Il se­greto di Mosè

Rapporti e forme tra architettura e acqua

Quali rapporti possono instaurarsi tra architettura e acqua? E quali sono le forme architettoniche che permettono di dialogare con questo elemento? Silvia Berselli, curatrice di «Archi» 3/2019, riflette sul tema.

Date de publication
13-06-2019

Architettura e acqua: quale rapporto?

Rapporto poetico

Nella maggior parte delle religioni, l’acqua assume una carica simbolica che le conferisce il ruolo di elemento della purificazione: dal fonte battesimale ai riti nel Gange, essa accompagna i passaggi esistenziali dalla nascita alla morte.1 L’acqua del Fedro di Platone gorgogliando sembra sussurrare all’orecchio del filosofo le sue riflessioni, in un paesaggio verde e bucolico all’ombra di un platano: nel progetto degli edifici sacri o profani l’acqua assume il valore di elemento estetico e poetico, capace di determinare un’atmosfera di pace propizia alla meditazione. La sua presenza nei parchi, in forma di vasche o fontane, permette di costruire il giardino di delizie, dall’Alhambra a Versailles, che rimanda al giardino archetipico,2 l’Eden, e contribuisce a rappresentare sulla terra la pienezza e la perfezione del Paradiso.

I simboli dell’acqua permangono anche al variare dei contesti culturali che li hanno creati: basti pensare al gesto imperioso della statua di Poseidone, che con il tridente abbassato governa le acque al centro della Fontana di Trevi, ripreso dal Mosè che apre il Mar Rosso nella Fontana dell’Acqua Felice; non a caso le due sono alimentate dallo stesso acquedotto, che costituisce una sorta di fil rouge (o meglio, un filo blu) insieme infrastrutturale e storiografico. La forma dell’acqua, titolo di un recente successo di Guillermo del Toro,3 è un ossimoro: l’acqua riceve la forma da ciò che la contiene o dalla forza che la muove, dunque è necessaria l’immaginazione per darle un volto (quello di Poseidone, di Mosè, delle sirene e delle ninfe), o il lavoro dell’architetto per poterla modellare. Alcuni architetti hanno saputo introdurre l’acqua nei loro progetti come se si trattasse di un materiale da costruzione, plasmandola in modo da generare spazi a reazione poetica.

Carlo Scarpa, come forse è naturale per un veneziano,4 considera l’acqua l’elemento in grado di portare vita alla materia inerte dell’architettura.5 L’acqua è una superficie mobile orizzontale in grado di riflettere la luce incidente e di proiettarla sulle strutture verticali (pareti, sculture, vetrate), conferendo loro un carattere vibrante che le fa sembrare mobili e vive. Succede questo nel Giardino di Sculture su specchi d’acqua ai Giardini della Biennale (1952), nella Gipsoteca canoviana (1955-1957) dove una vasca esterna adiacente alla vetrata illumina le tre Grazie facendole «danzare», nella Casa Veritti (1955-1961), abbracciata da una piscina circolare, nel Padiglione del Veneto all’Esposizione «Italia 1961» a Torino, dove un grande lampadario modulare si riflette nella vasca sottostante riassumendo con un gesto unico un senso di galleggiamento, di sospensione dorata tutto veneziano. Spesso Scarpa colloca l’acqua in corrispondenza dell’accesso all’edificio, costruendo una sorta di rituale iniziatico di purificazione e al contempo recuperando i modelli del canale o del fossato, che rispettivamente connettono o proteggono l’architettura. L’accesso diventa un ponte a Castelvecchio (1956-1974), nella Querini Stampalia (1961-1963, imm. 1) e nella Tomba Brion (1969-1978).

Un rapporto poetico tra architettura e acqua è riscontrabile anche nell’opera dell’architetto messicano Luis Barragán, che nel Los Clubes (1964-1969) costruisce un vasto patio con una vasca d’acqua in cui i cavalli del ranch possono abbeverarsi o bagnarsi per trovare sollievo dal caldo. Le fotografie raccontano un’architettura calda e assolata, che prende forma nel silenzio, nel colore e nei riflessi della luce sull’acqua (imm. 2). Qualcosa di analogo accade, a una scala più contenuta e con un atteggiamento più intimo, nella piscina di Casa Gilardi (1977), illuminata da un lucernario che moltiplica nell’acqua i riverberi delle pareti colorate.

