L’in­té­rieur tra­di­zio­nale in­si­diato dalla fi­nes­tra a nas­tro – La Pe­tite Mai­son a Cor­seaux, 1923-1924

Serie: I 20 anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, l'articolo di Bruno Reichlin dal no. 4/2014. «Una finestra a nastro lunga undici metri o quasi spalanca la Petite Maison sul paesaggio del Lemano. Le Corbusier suggerirà che l’aveva concepita con un particolare riguardo nei confronti delle disposizioni d’animo di suo padre».

Date de publication
11-07-2018
Revision
07-03-2019

Il testo è un estratto di uno dei saggi contenuti in Dalla «soluzione elegante» all’«edificio aperto». Scritti intorno ad alcune opere di Le Corbusier, volume edito da Mendrisio Academy Press e Silvana Editoriale nel 2013 che raccoglie una selezione di scritti dedicati da Bruno Reichlin a Le Corbusier dagli anni Sessanta in avanti. In particolare, questo saggio è focalizzato sulle ragioni e sull’impatto della finestra a nastro negli anni Venti del secolo scorso, tema che tocca questioni di carattere figurativo, psicologico, tecnico-costruttivo, storico, sociale. Invitiamo a proseguire la lettura sul volume vero e proprio.

«Mio padre ha vissuto un anno in questa casa. Questo paesaggio lo rendeva felice»1

Una finestra a nastro lunga undici metri o quasi spalanca la Petite Maison sul paesaggio del Lemano. Le Corbusier suggerirà che l’aveva concepita con un particolare riguardo nei confronti delle disposizioni d’animo di suo padre. Fra le altre testimonianze (come la dedica del libriccino Une petite maison, prevista nelle bozze e poi dimenticata o lasciata cadere nella versione definitiva), 2 particolarmente informativa è l’affettuosa lettera che Le Corbusier invia al genitore in occasione del primo genetliaco festeggiato nella nuova dimora: «Eccoti per fortuna nella tua casetta di fronte al paesaggio che ami. Se fuori fa molto freddo, spero che la vostra caldaia faccia il suo dovere. Questo luogo d’inverno è estremamente dignitoso, vasto, più vasto che d’estate e di un nitore polare impressionante. Non si vedono più le montagne dello sfondo, e il lago sembra mare».3 Tenendo in uggia le mondanità, schivo e apprensivo, il genitore aveva un tempo privilegiato le lunghe passeggiate in montagna e aveva trasmesso ai figli la passione per «la VERA NATURA»:4 avanzando negli anni, l’umore e gli stati d’animo del padre si rispecchieranno nelle frequenti annotazioni sui rigori o la mitezza del clima e delle stagioni, riportate diligentemente nel proprio diario.5

Di seguito, si tratterà di mostrare, e dimostrare, quali dispositivi architettonici Le Corbusier mette in opera a Corseaux per appropriarsi di un sito che considerava una vera e propria «sala da spettacolo»;6 vale a dire: per come inserisce la Petite Maison nel sito e per come apre la piccola abitazione sull’intorno paesaggistico, perché questi, ma non solo questi, sono i temi dichiarati del progetto.

Partiti Charles-Edouard e Albert per Parigi, il padre ormai ritirato dalla vita attiva, la Maison Blanche (1912), che aveva assorbito i risparmi della famiglia, è ormai troppo grande per la sola coppia dei genitori e, soprattutto, troppo onerosa nella manutenzione.7 Questi decidono pertanto di vendere la casa e affittare un piccolo chalet8 di loro convenienza in località Les Châbles, a Blonay sopra Vevey, dove traslocano nell’ottobre del 1919.9

