Prix Me­ret Op­pe­n­heim 2023

L’Ufficio federale della cultura (UFC) attribuisce per la ventitreesima volta il Gran Premio svizzero d’arte / Prix Meret Oppenheim a tre personalità di spicco della scena culturale svizzera: le vincitrici e i vincitori dell’edizione 2023 sono lo storico dell’arte e mediatore Stanislaus von Moos, l’artista Uriel Orlow e il collettivo Parity Group.

Data di pubblicazione
02-02-2023

Come la produzione artistica e architettonica, il Prix Meret Oppenheim non è senza tempo, bensì riflette i processi di trasformazione sociale. Con l’assegnazione di questo Premio svizzero d’arte al critico von Moos, all’artista Orlow e al collettivo Parity Group, quest’anno viene data maggiore visibilità a temi di grande attualità.

La mediazione coerente di contesti e i collegamenti interdisciplinari nel lavoro di Stanislaus von Moos da una parte e la trasposizione critica di letture del passato in un presente postco-loniale in quello di Uriel Orlow dall’altra sono integrati dall’attualità e dalla forza innovatrice del collettivo Parity Group. In un’epoca di cambiamenti che solleva interrogativi sul ruolo che la formazione in architettura, la professione stessa e i suoi protagonisti e protagoniste do-vrebbero svolgere all’interno della società, un collettivo in continua evoluzione impegnato a favore delle pari opportunità e della diversità nell’architettura si presenta come un modello da seguire. Tutti i vincitori del Gran Premio di quest’anno sono accomunati da una modalità di lavoro inclusiva e interdisciplinare e dal dialogo con diversi attori. Dal punto di vista dei contenuti, il Gran Premio svizzero d’arte di quest’anno chiude quindi un cerchio e nel suo essere attuale resta orientato al futuro, una caratteristica propria della coraggiosa Meret Oppenheim dalla quale il Premio prende il nome.


Stanislaus von Moos

«Ogni tanto bisogna anche spostarsi di un passo o due per vedere le cose dal di fuori della cultura nella quale si agisce.»

Lo storico dell’arte Stanislaus von Moos è noto in tutto il mondo per le analisi percettive degli ambienti costruiti e del modo in cui vengono plasmati da complessi processi storici, politici, economici e ideologici. Le sue acute critiche della cultura materiale promuovono una comprensione più profonda del mondo in cui viviamo. Curiosi e impegnati, eruditi e divertenti, gli scritti di von Moos risuonano con il pubblico all’interno e all’esterno dell’accademia.

Negli ultimi 60 anni il lavoro di Stanislaus von Moos come studioso, curatore ed educatore ha creato ponti tra l’architettura e l’arte, la storia e la critica, la cultura alta e quella bassa, l’espansione urbana e i paesaggi artificiali. Ha affrontato una grande varietà di temi, dalle fortificazioni militari rinascimentali alle avanguardie moderniste, dalla cultura pop al minimalismo. I suoi diversi interessi, veicolati con un tono lucido e spesso ironico, nascono da una passione incessante per l’architettura e l’arte quali espressioni della condizione moderna. Il suo contributo è stato decisivo per comprendere l’opera di architetti come Le Corbusier, Karl Moser, Max Bill, Robert Venturi e Denise Scott-Brown, Herzog & de Meuron e Rem Koolhaas, ma anche di artisti come Václav Požárek, Pipilotti Rist, Peter Fischli e David Weiss, per citarne alcuni.


Uriel Orlow

«Dobbiamo affrontare il presente, ma il passato non è semplicemente trascorso. Resta sempre con noi, nei fantasmi che ci abitano. Nel tempo questa realtà si è espressa in modi diversi nel mio lavoro».

Muovendo dalla ricerca e orientandosi ai processi, il lavoro artistico di Uriel Orlow è spesso in dialogo con altre persone e discipline e si sviluppa nel lungo periodo. Nei suoi progetti affronta le tracce del colonialismo, le manifestazioni spaziali della memoria, la giustizia sociale ed ecologica e i punti ciechi della rappresentazione, mettendo in scena le piante come attrici politiche.

Nei cicli di opere multimodali creati negli scorsi anni, come per esempio Theatrum Botanicum (2015–2018), Uriel Orlow esplora il ruolo delle piante come testimonianze della storia del colonialismo europeo e dei cambiamenti climatici nonché come custodi della memoria. A partire dalle piante cerca di dar vita a «intrecci più che umani» (more-than-human entanglements) e ad altre forme di resistenza. In lavori precedenti, tra cui The Benin Project (2007/2008) o Unmade Film (2012/2013), l’artista affronta temi come il furto di beni culturali nel contesto del colonialismo, la necessità di restituirli e le dimensioni materiali e psicologiche dei luoghi segnati da traumi storici.


Parity Group

«Negli ultimi anni abbiamo assistito a una svolta: siamo passati dall’impostare un dibattito che non si realizzava, alla sua riuscita. Il Parity Group si è trasformato da promotore di questo tipo di discussioni a una piattaforma in cui sono prosperate numerose iniziative diverse».

Parity Group è un’iniziativa dal basso nata al Dipartimento di architettura (D-ARCH) del Politecnico federale di Zurigo. Avviato nel 2014 da un gruppo di collaboratori e collaboratrici scientifici del dipartimento all’interno dell’istituzione accademica, il Parity Group si afferma da allora come una piattaforma dove discutere e intervenire su questioni quali parità, diversità, disuguaglianza e critica istituzionale, rappresentando una rete e un punto d’incontro per gli attori accademici (dagli studenti e studentesse agli assistenti, docenti e insegnanti) che richiama l’attenzione su questi argomenti cruciali.

Dal 2016 il Parity Group ha istituito e ospita i Parity Talks, un convegno dedicato alla diversità e all’uguaglianza di genere che si svolge ogni anno l’8 marzo, giornata internazionale dei diritti della donna. Si tratta di un forum di discussione pubblico che coinvolge ospiti nazionali e internazionali. Diventato un evento annuale di spicco nel calendario delle manifestazioni svizzere di architettura, contribuisce a promuovere il dibattito sulla diversità e l’inclusione all’interno della comunità architettonica. Gli esiti della prima edizione hanno consentito al Parity Group di redigere e lanciare il manifesto 9 Points for Parity (9 punti per la parità), un elenco di misure strategiche volte a migliorare l’equilibrio di genere all’interno del dipartimento.