La Svizzera presenta uno dei migliori progetti in cui il rapporto tra acqua e architettura raggiunge la poesia: si tratta delle Terme di Vals di Peter Zumthor, inaugurate nel 1996 e subito entrate a far parte dell’elenco degli edifici protetti. La costruzione è incastonata nella montagna e dà l’impressione di essere stata creata per sottrazione, scavando i volumi nella roccia naturale da cui scaturisce la sorgente termale. L’atmosfera che si respira all’interno è il frutto di una inedita e sapiente combinazione di materiali: la pietra tagliata in sottili elementi orizzontali per evocare il tempo lungo della sedimentazione, il vapore che sale dalle vasche e la luce che gli conferisce consistenza.

In Giappone Kengo Kuma6 realizza nel 1995 una guest house affacciata sull’Oceano Pacifico; il padiglione «Water/Glass» fluttua su una vasca d’acqua e si fonde con il paesaggio circostante. È delimitato solo da pareti in vetro che si sovrappongono, moltiplicando i delicati ricami di luce e le increspature dell’acqua.

Non solo gli architetti indagano le potenzialità evocative della costruzione sull’acqua: il tema è frequentato dalla land art e da figure come Christo e Jeanne-Claude, che attraverso le loro installazioni galleggianti hanno prodotto visioni ormai insediate nell’immaginario collettivo. Tra i numerosi Water projects,7Surrounded Islands (1983) costruisce con un nastro rosa una bordura intorno alle piccole isole che fronteggiano Miami, mentre The Floating Piers (2016) realizza un percorso galleggiante giallo-oro sul lago d’Iseo, unendo alla vertigine di camminare sull’acqua il piacere di scoprire nuove prospettive visuali sul paesaggio circostante.

Un progetto del 2011 in bilico tra architettura e land art è dedicato al patriarca biblico: è il Moses Bridge,8 realizzato da Ro & AD Architects. Si tratta di un ponte per attraversare il fossato di una fortificazione inserita nella Linea d’acqua olandese, un sistema difensivo del XVII secolo formato da chiuse, dighe e canali, a protezione delle principali città. Oggi la Linea d’acqua è diventata un’infrastruttura verde con percorsi ciclabili e aree attrezzate e per raggiungere il fortino di Roovere i progettisti hanno creato un attraversamento sotto il livello dell’acqua che lascia inalterato il paesaggio e provoca nel visitatore la sensazione incredibile di camminare sospeso tra due masse d’acqua (imm. 3).

Rapporto antagonistico

Non sempre il rapporto tra acqua e architettura si declina nella forma idilliaca presentata sinora: l’acqua rivela spesso la sua natura di elemento ribelle e ingovernabile, nella forma di inondazioni, maree impetuose, tempeste, uragani, onde anomale, grandine e ghiaccio. L’acqua rappresenta in questo caso la natura matrigna che punisce l’uomo per la sua arroganza e tenta di cancellarne l’operato: l’architettura diventa un rifugio e un’arma, o meglio una strategia, nel tentativo costante dell’uomo di «imbrigliare» l’acqua, di addomesticarla. Le dighe, gli argini, le casse di espansione, i tetti, i frangiflutti, sono le macchine che l’ingegno dell’uomo ha prodotto per contenere la minacciosa potenza dell’acqua. Non c’è molta differenza, in questo senso, tra le figure nere del Cratere del Naufragio9, con la nave rovesciata e i corpi dei marinai inghiottiti dai pesci, le rappresentazioni ottocentesche intrise di terrore di certe tempeste in mare,10 in cui la forza di Poseidone tocca il sublime e sottolinea la piccolezza umana (imm. 4), e le fotografie del Vayont11 nel 1963, di Firenze nel 1966, di New Orleans nel 2006, o della bassa modenese nel 2014 (imm. 7).

