La cultura del con­corso

Serie: I 20 anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, l'intervista a Luigi Snozzi di J. Chimchila Chevili dal no. 4/2000. «Il criterio primo, quello della qualità del progetto, oggi tende a diventare l’ultimo».

Date de publication
20-08-2018
Revision
07-03-2019

Come mai, secondo Lei, in Ticino, rispetto ad altri cantoni svizzeri e paesi europei, si fanno meno concorsi?

In Ticino, la cultura del concorso, non è mai vera mente esistita. Negli anni Settanta, quando si so no progettate e poi costruite le scuole, non sono stati organizzati dei concorsi, ma si sono formati dei gruppi di lavoro, di cui hanno fatto parte alcuni architetti. Poi, le somme di quelle esperienze purtroppo sono state sottovalutate e con il tempo abbandonate. Il motivo principale va ricercato nelle difficoltà incontrate, dovute ai tempi di gestione e ai ricorsi che li hanno seguiti. Si è ricominciato ora, col concorso per l’Archivio di Bellinzona. Adesso si è svegliata anche Lugano. Se da una parte, oggi, è possibile individuare alcuni miglioramenti con l’apertura, ad esempio, sopra una certa soglia, ai professionisti di altri cantoni e paesi, credo, purtroppo, che, con o senza le normati ve europee, la situazione stia peggiorando di giorno in giorno. Penso, ad esempio, ai concorsi su preselezione.

Quali sono, secondo Lei, gli obiettivi essenziali del concorso?

L’obiettivo prioritario è quello di individuare, evidentemente, il migliore progetto. Ora nel processo sopra descritto della preselezione, l’architetto è messo da parte, diventa l’ultima pedina del gruppo. Il criterio primo, quello della qualità del progetto, oggi tende a diventare l’ultimo. Vengono in vece valutati la struttura dell’ufficio per realizzarlo, la capacità a gestire i tempi ed i costi di realizzazione, o ancora, nel caso di un concorso per la realizzazione di una scuola, se in precedenza, si è già costruito una scuola. Questo è molto grave, perché comporta, in pratica, l’eliminazione dei giovani, cioè proprio di quelle figure che necessitano del concorso per potere emergere.

Lei pensa che esiste una figura, o una commissione, che dovrebbe fare da tramite tra l’architetto e il politico?

La figura dell’architetto cantonale, secondo me, può andare bene a patto che egli non sia un semplice funzionario che gestisce il patrimonio dell’edilizia pubblica o che si occupa della manutenzione degli stabili pubblici. Deve essere una persona dotata di un potere decisionale, in grado di pro muovere una politica di promozione dell’architettura. Non può essere una figura sottomessa, ma qualcuno di profilato.

Vi sono stati, in Europa, alcuni esempi straordinari: penso ad Oriol Bohigas, a Barcellona, che nel periodo in cui ha gestito il Dipartimento costruzioni della città non ha interpretato la sua funzione co me sola gestione del Piano regolatore, ma ha promosso, con delle decisioni unilaterali molto efficaci, una politica urbana basata sulla creazione di nuovi spazi pubblici, ed in particolare, di molte piazze per la città.

Lo stesso dicasi del Ministro Vogenhuber a Salisburgo, la cui grande personalità, quando era a capo del Dipartimento delle costruzioni e del territorio, ha permesso la realizzazione di molte opere di qualità. Se questo non avviene, vi possono esse re immensi pericoli in agguato. Nel caso di Salisburgo poi, vi era una commissione internazionale che esaminava i progetti, il cui ruolo non era decisionale, ma semplicemente consultivo, la quale ha bandito tutta una serie di concorsi ad inviti, ove il criterio di appartenenza geografica era di secondaria importanza. Sono così state invitate delle personalità come Siza, Bétrix, Consolascio e altri architetti europei, ma per poterlo fare aveva alle spalle qualcuno in una posizione di potere: se no, è praticamente impossibile.

Lei ha preso parte, sia come progettista, sia come giurato, a numerosi concorsi di architettura, in Svizzera e all’estero. Vi sono, secondo Lei, aspetti o insegnamenti, che potremmo trarre da quelle esperienze?

Io credo che in Svizzera, rispetto a molti altri Paesi, abbiamo, in regola generale, delle giurie più qualificate. Rispetto all’Europa, ad eccezione della Francia che ha realizzato moltissimi progetti di concorso, da noi invece, poche sono state le realizzazioni che hanno seguito. Sarebbe sicuramente auspicabile trovare il modo di ovviare a questa situazione.

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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