«Il te­ma del Pa­digli­o­ne svi­z­ze­ro? Pro­por­re nuo­vi approc­ci al­la so­cie­tà ci­vi­le»

La 17a edizione della Biennale Architettura di Venezia è stata inaugurata nel fine-settimana dopo un rinvio di un anno. Abbiamo incontrato Céline Guibat, architetta e presidente della giuria che nel 2019 ha selezionato, per la Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, il progetto per il Padiglione svizzero. Ci racconta quali aspetti di «Oræ – Experiences on the Border», curato da Vanessa Lacaille, Mounir Ayoub, Pierre Szczepski e Fabrice Aragno, hanno convinto la giuria.

Publikationsdatum
27-05-2021

espazium – Quali sono le peculiarità del progetto che vi hanno colpiti nel corso del processo di selezione? Come spiega l'interesse per la frontiera, tema trattato piuttosto spesso dai padiglioni nazionali?

Céline Guibat – Il processo di selezione mira a individuare progetti che portano nel Padiglione svizzero problematiche attuali. Il tema proposto – la frontiera – rientra tra le questioni contemporanee più interessanti. Come può una linea disegnata su una mappa avere un impatto sul territorio? Cosa significa realmente?

In effetti, tale linea ha un impatto fisico, psicologico e spaziale. La prospettiva proposta dai curatori era incentrata sulla percezione, e questo ci ha affascinati per la sua dimensione spaziale. Abbiamo quindi sentito subito il forte potenziale curatoriale del tema, perché la Biennale Architettura è anche questo: saper attirare in modo immediato i visitatori, riuscire a spiccare proponendo un'esperienza forte.

Per l'équipe dei curatori, la sfida è presentare un concetto ricco e complesso tramite il formato dell'esposizione. Nel 2018, la mostra «Svizzera240» di Alessandro Bosshard, Li Tavor, Matthew van der Ploeg e Ani Vihervaara aveva una componente ludica: attirava l'attenzione in modo divertente, anche se implicava una critica diretta e sottile al mondo della costruzione svizzera. La sfida sta nel riuscire a comunicare e nel trovare i giusti mezzi per rendere il soggetto esplosivo!
 

Secondo gli autori del progetto, «studiare la frontiera svizzera al giorno d’oggi significa immaginarla non solo come una linea su una mappa ma anche come uno spazio che va vissuto; non unicamente come un limite ma anche come un inizio». In che modo questo progetto propone delle nuove percezioni della frontiera?

«Oræ – Experiences on the Border» parla del territorio svizzero nel suo insieme, e ha il potenziale per instaurare un dialogo nel cuore della società civile. È la forza della proposta dei curatori: creare uno spazio di scambio su un aspetto metafisico e generare una discussione in seno alla società. Le frontiere ci toccano tutti, in modo a volte concreto, a volte non immediatamente percettibile. Questo progetto, che sensibilizza alla percezione, apre un dibattito sull'ambiente costruito e sulla memoria collettiva.

Per i curatori, la sfida stava nel trascrivere un contenuto complesso in un formato semplice, comprensibile e interessante. Un formato che permettesse di documentare il loro approccio, consistente nel recarsi sul campo, avviare processi partecipativi e creare in laboratorio dei modelli insieme agli abitanti. Le conoscenze raccolte lungo il cammino sono state molte, e la loro resa è decisiva, poiché si lega anch'essa a un'ambizione cartografica.

Il contesto della pandemia si è rivelato un'opportunità: i curatori si sono potuti recare sul campo una seconda volta, cosa che ha fatto evolvere il progetto. E poi è stata questione di sintesi. Il loro è un percorso impeccabile! Hanno affrontato tutti questi aspetti e dimostrato di avere un approccio completo.
 

La frontiera diventa territorio a partire dalle percezioni culturali. Cosa può imparare l'architettura dall'approccio adottato dai curatori con gli abitanti?

Su scala locale, i comuni sono sempre più aperti ai processi partecipativi. In quanto professionisti coinvolti, possiamo trarre qualche insegnamento sulle modalità e le esperienze fatte, perché la squadra ha avvicinato gli abitanti a delle pratiche nuove. È il vero tema del padiglione: aprire la società civile a dei nuovi approcci, anche sperimentali – perché siamo tutti artigiani del nostro ambiente costruito. E il padiglione invita a percepirlo, a riscoprirlo sotto una nuova luce e a dargli forma in modo diverso. Si può dire che è questo l'effetto del dialogo che i curatori hanno instaurato col territorio, aprendo nuovi orizzonti.
 

Pro Helvetia ha scelto il concorso a procedura libera per il processo di selezione: pensa che anche questo – la peculiarità dei concorsi svizzeri – contribuisca alla qualità dei progetti presentati alla Biennale Architettura?

Questo tipo di procedura permette di ideare il progetto espositivo su un arco di tempo più lungo, indipendentemente dal calendario della Biennale Architettura. Ci sarebbe in effetti troppo poco tempo se si aspettasse per partire l'annuncio del tema generale da parte dei curatori della manifestazione. Con le nostre tempistiche, il progetto guadagna in maturità perché ha tempo di essere sviluppato e promosso. Inoltre – e questo si deve alla procedura aperta in due fasi – il processo è dinamico e iterativo: permette una pluralità di proposte. Il formato è leggero per la prima fase e adatto a studi di tutte le dimensioni. È agile, risponde alle esigenze dei professionisti ed è aperto alla diversità.

Céline Guibat è architetta associata dello studio Mijong Sàrl (Zurigo e Sion).

17a edizione della Biennale Architettura
 

Dal 22 maggio al 27 novembre 2021
 

Padiglione svizzero: «Oræ — Experiences on the Border»

Curatori: Vanessa Lacaille (architetta paesaggista), Mounir Ayoub (architetto), Pierre Szczepski (artista) e Fabrice Aragno (cineasta)