Non senza qualche rimpianto per la bella villa che aveva visto riunita l’intera famiglia sotto lo stesso tetto e per il giardino tenuto con cura, il genitore è tuttavia contento di lasciare l’ambiente sociale di La Chaux-de-Fonds e di stabilirsi poco lontano da dove il fratello Henri possiede una casa. Lo chalet è di fatto una residenza per soggiorni estivi e vi si vive un po’ «allo stretto», ma apre su di un paesaggio che incanta il padre. Rimessosi dalle fatiche del trasloco, ne dà notizia ai figli: «Adesso, la finestra ci attirerà e favorirà il superbo panorama che sarà il rimedio, perché questo panorama è meraviglioso, unico indescrivibile… I primi piani verde-rossi dei prati cosparsi di boschi d’alberi che dall’oro dei castagni e dei noci ascendono al color cuoio, bronzo e ferro dei meli e dei peri; più lontano la distesa uniforme e grigia del lago che un solco di luce fa luccicare, in fondo, la parete immensa delle montagne della Savoia che le brinate hanno spolverato e dove le nuvole livide o orlate di luce vanno, secondo i capricci del vento eccetera». Nella stessa lettera il padre già si ripromette di visitare la regione, «le belle strade, i sentieri gentili – più tardi i monti».10 Nonostante i lavori intrapresi e sollecitati per migliorare il confort dello chalet, come l’installazione delle doppie finestre fra le altre migliorie, la permanenza a Les Châbles si annuncia di breve durata: dalla corrispondenza familiare si evince infatti che sin dalla primavera del 1923 il genitore e Le Corbusier sono alla ricerca di un terreno per costruire una casa minima.11 La ragione di questa «nuova impresa», come la designerà il padre nel suo diario,12 è probabilmente anche d’ordine economico, tant’è che in seguito alla crisi che si abbatte sull’Europa nell’immediato dopoguerra, i genitori si definiranno come «nouveaux pauvres» nella corrispondenza di famiglia.

Il dado è tratto nel settembre del 1923: «Oggi riparte il nostro caro Édouard con cui abbiamo trascorso tre settimane delle più intime e consolanti. Ci siamo occupati, e lui particolarmente, di delineare una soluzione per un nostro alloggio futuro; non abbiamo trovato nessuna strada veramente praticabile; tutto troppo caro, o in luoghi impossibili. Ed [sta sovente per il figlio Edouard nel diario del padre] ci propone la costruzione di una casa molto piccola, «purista» secondo l’intendimento che comincia a profilarsi nelle sue realizzazioni a Parigi; abbiamo visitato due terreni prossimi al lago, che potrebbero essere presi in considerazione. La soluzione per il momento è sospesa fino a quando Ed non avrà elaborato i piani e interpellato un imprenditore. La nostra disponibilità economica è attualmente molto bassa circa 3600 franchi di reddito in totale. È molto poco».13

La caccia al terreno «giusto» si rivelerà estenuante: proprietari poco inclini a vendere, diffidenti, esosi – stando a Le Corbusier, impetuoso e impaziente di concludere. Ma le difficoltà maggiori vengono dalle esigenze che Le Corbusier stesso si impone e, via via, precisa.

— Una prima, fondamentale esigenza consiste nel reperimento di un terreno che offra la vista dello stesso paesaggio che aveva incantato e decantato il padre a Les Châbles. Questa ricerca è attestata, fra l’altro, da un Cahier de dessins ricco di schizzi e disegni nei quali Le Corbusier ha ritratto luoghi, e rispettivi paesaggi, investigati in collina o al lago, talvolta punteggiando nella veduta il perimetro dell’ipotetico progetto, talaltra abbozzandolo in pianta, alzato e vedute prospettiche.14 Lo chalet di Les Châbles servirà da paragone anche per l’arredamento: nel foglio FLC 5055 dello stesso Cahier n. 9, riempito di schizzi planimetrici, in alto sono inventariati, con le loro misure, tutti i pezzi d’arredo (un canapè, un armadio a due ante, il pianoforte a coda Ibach, un sécrétaire, il letto doppio dei genitori, il sécrétaire disegnato da Le Corbusier per la madre attorno al 1915, il tavolo della sala da pranzo) e sono indicate le misure del salon, cioè 4,80 x 4,50 m con la nota «très grand», l’altezza in luce di 2,70 m e le misure della cucina: 2,50 x 3,00 m. Quasi che Le Corbusier si fosse dato come obiettivo di far meglio per risarcire i genitori di una precarietà che gli è in parte imputabile. Corollario di questa esigenza è la localizzazione geografica relativamente limitata dei terreni prospettati, che va dalla magnifica «côte de Lavaux», a Rivaz, Corseaux, Vevey, alla Tour de Peilz, alle alture di Clarens (in un disegno figura il castello «du Châtelard»).