Non a caso il racconto del diluvio universale è presente nella maggior parte delle religioni, dall’Arca di Noè in poi, come una punizione divina e, ironia del destino, sembra proprio che sia quello che ci attende a seguito del surriscaldamento globale, anche questo derivante dalle azioni dell’uomo, laicamente sconsiderate. Il Mose di Venezia tradisce il desiderio, non privo di hybris, di governare le acque e di sottrarsi ai loro capricci e forse per questo peccato di superbia non è ancora andato in porto, oltre che per le infiltrazioni, non d’acqua, ma mafiose. Un cammino sofferto ha accompagnato anche la bonifica dell’Agro Pontino,12 vagheggiata da imperatori e papi e realizzata solo nel XX secolo, grazie all’impiego di pompe e macchine potenti rese disponibili dalla produzione industriale. Mussolini fonda buona parte della sua identità politica, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali, sull’immagine del condottiero-contadino che si batte senza sosta, dal 1924 al 1939, per strappare la terra all’acqua e per costruire moderne città di fondazione là dove prima regnavano i banditi e la malaria (imm. 5).

Il rapporto poetico e quello antagonistico riflettono un’immagine ambivalente della natura madre e matrigna, come la si legge nell’opera di Leopardi.13 Due progetti pensati per essere costruiti su un corso d’acqua possono illustrare questi due punti di vista: il primo è quello non realizzato di Claude-Nicolas Ledoux, la casa per il supervisore delle sorgenti della Loue, corollario del progetto per la città ideale delle Saline reali di Chaux, pubblicato nel 1804. Il secondo progetto è la celeberrima Casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright, realizzata sul ruscello Bear Run in Pennsylvania nel 1936. Entrambi esprimono il desiderio di instaurare un rapporto tra la natura e l’architettura, costruendo una residenza sul fiume: nel primo caso il volume costruito dall’uomo ha il valore di un avamposto di controllo, di una diga che serve a domare una natura ribelle, mentre nel secondo caso l’edificio si adatta alle preesistenze naturali e vi si sovrappone senza interferire con esse.

Rapporto funzionale

Costruire vicino all’acqua o su di essa comporta dei vantaggi: le palafitte mettevano l’uomo al riparo dai predatori; le case dei pescatori palificate sui fiordi norvegesi permettono di gettare le reti direttamente dal balcone e di usare i pali per mettere a seccare il pesce; nel caso di insediamenti densi o ad alto valore fondiario, costruire sull’acqua permette di aumentare il terreno disponibile, come nel caso di Paesi Bassi, Giappone, Dubai o Monaco. Se i progetti di Kenzo Tange per la baia di Boston e per Tokyo (1959-1960) potevano sembrare avveniristici, le Palm Island di Dubai ne hanno dimostrato la fattibilità, cinquant’anni dopo e con un notevole slittamento semantico, da brani di città pubblica a gated community di lusso. L’unico architetto metabolista ad aver costruito sull’acqua è Kiyonori Kikutake, che dopo numerosi progetti di Marine City e Ocean City negli anni Cinquanta e Sessanta, realizza il padiglione centrale dell’Expo 1975 di Okinawa, dedicata all’ambiente degli oceani e alla sua salvaguardia. Con i suoi 10’000 mq, Aquapolis è la più grande struttura galleggiante del mondo ed è stata costruita in un cantiere navale a Hiroshima, per poi essere trainata nella baia dell’Expo (imm. 6).

Un caso limite determina una tipologia polifunzionale all’incrocio tra vie d’acqua e di terra, dove sorgono i ponti urbanizzati,14 come quelli di Rialto a Venezia, il ponte Vecchio a Firenze e numerosi esempi in Europa, oggi demoliti. Il modello viene ripreso da architetti radicali come Constant, Paolo Soleri, Archigram, Claude Parent, Yona Friedman, che propongono ponti abitati, purtroppo mai realizzati, che si trasformano in città lineari sull’acqua. Oggi la loro eredità è raccolta da Marc Mimram, architetto e ingegnere che impiega nuove tecnologie costruttive e nuovi sistemi di finanziamento privato per concretizzare il sogno di una città connessa grazie a luoghi che non sono più solo di transito, ma diventano spazi di vita e socializzazione. Mentre Londra ha dovuto abbandonare, a causa dei costi eccessivi, l’idea accarezzata dall’ex sindaco Boris Johnson di un ponte giardino sul Tamigi, Parigi progetta per le Olimpiadi del 2024 tre ponti abitati nel centro urbano, finanziati da privati.

