alle scelte costruttive e quali sono gli elementi del progetto che ritieni possano favorire una relazione col contesto?
XT: È un'ottima domanda. Per me il materiale ha non solo una dimensione fisica e tangibile ma anche un significato intangibile che permette di generare un dialogo culturale. All'inizio certamente si valutano le sue caratteristiche prestazionali e funzionali, poi però ci si rende conto che scegliere un materiale giusto può essere anche un modo per valorizzare le risorse locali.
Queste scelte dipendono chiaramente anche dalle condizioni al contorno di ciascun progetto. Noi ad esempio lavoriamo spesso con i materiali naturali, ma non escludiamo a priori quelli moderni. Questo avviene non perché vogliamo evitare di apparire nostalgici, ma anche perché gli abitanti con cui ci confrontiamo hanno aspettative ed esigenze differenti. Ogni comunità è come una persona, ha un carattere diverso.
Nella Brown Sugar Factory, per citare un'esperienza diretta, gli spazi produttivi richiedevano una struttura industriale leggera. In questa occasione anche i lavoratori e gli abitanti del villaggio hanno concordato sul fatto che il sistema costruttivo che abbiamo proposto fosse il più opportuno, perché lo consideravano il più adatto e pratico per la loro attività.
Il materiale è un riflesso delle intenzioni di ogni comunità e, se capiamo che quello che stiamo ipotizzando di impiegare non è adeguato, possiamo semplicemente individuarne un altro all'interno del contesto in cui lavoriamo. Abbiamo la possibilità di prelevare i materiali dai fiumi e dalle montagne, basandoci quindi su ciò che è disponibile e facilmente reperibile. In questo modo, attraverso le nostro scelte costruttive, ciò che realizziamo riesce a istituire una relazione col luogo.
MM: Hai detto che i tuoi lavori cercano un'interazione non solo con la dimensione fisica delle costruzioni esistenti, ma anche con quella immateriale che deriva dai modi di vivere, produrre e costruire. In altre parole, mirano a sviluppare relazioni non solo con la componente tangibile ma anche con quella intangibile. Che valore e che ruolo ha per te il patrimonio culturale che le comunità per cui progetti custodiscono?
XT: Penso che l'eredità culturale sia costituita dalle modalità con cui una comunità organizza la propria vita in un luogo specifico nel corso di diverse generazioni. È una questione di “collettività”, una parola che ritengo molto forte e molto appropriata. È molto importante interagire con gli abitanti dei villaggi e costruire anche attraverso le loro indicazioni un dialogo con il patrimonio locale. Questo potrebbe sembrare solo un aspetto parziale del nostro compito, ma è in realtà il verso scopo dell'architettura.
MM: La tua ricerca si concentra su un tema molto attuale nel dibattito sull'evoluzione del territorio cinese: il conflitto tra rurale e urbano. Come hai visto evolversi questo rapporto, da quando hai iniziato a lavorarci?
XT: All'inizio ero sopraffatta dalla situazione delle realtà rurali, ritenendola una vera e propria urgenza sociale. Ma, dopo aver iniziato a operare in questo ambito, mi sono resa conto che la questione del mondo rurale non può essere separata dalle altre, perché anche nel contesto urbano abbiamo molteplici sfide da affrontare. Da questo punto di vista, se riusciamo a migliorare le condizioni di vita nelle aree rurali, questo nostro sforzo ci consentirà di ridurre la pressione su quelle urbane, attraendo persone e costruendo un mondo alternativo in campagna.
Penso che il nostro problema di fondo consista sempre nell'integrazione tra urbano e rurale, due ambiti che non possono essere separati. Stimolando la circolazione e la connettività tra questi due mondi possiamo dotare i villaggi di campagna di risorse aggiuntive: è una relazione reciproca.
MM: Hai svolto e continui a svolgere attività di insegnamento in tutto il mondo, da Pechino a Milwaukee passando per Mendrisio. C'è qualche relazione tra i temi che sviluppi nella tua attività professionale e quelli che proponi nella didattica?
XT: Certamente sì. Ho sempre pensato che l'attività didattica non possa essere separata da quella professionale, e che l'esperienza che acquisiamo nella pratica possa portare benefici all'insegnamento. Forse questa è la più grande lezione che possiamo offrire ai nostri studenti.
Nel progetto per l'isola di Meizhou, ad esempio, stiamo ora lavorando con l'ecologia degli oceani. Questo semestre, nell'ambito dell'insegnamento all'Università del Wisconsin, abbiamo lavorato su un'infrastruttura idrica appena fuori Milwaukee, assumendo questa ricerca come un sistema parallelo al nostro progetto. Anche in questa situazione abbiamo potuto verificare che, anche se si vive in paesi diversi, con contesti culturali e sociali specifici, le attività che si svolgono sono molto simili. In fondo si tratta sempre di individuare le modalità con cui le persone cercano di migliorare la propria vita in un determinato luogo.
Questo è davvero affascinante e ti fa capire come sia la pratica professionale che l'insegnamento abbiano una grande rilevanza, perché entrambi hanno a che fare con l'esplorazione e la comprensione della vita. Penso insomma che l'attività didattica e quella professionale si alimentino a vicenda. Questo è molto gratificante per me, sia come progettista che come docente.
MM: Quello che hai detto mi ricorda che c'è una grande differenza tra sviluppare un metodo basato sull'ascolto del luogo e imporre uno stile basato sull'autoreferenzialità...
XT: Certamente. Se hai costruito un metodo solido, in ogni luogo dove interverrai sarai portato a porti le stesse domande ma a dare, a seconda delle circostanze, risposte differenti. Noi non imponiamo le stesse soluzioni ovunque, perché riteniamo che progettare debba porsi come obiettivo non la ricerca di uno stile ma l'identificazione della strategia sociale e della soluzione più efficace per risolvere problemi e sviluppare potenzialità.
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