— La seconda esigenza s’innesta sull’istanza paesaggistica, che è contingente, e consiste nell’ambizione di Le Corbusier di voler conferire uno statuto teorico e/o metodologico alle innovazioni diverse che la sua attività progettuale via via produce, come l’introduzione di una «nuova parola» architettonica nella fattispecie della «finestra a nastro»;15 l’esplorazione del potenziale spaziale e percettivo di questa nuova parola derivata, nella doxa lecorbusiana, dalle nuove tecniche costruttive; infine, il collaudo di nuove figure architettoniche che hanno la funzione di attirare l’attenzione del fruitore giustamente sulle prestazioni e relazioni specifiche: strutturali, spaziali, percettive e simboliche, dei vari dispositivi architettonici messi in atto. Si vedrà infatti che la Petite Maison, nata per soddisfare nell’urgenza la richiesta di un’abitazione minimale per i genitori, assume via via i tratti di un «manifesto architettonico» – il primo di una lunga serie? – che illustra con la consequenzialità di un teorema i portati della paziente ricerca lecorbusiana.

Vediamo come. Le esigenze minime di una coppia anziana, la necessità di ridurre ogni spreco di superficie limitando al minimo la distribuzione a vantaggio del salon, l’importanza assegnata alla vista sul paesaggio, coniugate al fatto che i diversi terreni, tanto al lago che sulle alture, suggerivano un impianto planimetrico lungo e stretto parallelo alla riva o alle curve di livello, incitano Le Corbusier verso una «casa purista a forma di vagone», come annota il padre nel suo diario.16

La storia dell’architettura come storia di finestre

Corrisponde pertanto al vero l’affermazione di Le Corbusier: «Progetto in tasca, sono andato a cercare un terreno» e la spiegazione che «i nuovi materiali dell’architettura consentono di sfruttare un terreno in qualsiasi circostanza»,17 perché lo attestano diversi disegni e schizzi della Petite Maison in collina, calata fra le terrazze dei vigneti – vale a dire in quel «paesaggio del Lemano, tutto fatto a mano» come spiegava nella conferenza tenuta il 18 febbraio del 1924 a Losanna, dove la Petite Maison, ancora in fieri, già serve a illustrare la nozione di «standard», la casa come «machine à habiter», «la revisione di tutti gli elementi [che] procedono dal dentro al fuori», l’origine delle sensazioni eccetera.

Le note per quella conferenza rivelano che Le Corbusier, certamente per la prima volta, espone la sua storia dell’architettura, ricondotta a una storia di finestre e dei presupposti materiali e tecnici che ora permettono la finestra a nastro: storia illustrata da una serie di schizzi diagrammatici di finestre storiche e moderne... e da un curioso disegno della Petite Maison, la quale appare in primo piano sullo sfondo del lago e delle Alpi savoiarde, ma con la finestra a nastro rivolta verso chi guarda, cioè verso monte, perché questo disegno ha uno statuto concettuale all’interno di un paragrafo che abborda «la questione architettura paesaggio».18

Ma l’atto di nascita della finestra a nastro come dispositivo innovante che, mettendo a profitto un progresso tecnico, migliora l’apporto della luce naturale e rivoluziona la relazione interno esterno, precede la conferenza di Losanna e deve qualcosa, ma non sapremmo quanto, a una provocazione di Perret. In una intervista concessa al giornalista Guillaume Baderre della rivista «Paris-Journal» nella prima quindicina del mese di dicembre del 1923, a proposito del recente Salon d’Automne, Perret, tra le altre cose, critica forma e ripartizione delle aperture così come ha potuto osservarle nei modelli esposti da Le Corbusier; e fra questi la Villa La Roche (Auteuil, 1923-1925).