Infrastrutture blu

Nonostante l’interramento dei canali urbani e delle darsene lo abbia fatto dimenticare, l’acqua è stata per secoli (e potrebbe essere ancora) un’infrastruttura: la società di oggi si muove su rotaia o su gomma, ma potrebbe verificarsi un’inversione di tendenza, in un quadro globale che sempre più prende coscienza dell’inquinamento dato dal trasporto pesante e del costo ambientale del nostro sistema di vita. Sempre più numerosi sono i parchi lineari che si sviluppano come infrastrutture verdi lungo il corso di un fiume e integrano sistemi di controllo delle acque e casse di espansione: si pensi alla ciclabile del Mincio e ai progetti per il Parco Ticino, o al Yanweizhou Park in Cina, che è in grado di accogliere l’allagamento da monsoni, proteggendo così la città (imm. 10).

Architettura e acqua: quali forme?

Da sempre costruire a contatto con l’acqua richiede l’impiego di considerazioni progettuali e tecnologie specifiche, che si possono provare a riassumere utilizzando tre forme archetipiche divenute modelli tipologici, attraverso i quali classificare tutti gli edifici noti che si inseriscono nel quadro di questo rapporto.

Il primo e più antico modello è quello della palafitta, caratterizzato dalla presenza di un volume costruito su una piattaforma sorretta da pali che affondano nell’acqua. La palafitta permette di costruire in zone acquitrinose, soggette a inondazioni o maree, e protegge dai predatori; pertanto è ancora oggi utilizzata in alcune regioni dell’Africa, dell’Asia e del Sudamerica. A questa tipologia sviluppatasi in epoca neolitica si deve la costruzione di Venezia, i cui palazzi si fondano su foreste di pali in legno conficcati nel terreno paludoso fino a trovare il caranto, uno strato duro e compatto di argilla. Affondando nelle acque della laguna veneta, i pilotis che reggono l’ultimo progetto di Le Corbusier, quello per l’Ospedale di Venezia, non appartengono più alla rivoluzionaria lezione del Moderno declinata nei «cinque punti», ma sembrano quasi venir suggeriti dalle maestranze locali, vere esperte di genius loci.

Sorgerà su pali in legno, nelle acque di un fiordo nel nord della Norvegia, lo Svart Hotel di Snøhetta (2017-2021), un grande anello sospeso per ridurre al minimo l’ingombro fisico dell’edificio. Ai piedi di un ghiacciaio perenne, sarà il primo hotel ecologico in grado di raggiungere lo standard Powerhouse, di alimentarsi in completa autonomia e di fornire ai suoi ospiti sport nautici e una passeggiata circolare sospesa sull’acqua (imm. 8).

I padiglioni sull’acqua nelle località balneari europee, come le rotonde sul mare e i Kursaal, sono «follie» architettoniche nate a seguito dello sviluppo economico e del turismo di massa e configurano un paesaggio iconico, immortalato in molte cartoline, in cui natura e artificio si compenetrano. Le più famose costruzioni di questo tipo sono la rotonda di Senigallia, divenuta simbolo della città stessa e celebrata in una canzone di Fred Bongusto, e lo stabilimento balneare Charleston di Mondello, costruito in stile liberty agli inizi del Novecento dall’architetto Rudolf Stualker. In tempi più recenti, sul lago di Neuchâtel è stato inaugurato l’Hôtel Palafitte, un cinque stelle costruito nel 2002, in occasione dell’Esposizione nazionale svizzera. Realizzato da Kurt Hofmann insieme agli studenti dell’École Hôtelière di Losanna, l’hotel è composto da 40 padiglioni di 68 mq costruiti su palafitte e dotati di grandi vetrate e logge che si aprono verso il lago e il paesaggio montuoso circostante (imm. 9).

I resti di palafitte sono stati scoperti per la prima volta all’inizio dell’Ottocento nei laghi svizzeri, in seguito a forti siccità che ne avevano causato il parziale prosciugamento; da allora le ricerche archeologiche si sono moltiplicate e l’hotel sul lago può dunque essere letto come un tentativo di conservare la memoria dei luoghi reinterpretandone la storia. Non è però una storia conclusa: la palafitta è stata recuperata come modello emergenziale resiliente da un gruppo edile operante nel Regno Unito, il Larkfleet Group, che ha prodotto l’Elevating House,15 una casa capace, in caso di inondazione, di sollevarsi fino a un metro e mezzo da terra su tubi estensibili in soli cinque minuti, per un peso stimato intorno alle 65 tonnellate, ad oggi ancora in fase sperimentale.

