La Sviz­zera, una na­zione nata da una vo­lontà co­mune

Per quale motivo tante persone non considerano ancora i cambiamenti climatici come una minaccia alla sicurezza del nostro pianeta? E qual è la posizione della Svizzera dopo il «no» alla legge sul CO2? Lo abbiamo chiesto al prof. David N. Bresch, esperto di rischi meteorologici e climatici ETH Zurigo / MeteoSvizzera.

Date de publication
17-12-2021

Verena Felber: Temporali, inondazioni: che tempo farà in Svizzera negli anni a venire? Imperverseranno le piogge torrenziali o le estati saranno sempre più arse dal sole?

David Bresch: Le estati saranno sempre più calde, con lunghi periodi di siccità interrotti da precipitazioni abbondanti e violente. È una tendenza che abbiamo illustrato anche negli scenari climatici CH2018. Gli inverni molto nevosi o le estati eccezionalmente fresche sono anch’essi segnali di un cambiamento climatico. Quando un sistema complesso come quello del clima si modifica, i cambiamenti si fanno sempre più evidenti di anno in anno, prima di riassestarsi. Tuttavia, sarà possibile ritrovare una certa stabilità solo se saremo in grado di raggiungere l’obiettivo delle «emissioni nette pari a zero» entro il 2050.

Per quale motivo è importante limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C?

Non sappiamo esattamente dove sia il punto di non ritorno, e cioè quale sia la temperatura che segnerà la fine delle barriere coralline, il collasso della corrente del Golfo o lo scongelamento del permafrost al punto che il gas metano rilasciato sarà in grado di accelerare di molte volte il riscaldamento globale. Sappiamo però una cosa: i limiti di questi sottosistemi non vanno oltrepassati. La posta in gioco è davvero troppo alta. Un aumento globale della temperatura di 1,5 °C, rispetto alla temperatura misurata nel periodo di riferimento preindustriale, sembrerebbe tollerabile. L’Accordo di Parigi fissa un limite ben al di sotto dei 2 °C. Un riscaldamento globale di 2 °C significherebbe per la Svizzera un aumento di 4 °C, dato che il nostro Paese risente in modo particolarmente marcato dell’innalzamento della temperatura.

Per la Svizzera 1,5 °C in più sono già troppi...

Se ci stesse davvero a cuore il destino del nostro pianeta avremmo già invertito la rotta da un pezzo. Ora come ora, con le «emissioni nette pari a zero entro il 2050», siamo in grado di raggiungere l’obiettivo climatico fissato a Parigi solo con una probabilità del 60%. Bisogna dirlo: nessuno ha preso sottogamba la diffusione del Covid-19, abbiamo reagito, cercando soluzioni. Invece, quando si parla di salvaguardare l’esistenza umana sulla Terra in condizioni climatiche sostenibili sembra siano davvero in molti a voler rischiare grosso.

Perché?

Stiamo già percependo le ripercussioni dei cambiamenti climatici, eppure la scala temporale dei mutamenti davvero drastici ci sembra ancora lontana. Quando è scoppiata la pandemia in Cina, non abbiamo pensato che potesse essere una minaccia anche per noi. Solo nel momento in cui è stata colpita la città di Bergamo, un luogo a noi vicino, la notizia ci ha scossi e abbiamo cominciato a riflettere sulla gravità della situazione. Vale la stessa cosa per i cambiamenti climatici. Per molti sembra una minaccia remota, perché ancora non ha bussato alla loro porta.

Per capire che non è così non basta vedere i danni devastanti causati dal maltempo in Europa?

Certo, eventi di questo tipo fanno riflettere anche alle nostre latitudini, ma sempre al condizionale. La razza umana è dura di comprendonio, impara lentamente, e nella collettività a volte non impara proprio. Lo si sente dire spesso: «È successo da loro, non da noi». È più facile far finta di niente, anziché prendere atto che i cambiamenti climatici siano ormai una realtà concreta. Anche perché aprire gli occhi in tal senso significherebbe affrontare la questione di petto e cambiare davvero le cose. Per usare le stesse parole del filologo svizzero Karl Schmid potremmo dire che nel nostro quieto vivere ci siamo messi piuttosto comodi, ed è proprio in questo stato di agiatezza che dovremmo renderci conto che si sta insinuando un vero e proprio disagio.

E che cosa dire di questo stato di comfort, dopo il «no» alla legge sul CO2?