«Il sig. Auguste Perret ci parla dell’architettura al Salon d’Automne»

Questo titolo su due colonne nell’edizione dell’1 dicembre 1923 del «Paris-Journal» annuncia l’intervista accordata da Auguste Perret a proposito della sezione Architecture et Art urbain al Salon d’Automne aperto dall’1 novembre al 16 dicembre del 1923. Stando alle parole del giornalista Guillaume Baderre, questa sezione aveva colpito in particolar modo la curiosità del pubblico: «Gli uni sono rimasti sedotti dall’arditezza delle concezioni dei nostri giovani costruttori, gli altri ne furono invece scandalizzati, ma nessuno è rimasto indifferente».

Al centro dello scandalo sono gli oggetti esposti da Le Corbusier e Pierre Jeanneret: «Le discussioni sorsero soprattutto a proposito dei numerosi modellini presentati da Le Corbusier e Jeanneret, architetti la cui nuova tecnica sovverte ogni tradizione».19 II catalogo del Salon dà notizia soltanto di due modelli di hôtels privés, senza ulteriori precisazioni, ma è probabile che, oltre alla Villa La Roche e alla Villa Besnus a Vaucresson (1923), fossero esposti anche l’hôtel particulier a Rambouillet (1923-1924) e un’abitazione del tipo Citrohan (1921-1922).20 L’intervista si risolve in un attacco frontale ad Adolf Loos, a Le Corbusier e Jeanneret, particolarmente insidioso perché ritorce contro i «nostri architetti d’avanguardia» i loro stessi argomenti, accusandoli di fomentare un nuovo accademismo formale, del tutto simile a quello che professano di combattere e, come questo, indifferente alle funzioni dell’abitare. «I giovani architetti – sostiene Perret – commettono in nome del volume e della superficie gli stessi errori che, in un recente passato, si commettevano in nome della simmetria, del colonnato o dell’arcata … Il volume li ipnotizza, non pensano che a quello e, in un deplorevole spirito di sistema, cercano di creare le loro combinazioni di linee senza preoccuparsi del resto; ma questo resto è importante: dimenticano l’abbiccì della professione, che è di costruire anzitutto una casa abitabile».21

Questi «fabbrica-volumi», continua la requisitoria, riducono i comignoli a un rudimento compromettendone il tiraggio, e abolendo le cornici espongono le facciate a un rapido insudiciamento e deterioramento. «Tali trasgressioni ai principi utilitari – specifica maliziosamente Perret – è curioso debbano constatarsi per esempio in Le Corbusier, che è o si vanta di essere l’architetto utilitario per eccellenza».22 Ma la critica più gravida di implicazioni è quella concernente le aperture, sia perché innesca le più virulenti repliche da parte di Le Corbusier, sia soprattutto perché negli sviluppi successivi della controversia Perret-Le Corbusier segnala un contrasto che, al di là degli argomenti strettamente tecnici ed estetici, marca lo spartiacque fra due culture dell’abitare, intendendo il termine «culture» nel suo significato più vasto, direi quasi antropologico.

Ma vediamo con ordine le posizioni in contrasto.