Un funzionamento analogo presenta la prima Casa Anfibia costruita nel 2012 in Inghilterra da Baca Architects16 lungo le rive del Tamigi: quando il fiume straripa riempie l’interrato della casa, una sorta di basamento allagabile, sollevandola come una pompa idraulica, per poi riportarla in secco alla posizione iniziale quando si ritira. Il secondo modello di costruzione a contatto con l’acqua è proprio il basamento, ovvero il progetto di una piattaforma rialzata su cui disporre l’edificio, in modo tale da salvare il piano nobile e quelli superiori in caso di inondazione e da evitare la risalita di umidità. La struttura poggia su murature forate o pilastri che hanno le fondazioni nel terreno, ma che all’occorrenza permettono all’edificio di comportarsi come una palafitta.

Gli esempi più celebri sono le ville costruite da Palladio nella valle del Brenta ed edificate per reggere le piene del fiume senza rinunciare all’impiego di materiali e forme classiche e di un carattere rappresentativo che sconfina nel monumentale, elementi inconciliabili con l’architettura delle palafitte. Si comportano allo stesso modo anche il Parlamento di Dacca di Louis Kahn, costruito in una piana su cui si riversano le esondazioni del Gange, e il pianterreno della Fondazione Querini Stampalia di Carlo Scarpa, che accoglie l’acqua alta trasformando la catastrofe naturale in elemento del progetto. Il basamento allagabile è comune nelle architetture veneziane e olandesi, laddove il mare spesso si riprende, anche se temporaneamente, le superfici che l’uomo gli ha tolto con le bonifiche.

Il terzo ed ultimo tipo che si propone è la piattaforma, una struttura galleggiante sulla superficie dell’acqua, mobile oppure ancorata alla costa o a un pontile. Tra gli esempi vi sono le architetture effimere e d’occasione, come il ponte di barche che ogni anno dal 1577 connette San Marco alla Giudecca per la Festa del Redentore, come il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, costruito a Venezia nel 1979, o il progetto di Mario Botta che ha portato nel 1999 alla costruzione sul lago di Lugano della sezione a grandezza naturale della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Borromini (imm. 13). Sono architetture anfibie anche i palcoscenici galleggianti, come quello dei Pink Floyd a Venezia nel 1989 o quello di Björk sulle vasche d’acqua della Città della scienza di Calatrava a Valencia nel 2003.

Nel 1929 Le Corbusier realizza la riconversione di una chiatta in cemento armato, la péniche Louise-Catherine, per trasformarla in un ricovero galleggiante per i senza tetto di Parigi, attivo fino al 1994. Dopo anni di incuria e piene della Senna, la chiatta cola a picco nel febbraio 2018, portando con sé la memoria di un progetto sociale inusitato che proponeva di risolvere la carenza degli alloggi colonizzando l’acqua. Un caso peculiare è quello della sala da concerti galleggiante Point Counterpoint II, progettata da Louis Kahn per l’American Symphony Orchestra e completata postuma nel 1976 (imm. 11-12). Lunga quasi 60 metri, la nave ha un rivestimento scintillante che la fa assomigliare a un’astronave e contiene, oltre al palcoscenico pop-up, anche posti letto e una galleria per mostre: un progetto polifunzionale che per decenni si è spostato sull’acqua distribuendo concerti in America, Europa e Caraibi17 ed ha in qualche modo ereditato la missione che il dirigibile della Instant City degli Archigram si proponeva di condurre per via aerea.

Gli architetti radicali degli anni ’60, nel desiderio di superare gli angusti limiti disciplinari, hanno prodotto numerosi progetti di strutture galleggianti e gonfiabili. È il caso di Chanéac con il suo progetto di espansione galleggiante di Aix-les-Bains sul lago del Bourget e di Paul Maymont, che con la sua Ville flottante, studiata a Kyoto nel 1959, conferisce una forma iconica al desiderio giapponese di espandere il territorio nazionale sull’acqua, che troverà una concretizzazione solo nel 1990, con la costruzione da parte di Renzo Piano dell’Aeroporto del Kansai di Osaka, strutturato come una gigantesca palafitta. Da sempre in lotta per strappare la terra all’acqua, l’Olanda presenta un vasto repertorio di casi studio contemporanei, come l’isola artificiale di IJburg, realizzata alla fine degli anni ’90 a est di Amsterdam e ad oggi in continua espansione, con le sue spiagge, la vegetazione naturale e le case galleggianti dal design accattivante. Un altro territorio nazionale «compresso», quello del Principato di Monaco, si è rivolto spesso ai progettisti, tra cui Walter Jonas, Paul Maymont, Christian de Portzamparc, per cercare di espandere il suo territorio, che supera di poco i 2 kmq, parte dei quali già strappata all’acqua con la piattaforma del Portier. A luglio 2018 è iniziata la costruzione di un nuovo quartiere-isola che aumenterà del 3% la superficie del principato; il progetto è di Renzo Piano e sarà completato nel 2025.

