Ni­kos Kte­nàs, un si­gnor ar­chi­tet­to se­ria­men­te di­ver­ten­te

Mauro Cereghetti e Karim Notari ricordano l’architetto greco Nikos Ktenàs, la sua vita privata e professionale tra New York, il Ticino e la Grecia.

Data di pubblicazione
28-09-2022

Il 13 luglio di quest’anno Nikos ci ha lasciato e di lui, che in pochi conoscevano veramente da vicino, scriviamo noi che con lui abbiamo condiviso molti anni di vita e di lavoro.

Il perché del suo sbarco in Ticino lo raccontava sempre con orgoglio: aveva visto un progetto di Luigi Snozzi al MOMA di New York, dove si era laureato alla Cornell University e, profondamente colpito da quell'architettura, con un paio di compagni di università aveva affrontato un lungo viaggio in Europa, a bordo di una Renault 5 a noleggio. Già alla fine del viaggio si propose a Snozzi per un posto da assistente a Losanna, dove rimase per dieci anni (e fu qui che uno di noi, Mauro, allora studente, lo conobbe). In quel periodo lavorava anche a tempo parziale presso gli architetti Elio Ostinelli e Fabio Muttoni a Chiasso (fu questo il luogo del primo incontro con Karim, lʼaltro autore di questo testo). È stato dunque in queste due occasioni che le nostre strade si sono incrociate.

Nel 1989 abbiamo iniziato a condividere un ufficio, mantenendo stretta la nostra indipendenza ma criticando a vicenda i progetti. È nata così una fortunata serie di concorsi fatti a tre. I motti utilizzati da Nikos per i concorsi lasciavano trasparire il rigore del suo modo di progettare ma anche l’allusione al fatto che nulla potesse essere definitivo. Uno di questi, sul quale abbiamo ironizzato moltissimo, con il suo divertito disappunto, era «verità logiche». Di concorsi ne ha prodotti tanti, tutti di altissimo livello. L’unico che abbiamo condiviso è stato quello per il Kursaal di Lugano. Ovviamente ci ha guidati come un vero «capo gentile» e il risultato è stato davvero positivo.

Per pagarsi gli studi alla Cornell, Nikos a New York fece il cameriere, in un ristorante diretto da quella che sarebbe poi divenuta sua moglie. Per la famiglia di lei costruì le sue prime tre case in Ecuador; per il cantiere aveva preparato un vero e proprio «manuale d'uso» di più di cento pagine A3, disegnate a mano, con un’infinità di informazioni che venivano prontamente ignorate. Dei suoi racconti di New York, uno dei nostri preferiti era quello di una Fiat 124 coupé che aveva comprato d’occasione e restaurato per strada. Ogni suo lavoro manuale era eseguito con una precisione maniacale e lo stesso pretendeva dagli artigiani in cantiere, cosa difficile sia in Ecuador che in Grecia. Basta tuttavia guardare le sue realizzazioni per capire il livello che riusciva a raggiungere.

La ricchezza dei suoi racconti era sempre garantita dall’incrocio di tre culture: la greca, la svizzera e l’americana. La sua elasticità mentale gli permetteva di capire anche ogni minima sottigliezza, in qualsiasi ambito.

Mentre Karim insegnava all’Accademia di Mendrisio, Anna Sarnelli, assistente del professore Alfredo Pini, gli chiese se poteva indicarle un giovane architetto che utilizzasse il beton con «criterio». Così per Nikos fu l'occasione di presentare un suo edificio ancora in costruzione: casa Papagu ad Atene. Alla fine della lezione, Pini si complimentò con lui, dicendogli: «Ho apprezzato molto la tua architettura ma soprattutto il coraggio di aver presentato un edificio ancora incompiuto». All’Accademia, qualche anno più tardi, ci tornò in veste di professore invitato.

In quegli anni, Nikos ci invitò in Grecia e ci accolse in ufficio, dandoci subito qualcosa da fare. Si lavorava ancora a mano ed era facile completare un disegno. Abbiamo visto casa Papagu dal vivo e sia l'architettura sia le finiture erano perfette. L’ultimo giorno della nostra permanenza ci portò al mare ma si presentò in spiaggia come se fosse in ufficio. Gli mancava solo la cravatta. Era un vero greco che rispettava il mare, quindi non ci entrava, diceva ridendo. Un altro momento di sincera ilarità fu quando Aurelio Galfetti gli chiese dove ordinare delle palme dattilifere per la sua casa di Paros. Ovviamente le palme dattilifere divennero seduta stante «dattilografe», allusione volutamente malcelata a quel mondo femminile così intrigante agli occhi di Nikos. Nel 1992 anche Livio Vacchini gli chiese un consiglio per un terreno in Grecia.

La mostra organizzata nel 2002 a Casa Cattaneo a Cernobbio (Dialoghi mediterranei), curata da Pierre-Alain Croset, fu per Nikos un evento importante, un modo per fare il punto sul proprio lavoro, senza tuttavia prendersi troppo sul serio.

Gli piaceva disegnare e i suoi schizzi, come quelli dei grandi architetti, sembravano una scrittura programmatica, contenevano già tutto. Poi c’è stato il passaggio al computer, partito con grandissimo slancio e trasmesso anche a noi. E tuttavia, l'amore per il disegno spesso lo riportava inevitabilmente alla carta, nonostante le nostre divertite sollecitazioni a non mollare.

L’ultima volta che l'abbiamo sentito, ci ha detto che il suo sogno era tornare in Ticino, dove voleva trascorrere i suoi ultimi anni da pensionato. Purtroppo non ci è riuscito. Il suo ricordo è qui, come il nome sul campanello, che non toglieremo mai. Nikos ci ha portato una ventata di cultura e di spirito antico, proiettati verso il futuro; in molti ne hanno approfittato ma in pochi l’hanno apprezzato. Noi due ci siamo arricchiti moltissimo.