Pro e contro la «finestra a nastro»: gli argomenti tecnici

In questa intervista, Perret insiste sulle contraddizioni tra forma e funzione nelle proposte architettoniche di Le Corbusier: «bisogna che la funzione crei l’organo. Ma l’organo non deve eccedere la sua funzione. Una finestra è fatta per illuminare, per dar luce a un interno, e questa è la sua ragione di esistere, la sua prima qualità. Ha poi altre qualità secondarie, una delle quali, ad esempio, è di abbellire la facciata con le diverse forme che può assumere la sua apertura: ma questo non è che un dettaglio e sarebbe assurdo, prendendo in qualche modo la parte per il tutto, considerare una finestra unicamente come un motivo ornamentale. Ora questa è un po’ la tendenza di Le Corbusier; per ottenere degli effetti di volume dispone le sue finestre a gruppi, lasciando vaste superfici completamente cieche; oppure, sempre per l’eccessiva bizzarria del suo disegno, tortura le aperture allungandole esageratamente in senso verticale oppure orizzontale. L’effetto che si ottiene all’esterno è assai originale, ma temo che l’effetto interno non lo sia per niente: la metà dei locali deve mancare completamente di luce, il che vuol dire spingere l’originalità un po’ troppo lontano».23

Quest’ultima critica soprattutto colpisce nel vivo Le Corbusier, che risponderà risentito in due riprese, dalle pagine dello stesso «Paris-Journal». La prima, pubblicata nell’edizione del 14 dicembre, si intitola Une visite à Le Corbusier-Saugnier (Una visita a Le Corbusier-Saugnier), visita intrapresa dallo stesso Baderre per ascoltare «l’altra campana». Qui Le Corbusier si dice costernato della scarsa collegialità dimostrata da Perret, che espone in pubblico argomenti lesivi e per di più falsi. Contestate sbrigativamente le critiche ai comignoli e all’assenza di cornici, l’architetto affronta di petto la questione delle aperture: «E finalmente l’ultimo fiero rimprovero di Perret: Le mie finestre non illuminano. E qui io scatto, perché l’ingiustizia grida vendetta. Ma come? Io mi sforzo di creare degli interni chiari e ben illuminati; … e proprio per questo il disegno delle mie facciate può sembrare ai soliti conformisti un po’ stravagante. (Stravaganza voluta, dice Perret; ma certamente, voluta; e non certo per il mero piacere della stravaganza, bensì per far entrare il più possibile, a torrenti, l’aria e la luce nelle mie case; e quindi quella cosiddetta stravaganza qui non è che la risultante del mio desiderio di sacrificare tutto alle esigenze vitali). E mi si accuserebbe di costruire dei tuguri malsani, quando è proprio questo che io odio di più, e che più mi affanno a evitare. Tutta la mia architettura è in funzione delle finestre. Finestre completamente adattate alle nuove condizioni del cemento armato e della metallurgia, ma anche riadattate alle funzioni umane. Le finestre sono il mio assillo principale, assillo di tecnico e di esteta. Vorrei che Perret sapesse che, dopo anni di studi, finalmente le mie finestre saranno costrui-te in serie da una grande officina metallurgica; dovrebbero funzionare come macchine di precisione, e questo di per sé non è cosa facile da ottenere».24