Respingere la legge è stata la decisione sbagliata, una decisione presa per convenienza e dettata da riflessioni che tengono in considerazione soltanto il portafoglio. La vera e propria tragedia è che la legge sia stata rifiutata soprattutto nelle aree rurali, dove le ripercussioni dei cambiamenti climatici saranno probabilmente molto più evidenti che non nelle città. Certo nei contesti urbani farà più caldo, ma un aumento della temperatura in campagna potrebbe addirittura mettere a repentaglio l’intero settore agricolo. E qui stiamo davvero perdendo del tempo prezioso, perché il nostro sistema agricolo dovrebbe già cominciare a prendere dei provvedimenti. Il «no» alla legge sul CO2 va a scapito anche del ceto medio e delle piccole e medie imprese. Infatti, approvando la legge si sarebbe data alle PMI la possibilità di sviluppare offerte promettenti e finanziariamente interessanti, destinate anche, e non da ultimo, all’esportazione.

Che cosa fare allora per convincere chi ancora è restìo?

Il fatto è che a guidare le nostre azioni spesso non è la lungimiranza. Ad esempio, chi decide di passare all’auto elettrica lo fa perché ha in cambio dei vantaggi: è una soluzione pratica, confortevole, l’auto elettrica è inodore, silenziosa, si ricarica velocemente e a basso costo. Insomma, ci vogliono delle offerte che invoglino al cambiamento, rendendo il passaggio semplice e attraente. Invece di imporre una tassa sul CO2 solo sui combustibili, ci vorrebbe una tassa su tutte le emissioni, anche su quelle prodotte dai carburanti. Sarebbe un incentivo mirato, soprattutto perché la tassa sui carburanti verrebbe rimborsata in forma di dividendi climatici, facendo confluire liquidità e favorendo chi è attento alla questione climatica.

È un cambiamento difficile da imporre a livello politico.

I contrari in realtà dovrebbero vederla come un’occasione. Potremmo ad esempio sviluppare sistemi di trasporto avveniristici e vendere le nostre idee all’estero. Il benessere del nostro Paese, di fatto, si basa per oltre il 70% sull’esportazione.

La Svizzera si è impegnata a dimezzare le proprie emissioni di gas serra entro il 2030. È ancora un obiettivo realistico?
La Svizzera è una nazione che nasce da una volontà comune. E le tecnologie non mancano. Non saranno la nostra salvezza, ma potranno per lo meno apportare un considerevole contributo al raggiungimento dell’obiettivo della riduzione delle emissioni. In aggiunta dobbiamo però anche cambiare il nostro comportamento, ad esempio incrementando il telelavoro, riducendo della metà i trasporti in aereo e dimezzando il consumo di carne. Anche in questo caso una tassa sul CO2 applicata in modo generalizzato fornirebbe degli incentivi.

«Protezione del clima» e «adattamento ai cambiamenti climatici» sono due termini messi spesso sullo stesso piano. Uno dei due è forse prioritario?

La protezione del clima ha la priorità. Se il clima non viene protetto non sarà possibile raggiungere le zero emissioni entro il 2050, e in tal caso finiremo per oltrepassare il limite del non ritorno. Allora il meccanismo diventerà inarrestabile. Il sistema è già cambiato, ora sta a noi. Adesso siamo noi che dobbiamo adeguarci. Ognuno nel suo piccolo può farlo, anche apportando delle migliorie alla propria abitazione. A corto termine è una buona cosa. Se però, in linea di principio, ci ostiniamo a non investire mezzi sufficienti a tutela del nostro clima, il problema continuerà inesorabilmente ad acutizzarsi.

E per il settore della costruzione? I cambiamenti climatici rappresentano un’opportunità o sono piuttosto un rischio?

L’ambiente costruito è lo spazio in cui viviamo e in cui ci muoviamo. Sono in molti a contribuire a dargli forma. Chi modella l’ambiente ha delle responsabilità – e assumersele significa cogliere un’opportunità enorme, sia per chi crea sia per chi investe. Solo anticipando i cambiamenti, i progettisti e gli investitori potranno avere successo sul mercato, a medio e lungo termine. Anticipare i cambiamenti significa costruire in modo compatibile con il clima. Quando è stato lanciato il marchio Minergie alcuni non l’hanno preso sul serio, pensavano fosse una trovata di ispirazione rosso-verde. Oggi invece il marchio è ormai diventato uno standard e sarebbe impensabile costruire senza tenerne conto.

La SIA chiede edifici e infrastrutture a zero emissioni. Come riuscire a soddisfare questa esigenza?

Chi pensa a lungo termine si impegna nel progettare, mantenere e gestire edifici che conservano il proprio valore nel tempo. Tali costruzioni devono essere clima-compatibili, in altre parole devono soddisfare i requisiti posti in materia di protezione del clima ed essere resilienti ai possibili effetti del cambiamento climatico. La domanda di spazi abitativi e ambienti di vita compatibili con il clima continuerà ad aumentare. I soci SIA affiancano i committenti e concorrono a soddisfare tale domanda, perseguendo gli obiettivi fissati dalla Società per il parco immobiliare e infrastrutturale in vista dei cambiamenti climatici.

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