In­ter­vista a Oli­ver Mar­tin

Oliver Martin è laureato in Architettura presso l’ETHZ di Zurigo, consegue il dottorato presso lo stesso istituto. Ricopre diversi incarichi all’Ufficio Federale Svizzero per la Cultura, finché nel 2012 diventa caposezione al Patrimonio culturale e monumenti storici e responsabile della tutela politica della Baukultur della Confederazione. Delegato svizzero presso la commissione UNESCO dedicata al Patrimonio mondiale, il 2 dicembre 2017 viene eletto Presidente del Consiglio dell’ICCROM, il Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali.

Date de publication
30-07-2018
Revision
01-10-2018

Quali sono le tre cose che più hanno contribuito alla sua formazione?

Sicuramente gli anni passati a Roma: ho dedicato la mia ricerca di dottorato al neorealismo italiano e in particolare all’atteggiamento di rinnovato umanesimo che si diffonde nel secondo dopoguerra e che riporta l’uomo al centro del pensiero progettuale. Prima di questo mi sono interessato alla cooperazione nei paesi latinoamericani con un lavoro su una favela, che mi ha permesso di sviluppare una forte attenzione all’abitazione, alla forma urbana, all’uso dello spazio e alla qualità dell’ambiente costruito. Ho intervistato persone che vivono nella favela ed è stato interessante per me arrivare a capire i loro bisogni. Infine, non ho lavorato molto come architetto, ma quando mi è capitato di entrare in uno spazio che io avevo disegnato e l’ho visto per la prima volta costruito, ho provato un’emozione forte: la sensazione di conoscere già tutto, perché lo avevo immaginato, ma allo stesso tempo la sorpresa.

Un articolo sulla sua elezione alla direzione dell’ICCROM la definisce «protettore dei beni culturali»: come vive questa carica? Che cosa è per lei il patrimonio?

Il patrimonio è la Storia: spesso quando parlo di patrimonio culturale porto con me un reperto preistorico ritrovato in uno dei nostri laghi e proveniente da una palafitta di 5000 anni fa. Il legno porta i segni del lavoro dell’uomo che ha tagliato questo palo per costruirsi la casa e quando lo faccio toccare alle persone del pubblico, ognuno ha una reazione emotiva forte, che si prova solo quando si è a contatto con una materia antica ma viva, che è la sostanza stessa della Storia. Possiamo utilizzare questo patrimonio, viverlo, ma dobbiamo avere cura di questi valori, perché non possono essere ricreati. Il patrimonio per me è questo: è la Storia che ci racconta di tutte le persone che sono state qui prima di noi e ci rende consapevoli di tutte quelle che verranno dopo. In tedesco lo si chiama «den Schauer des Geschichte», il brivido della Storia. Ho mostrato anche un’immagine della Cueva de las Manos in Argentina, una caverna dove 13000 anni fa molte persone hanno appoggiato le mani sulla roccia e hanno spruzzato del colore perché rimanesse l’impronta: quel gesto è un’opera d’arte e insieme racconta una storia. Lo stesso accade quando si visita un edificio che ha anche solo cent’anni e si osserva che i gradini delle scale sono consumati al centro, dove passano le persone. La mia visione del patrimonio è connessa all’uomo più che al valore scientifico dei beni; l’edificio, senza un legame affettivo e identitario, è solo sostanza, mentre attraverso l’emozione diventa valore. 

Come interpreta il concetto di Baukultur e come lo traduce nelle altre lingue?

La terminologia è una questione importante: dopo lunghe discussioni abbiamo tradotto il termine in francese con «la culture du bâti» e in italiano con «la cultura della costruzione», mentre in inglese è rimasto invariato. È una terminologia nuova, che deve essere riempita di significati per poter corrispondere a Baukultur, una parola che ha un valore molto ampio e designa tutte le espressioni del costruito. In ambito tedesco il termine indica solo le costruzioni che implicano una qualità, mentre in Svizzera Baukultur include tutto il costruito, anche capannoni e supermercati, in quanto espressioni della cultura della costruzione contemporanea. La direzione proposta dalla Dichiarazione di Davos è quella di integrare sempre più i concetti di qualità e Baukultur, per produrre una cultura della costruzione che non si limiti ai casi eccezionali del patrimonio o alle architetture delle grandi firme, ma che si occupi anche del quotidiano, della residenza, delle infrastrutture.

Il patrimonio è costituito sia dall’ambiente naturale che da quello costruito: come si comportano gli strumenti di tutela nei confronti di questi due mondi? 

La nostra legge attuale è del 19661 e presenta una visione abbastanza progressista, secondo la quale il paesaggio è un insieme che integra beni culturali e naturali, e ancora oggi il nostro lavoro politico sulla Baukultur viene fatto in stretta collaborazione con chi si occupa della tutela del paesaggio. In Svizzera sono rimaste alla stato naturale solo alcune vette di montagna, mentre tutto il resto del territorio è paesaggio culturale: dunque il legame tra patrimonio e natura è molto stretto. La tutela del paesaggio ha diversi livelli di protezione, dalla proibizione totale di costruire ai parchi naturali regionali, dove si abita e si lavora, e dove è importante avere un’alta qualità della costruzione, che si tratti di restauro o di nuova costruzione.

Per far questo c’è bisogno di dialogo: adesso in Svizzera c’è una forte pressione verso lo sviluppo, anche attraverso la densificazione edilizia, che è diventata una nuova premessa legale. Per creare infrastrutture e costruzioni bisogna però verificare che ci siano le condizioni per un progetto di qualità e ogni tanto, quando non sussistono, saper rinunciare.

Come si sollecita un progetto di qualità? E come se ne veicola il valore a livello popolare?

Tutto si gioca sul piano della coscienza: bisogna riflettere sulla qualità anche quando si costruisce un autogrill o un comparto industriale. Ad oggi questo è assodato per quanto concerne i centri storici e i villaggi, mentre nessuno si occupa dei territori di periferia, degli spazi di risulta tra le diverse città, zone che hanno il diritto di vedere un miglioramento.

Per la popolazione è fondamentale creare dei riferimenti e indurre una presa di coscienza, cominciando molto presto, dai bambini. Ad oggi non c’è un programma educativo in merito ed è anche difficile pianificarlo perché non possiamo chiedere che tutti i problemi della società vengano risolti dalla scuola.

Per sensibilizzare la popolazione, quest’anno con l’Ufficio cultura abbiamo lanciato il concorso Patrimonio culturale per tutti, che ha raccolto le idee che le persone comuni hanno riguardo al patrimonio, cercando di raggiungere chi normalmente non ha voce. Abbiamo creato una piattaforma di dialogo online sulla quale è possibile caricare le proprie idee e ricevere i commenti dei visitatori, discutendo pubblicamente ogni proposta: alla fine avevamo più di 3000 persone attive e abbiamo fatto una festa per farle incontrare. Da questa prima fase è scaturito un secondo bando rivolto ai progettisti, che si chiude il 15 settembre, e che si propone di tradurre concretamente le idee raccolte nella prima fase. Dare alla gente la possibilità di partecipare alla discussione è già un modo per migliorare la cultura della costruzione.

 

Note

  1. Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio (LPN; RS 451), 1966.

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