La controversia doveva interessare anche il pubblico non specializzato, se nel «Paris-Journal» del 28 dicembre Guillaume Baderre riferisce di una Seconde visite à Le Corbusier (Seconda visita a Le Corbusier).25 Questa volta l’articolista prende le parti di Le Corbusier e ne riassume le note tesi a favore della finestra a nastro, anticipando i testi e le conferenze che le hanno poi rese di dominio pubblico. In sintesi: la finestra verticale tradizionale è imposta da tecniche costruttive ormai superate (pietra e mattone), che permettono soltanto piccole portate e richiedono ampie sezioni piene nei muri di sostegno; per questa ragione negli edifici di prestigio l’aumento della superficie illuminante richiedeva un’altezza smisurata delle aperture e, di conseguenza, dei locali. L’impiego del calcestruzzo armato, che permette grandi luci e la drastica riduzione degli appoggi, offre ora la finestra a nastro. «Quindi – riferisce Baderre – questa è più comoda. A parità di superficie rischiara meglio: effettivamente la sua forma le consente di raccogliere tutta la luce all’altezza utile, che è quella degli occhi di chi abita la casa. Le finestre di modello vecchio perdono una buona metà della luce utile rischiarando per tutta la loro altezza, da un lato il pavimento, dall’altro il soffitto, il che non serve a nessuno. È necessario, beninteso, che il pavimento sia illuminato. Ma il massimo dell’illuminazione deve trovarsi a mezza altezza, che è la parte in cui si vive, l’ambiente che va dalla testa ai piedi. D’altronde una gran parte di quelle finestre che arrivano fino al pavimento spesso è coperta dai mobili che vi si mettono davanti; tavoli o sedie fanno da schermo e intercettano la luce buona. Tale inconveniente sparisce con la finestra a mezza altezza. Quest’ultima ha anche il vantaggio di consentire l’abbassamento dei soffitti … Oltre all’economia di spazio che rappresentano, i soffitti bassi danno del resto la sensazione di essere più confortevoli, sembrano fatti apposta per l’uomo, come un abito su misura. Sembra quindi superfluo insistere ancora sull’utilità così evidente della trasformazione delle finestre». Ma il pezzo forte dell’articolo consiste nella pubblicazione dei primissimi studi – la planimetria e una prospettiva – per la Petite Maison a Corseaux, sul lago Lemano, che Le Corbusier e Pierre Jeanneret stanno progettando per i genitori dell’architetto.26 La pianta di questa minuscola abitazione costituisce un’autentica sfida alle critiche di Perret. «Una vera e propria finestra non c’è che su un solo lato, ma questa corre lungo tutta la facciata»; e tuttavia, insiste l’articolista, essa basta ampiamente a illuminare l’intera abitazione: «poiché, oltre alla capacità illuminante che le conferiscono le sue dimensioni, va a finire esattamente, da ambedue i lati, fino agli angoli che forma coi muri perpendicolari alla sua superficie. Questi muri bianchi filano così, direttamente, nel paesaggio, senza interposizione del rilievo di alcuna spalletta; sono inondati di luce».27

Nel momento in cui Perret e, per sua bocca, l’«Istituzione» («un’autorità dell’architettura», aveva scritto con deferenza Baderre; «parla un dio dell’Olimpo», gli fa ironicamente eco Le Corbusier in una caustica lettera a Perret),28 pronuncia l’interdetto, Le Corbusier risponde con un’opera dove il pezzo incriminato assume valore di manifesto. Nel prezioso libriccino compilato a distanza di trent’anni dalla realizzazione, Le Corbusier non esiterà infatti a definire questa finestra a nastro «l’attore primordiale della casa», e ancora: «l’unico attore della facciata».29

Fin qui la disputa pro o contro le aperture lecorbusiane sembra vertere principalmente su questioni tecniche: l’illuminazione dei locali, le possibilità costruttive, l’economia di spazio eccetera. Ma ben altro bolle in pentola!

 