Il desiderio dell’uomo di dominare l’acqua e di colonizzarla è ancestrale, eppure sembra essersi, in questi ultimi anni, ulteriormente ravvivato. Forse si può leggere in questo fenomeno una presa di coscienza del valore di un bene tanto quotidiano quanto incommensurabile, o forse solo l’estrema conseguenza di un atteggiamento colonialista e divoratore: nessuno può dire cosa riserverà il futuro a quella che è divenuta, ormai da tempo, una società liquida.18

 

Note

  1. Gaston Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita, Red edizioni, Como 1992 (ed. orig. 1942).
  2. Eugenio Pesci, La Terra parlante. Dai paesaggi originari ai non-luoghi alpestri, CDA & Vivalda, Torino 2004; Massimo Venturi Ferriolo, Etiche del paesaggio: il progetto del mondo umano, Editori riuniti, Roma 2002.
  3. Guillermo del Toro, La forma dell’acqua – The Shape of Water, film drammatico, 2h 3m, 2018.
  4. Franco Mancuso, Costruire sull’acqua. Le sorprendenti soluzioni adottate per far nascere e crescere Venezia, Corte del Fontego, Venezia 2011.
  5. Renata Giovanardi, Carlo Scarpa e l’acqua, Cicero, Venezia 2006.
  6. Vedi il sito ufficiale di Kengo Kuma and Associates (consultato il 17/04/2019)
  7. Germano Celant, Christo and Jeanne-Claude. Water projects, Catalogo della mostra al Museo di Santa Giulia, Brescia 7.04-18.09.2016, Silvana, Cinisello Balsamo 2016.
  8. Moses Bridge, «Area», 23 maggio 2017 (consultato il 25/03/2019).
  9. Cratere del naufragio, Museo archeologico di Pithecusae (Lacco Ameno, Ischia), VIII secolo a.C.
  10. Sul rapporto antropologico tra uomo e mare, vedi: Alain Corbin, L’invenzione del mare. L’Occidente e il fascino della spiaggia 1750-1840, Marsilio, Venezia 1990 (ed. orig. 1988); Jules Michelet, Il mare, Il melangolo, Genova 1992 (ed. orig. 1983).
  11. Marco Paolini, Vajont 9 ottobre ’63, Einaudi, Torino 1997-1999.
  12. Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori, Milano 2010.
  13. Giacomo Leopardi, Dialogo della natura e di un islandese, dalle Operette morali, Mursia, Milano 1967; scritto nel 1824 e pubblicato per la prima volta nel 1827.
  14. Bibliografia sui ponti urbanizzati: Ionel Schein, Ponts urbanisés, studio inedito finanziato dal Ministère des Affaires culturelles, Parigi, 1975-1976. Fondo Schein, FRAC Centre, Orléans. Ponti abitati, Numero monografico di «Rassegna», 48/4, dicembre 1991. Silvia Berselli, Les ponts urbanisés. A proposal between criticism and project, in Critic|all. II International Conference on Architectural Design and Criticism, atti del convegno (Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, 20-21 giugno 2016).
  15. Elena Bozzola, La casa che si solleva contro le inondazioni, «Architettura Ecosostenibile», 15 febbraio 2017 (consultato il 25/03/2019).
  16. Vedi il sito ufficiale di Baca Architects (consultato il 25/03/2019).
  17. Chi salverà la sala concerti galleggiante di Louis Kahn?, Sky arte news, 3 agosto 2017 (consultato il 21/03/2019).
  18. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002 (ed. orig. 2000).

 

Questo articolo è parte di Archi 3/2019, L'acqua del benessereQui si può leggere l'editoriale del numero e qui è possibile acquistarlo.

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