Il con­cor­so

Deontologia e confronto

Il concorso e le sue forme: tra spunti etici, deontologia professionale e considerazioni di valore.

Data di pubblicazione
04-08-2019

In merito alla deontologia da parte degli architetti e ingegneri riferita ai rapporti con gli enti pubblici, un testo di Giancarlo Ré ha recentemente affrontato il tema con opportune considerazioni di natura etica. Il testo evidenzia le insidie della nostra realtà professionale e politica, miniaturizzata nelle distanze e nel numero di attori. Nel groviglio di parentele, amicizie e affinità ideologiche, Giancarlo Ré evidenzia giustamente la tensione morale da un lato e, dall’altro, la corretta aggiudicazione dei mandati pubblici attraverso – si sottolinea – lo strumento del concorso pubblico. Per onestà intellettuale, invece che sulla disertazione etico-filosofica o giuridica dei cavilli legali, preferisco proiettare il mio sguardo proprio sulla procedura del concorso, indagando le sue peculiarità inerenti al tema, convinto della sua centralità.

Sin dall’inizio vorrei sottolineare un forte distinguo tra il concorso cosiddetto d’onorario da quello di progetto, assumendo posizione chiara a favore del secondo. Questo, e forse apparirà banale sottolinearlo, poiché nell’aggiudicare una prestazione intellettuale si dovrebbe verificare in primis proprio l’attitudine al pensiero.

In un concorso di progetto appare auspicabile il confronto proprio sul contenuto del mandato, al fine di dimostrare la propria idoneità in ragione delle capacità d’affrontare e risolvere il tema specifico, nel luogo predestinato. L’auspicata qualità dell’opera, inclusiva dei diversi parametri di giudizio, dev’essere l’oggetto di valutazione. Il principio dell’idoneità dell’opera prima dell’idoneità della persona, risponde alla fattispecie in esame, ossia un’attribuzione scevra di favoritismi personali, aderente al paradigma dell’oggettività deontologica. In relazione a quest’ultima, l’anonimato di chi si pone a confronto, attraverso il concorso di progetto, permette maggior limpidezza e sarebbe, a mio giudizio, da preferire per coerenza. Accanto alla procedura anonima con partecipazione libera, ossia non restrittiva, che rappresenta la forma di confronto più ampia, altre modalità di concorso non anonime o non perfettamente anonime, concedono sufficienti elementi di giudizio obiettivi e specifici all’opera, come il mandato di studio parallelo o la procedura su prequalifica. La formula però più integra ed affascinante è pur sempre, a mio giudizio, quella libera senza restrizioni che pone la giuria davanti all’obiettività del valore di un progetto muto della sua provenienza. Questa formula custodisce anche l’opportunità per giovani talenti di poter emergere, appunto dall’anonimato, grazie alle nude capacità. Il vasto interesse che i concorsi aperti riflettono può comprensibilmente scoraggiare gli enti pubblici e porre il quesito sull’adeguatezza di tanto lavorio e dispendio da parte di schiere di progettisti. Ma penso che questo sia altro che deontologia, piuttosto un problema di adeguare la formula, ad esempio con concorsi a due fasi e, in ogni caso e soprattutto, commisurare le richieste ai progettisti adeguatamente allo scopo che il concorso si prefigge: ossia aggiudicare il mandato in relazione alla prospettabile qualità e fattibilità dell’opera.

Il concorso d’onorario è per contro, a mio giudizio, erroneo nel suo principio congenito, di attribuire un’opera pubblica attraverso una valutazione finanziaria, senza un confronto di pensiero specifico all’opera da attribuire, sebbene questa nasca proprio da un processo intellettuale. Il costo d’onorario senza l’espressione dell’intenzione progettuale è mera speculazione e non offre garanzie né sulla qualità dell’opera pubblica né sulla pertinenza tra ipotesi finanziaria e realtà costruita, sia per l’autore sia per la committenza. La cosmesi nei fattori di giudizio, con criteri soggettivi rispetto all’idoneità dei candidati, non permette comunque il giudizio peculiare sull’opera specifica e introduce elementi di giudizio sui valori personali. Dal profilo deontologico la procedura manca quindi di limpidezza e dal profilo della qualità dell’opera specifica non offre alcuna indicazione.

Mi soffermo su quest’ultimo aspetto, centrale, e sottolineo che il concorso di architettura o ingegneria civile deve essere luogo d’eccellenza di confronto e di ricerca. Attribuire un mandato pubblico senza un confronto di idee può essere un’occasione persa per i valori in campo e, dal profilo deontologico, una potenziale manchevolezza dei professionisti nei confronti degli enti pubblici, ma anche, e mi permetto di sottolinearlo, degli enti pubblici nei confronti dei professionisti.

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