Note

  1. «Mon père vécut une année dans cette maison. Ce paysage le comblait» (Le Corbusier, Une petite maison, 1923, Girsberger, Zürich 1954, p. 15; trad. it. parziale in Id., Scritti, a cura di R. Tamborrino, Einaudi, Torino 2003, pp. 459-462).
  2. Cfr. bozza del testo Une petite maison, Fondation Le Corbusier B2 (19) 100-117, p. 18, recante la dedica: «à la mémoire de mon père Edouard Jeanneret Perret qui vécut une année dans cette maison».
  3. Cfr. Le Corbusier al padre, lettera del 29 novembre 1925, conservata nella Biblioteca della città di La Chaux-de-Fonds, ora in Le Corbusier, Correspondance. Lettres à la famille 1900-1925, a cura di R. Baudoui, A. Dercelles, Infolio, Gollion 2011, p. 726.
  4. Cfr. Le Corbusier, L’art décoratif d’aujourd’hui, G. Crès et Cie, Paris 1925, capitolo «Confession», pp. 197-218, la citazione è a p. 199; trad. it. Arte decorativa e design, con prefazione di G. Gresleri e J. Oubrerie, Laterza, Bari 1973, pp. 199-222, la citazione è a p. 201.
  5. II diario del padre di Le Corbusier, Geor-ges-Édouard Jeanneret-Perret, è conservato almeno in parte nella Biblioteca della città di La Chaux-de-Fonds.
  6. «Ce site est une salle de spectacle» (cfr. note preparatorie per la conferenza data alla sala Rapp a Losanna il 18 febbraio 1924, foglio Fondation Le Corbusier C3 (6) 25 in basso a destra, ora in T. Benton, Le Corbusier conférencier, Editions du Moniteur, Paris 2007, p. 86; la sottolineatura è di Le Corbusier).
  7. Per le vicende relative alla Maison Blanche cfr. K. Spechtenhauser, A. Rüegg (a cura di), Maison blanche. Charles-Edouard Jeanneret Le Corbusier. Histoire et restauration de la villa Jeanneret-Perret 1912-2005, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2007, in particolare il contributo di C. Courtiau, Le roman d’une œuvre de transition, ibidem, pp. 26-51; L. Schubert, La villa Jeanneret-Perret di Le Corbusier 1912. La prima opera autonoma, Marsilio, Venezia 2006, in particolare le appendici. Cfr. pure Le Corbusier, Correspondance. Lettres à la famille 1900-1925, cit.
  8. Questo chalet era stato prodotto ed esposto in occasione dell’Esposizione Nazionale Svizzera a Ginevra del 1896 nell’ambito della sezione «Village Suisse», poi venduto a privati e rimontato a Les Châbles. Devo questa informazione a Patrick Moser, storico e sovrintendente del patrimonio, che ringrazio.
  9. Per le circostanze del trasloco, cfr. Le Corbusier, Correspondance. Lettres à la famille 1900-1925, cit. pp. 553-569.
  10. Cfr. Georges-Édouard Jeanneret ai figli Albert e Edouard, lettera del 10 novembre 1919, ora in Le Corbusier, Correspondance. Lettres à la famille 1900-1925, cit. p. 566).
  11. Un precoce accenno a questa intenzione si trova nella lettera che Le Corbusier invia ai genitori il 20 marzo 1923 in occasione delle feste di Pasqua: «J’attends des nouvelles du terrain. Avec Lotti et Albert vous pourrez déjà préciser vos idées. Je puis venir quand vous voudrez» (cfr. Le Corbusier, Correspondance. Lettres à la famille 1900-1925, cit. p. 650).
  12. Cfr. Georges-Édouard Jeanneret, Diario in data 19 maggio 1924: «… le site est magnifique. Nous voilà embarqués dans une nouvelle entreprise ... à notre âge! Est-ce bien?», quando finalmente si è conclusa l’acquisizione del terreno a Corseaux.
  13. Cfr. Georges-Édouard Jeanneret, Diario in data 5 settembre 1923.
  14. Si tratta del Cahier de dessins n. 9, conservato alla Fondation Le Corbusier. Sul disegno a p. 3 (Fondation Le Corbusier 5053) figura l’annotazione, apposta però com’è probabile, in epoca più tarda: «ici: de page 3 à page 75 recherches pour un terrain pour la maison «Le Lac» Jeanneret-Perret».
  15. Le Corbusier userà sovente la locuzione «nouveaux mots» a proposito dei dispositivi architettonici di cui si attribuisce la paternità: ad esempio afferma «Les techniques nouvelles nous ont apporté de nouveaux mots» (Le Corbusier, Précisions sur un état présent de l’architecture et de l’urbanisme, G. Grès et Cie, Paris 1930, p. 58; trad. it. Precisazioni sullo stato attuale dell’architettura e dell’urbanistica, a cura di F. Tentori, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 74: «Le tecniche nuove ci hanno conferito nuovi sostantivi»).
  16. Cfr. Georges-Édouard Jeanneret, Diario in data 27 dicembre 1923: «Ed fait des plans très simples, d’une maison puriste, forme wagon, un seul rez de chaussé».
  17. «… je vous ai montré précédemment que les éléments nouveaux de l’architecture moderne permettaient de prendre contact avec un terrain dans toutes les circonstances. … Plan en poche, je suis allé chercher un terrain» (Le Corbusier, Précisions, cit. pp. 127 e 130; trad. it. pp. 148-149).
  18. «La question architecture paysage». Negli appunti per la conferenza alla sala Rapp a Losanna il 18 febbraio 1924, foglio Fondation Le Corbusier C3 (6) 25, Le Corbusier annota: «L’homme fait le paysage. Le paysage Lémanique, tout fait à la main, a Rivaz» (nell’originale sottolineatura di Le Corbusier) ora in T. Benton, Le Corbusier conférencier, cit. p. 86.
  19. «Les uns ont été séduits par les hardiesses de conception de nos jeunes constructeurs, les autres franchement choqués, mais personne n’est resté indifférent. Les nombreuses maquettes présentées par MM. Le Corbusier et Jeanneret ont surtout soulevées les discussions, ces architectes ayant une technique très neuve qui bouscule toutes les traditions» (G. Baderre, M. Auguste Perret nous parle de l’architecture, in «Paris-Journal», n. 2478, 7 dicembre 1923, p. 5).
  20. Cfr. il Catalogue du Salon d’Automne 1923 (16e exposition), Soc. Franç. d’imprimerie, Paris 1923, p. 344. È certo che Le Corbusier e Jeanneret avessero esposto il grande modello in gesso della Villa La Roche.
  21. Cfr. G. Baderre, M. Auguste Perret nous parle de l’architecture, cit. p. 5).
  22. «Ces manquements aux principes de la construction sont curieux à constater chez Le Corbusier, par exemple, l’architecte utilitaire type, ou qui s’en vante» (ibidem, p. 5).
  23. (ibidem, p. 5).
  24. Cfr. G. Baderre, Une visite à Le Corbusier-Saugnier, in «Paris-Journal», n. 2479, 14 dicembre 1923, p. 6.
  25. Cfr. G. Baderre, Seconde visite à Le Corbusier, in «Paris-Journal», n. 2481, 28 dicembre 1923, p. 3.
  26. Il diario del padre di Le Corbusier, Georges-Édouard Jeanneret, contiene un primo accenno all’intenzione di costruire la casa in data 5 settembre 1923. La proposta «d’une maison puriste, forme wagon», è menzionata per la prima volta il 27 dicembre del 1923 (Georges-Édouard Jeanneret, Diario in data 27 dicembre 1923, cit.)
  27. Cfr. G. Baderre, Seconde visite à Le Corbusier, cit. p. 3.
  28. Le Corbusier a Auguste Perret, lettera del 13 dicembre 1923, Fondation Le Corbusier E1 (11) 239, ora in Le Corbusier, Lettres à ses maitres, vol. 1: Lettres à Auguste Perret, a cura di M.-J. Dumont, Éditions du Linteau, Paris 2002, pp. 212-215, la citazione è a p. 213 (trad. it. Lettere a Auguste Perret, Electa, Milano 2006).
  29. «C’est une innovation constructive conçue pour le rôle possible d’une fenêtre: devenir l’élément, l’acteur primordiale de la maison. … La fenêtre est donc l’unique acteur de la façade» (Le Corbusier, Une petite maison, 1923, cit. pp. 30-31, 36).

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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