Il Co­di­ce de­on­to­lo­gi­co dell’OTIA /9

Il ciclo di interventi sul codice deontologico si chiude con una riflessione dell'architetto e ingegnere Simone Tocchetti e con il saluto di Marco Del Fedele.

Publikationsdatum
05-12-2019

L’OTIA nel 2010 si è dotata di un nuovo codice deontologico per i propri affiliati.

Un passo importante che permette di sensibilizzare i professionisti sul comportamento da adottare nello svolgere le proprie mansioni, negli ambiti dove le normative trovano i propri limiti, dove l’apprezzamento personale è il fattore determinate.

Prendendo spunto dall’interessante articolo dell’ing. Ré, apparso in «Archi» 1/2017, inerente l’articolo 7, che analizzava i rapporti con gli enti ­pubblici, pongo le basi per il commento all’articolo 8 che definisce il rapporto tra colleghi e per­sone; nello specifico mi occuperò del cap. 5, che recita: «è altresì vietata ogni pratica che tenda a farsi aggiudicare un mandato privato o una commessa pubblica sulla base di un’offerta inganne­vole relativamente alle prestazioni e ai costi, ossia formulata in modo da sottovalutare coscientemente l’onere dell’opera».

Quale membro del comitato centrale della SIA – e a complemento informativo – mi permetto di aggiungere che, nell’autunno del 2015, la SIA ha pubblicato la Charta Onorari equi per prestazioni professionali,1 dove questo tema viene ulteriormente approfondito.

Questi sembrerebbero quindi i criteri inequivocabili ai quali tutti i professionisti dovrebbero attenersi. Come molti lettori sapranno, nella realtà purtroppo si è confrontati con situazioni che possiamo definire discutibili.

Partendo dal presupposto che nelle vesti di progettisti attivi sul libero mercato – che, ricordo, altro non è che l’interazione a completa soddisfazione tra acquirenti e, nel caso specifico, di fornitori di prestazioni – ci si trova spesso confrontati con il quesito legato a come stabilire il valore di esse; da qui il definire se il medesimo è stato o può essere coscientemente sottovalutato.

Nell’articolo 8, cpv. 5 si scrive dell’aggettivo ingannevole; credo che nello specifico, riallacciandomi a quanto scritto poc'anzi, partendo dal presupposto che sia l’offerta che la richiesta vengano formulate e verificate da professionisti, nasca il sospetto che una certa complicità stia alla base dello sviluppo di talune ­relazioni economiche. C’è chi inganna, chi viene ingannato o chi semplicemente si lascia ingannare.

Oppure, diversamente, le nostre prestazioni non si possono richiedere ed offrire in maniera inequivocabile, così da poterne stabilire in modo preciso l’onere necessario alla loro esecuzione.

Il primo caso si struttura in due situazioni molto diverse: l’interesse di uno dei contraenti si impone sull’altro, creando una situazione di diseguaglianza, oppure entrambe le parti sono consce della situazione e credono di approfittarne.

Nel secondo caso, alla base dell’inganno troviamo degli argomenti filosofici: definire la qualità di una prestazione e attribuirle un valore è una tematica di difficile soluzione.

Sottovalutare coscientemente il valore di un’opera implica nella maggior parte dei casi che, con lo scopo di rendere maggiormente competitiva la propria offerta abbassandone artificialmente il valore, durante lo svolgimento delle proprie mansioni si cerchi infine, attraverso rivendicazioni di diverso genere, di recuperare il valore volontariamente omesso della commessa, così da evitare delle perdite economiche.

Ricollegandomi alla pratica quotidiana dove, ad esclusione di alcuni clienti privati, le offerte vengono redatte da specialisti del ramo che fanno le veci del committente o dove il committente stesso è un professionista del settore, risulta anomalo che possano verificarsi dei casi dove l’onere dell’opera possa venir coscientemente sottovalutato e l’offerta relativa venga tuttavia valutata e deliberata. È altrettanto illusorio credere che, nel novero delle offerte dichiaratamente più «a buon mercato», gli offerenti svilupperanno la prestazione con la medesima perizia di quelli meno economici, senza modificare l’importo offerto.

Se il committente – nel caso specifico, l’ente appaltante – descrive con la necessaria perizia le prestazioni che pretende, evitando quindi che ci possano essere delle incomprensioni volontarie e non, sarà l’offerente nell’ambito delle proprie valutazioni a dover rispettare il contenuto del paragrafo 5.

A titolo esemplificativo vorrei citare le vicissitudini legate alla costruzione della cupola del Duomo di Firenze. Nel 1418 l’Opera del Duomo bandì un concorso per la progettazione e l’esecuzione della cupola del medesimo, dopo che il Ghiberti (1378-1455) ne aveva sottovalutato l’entità e l’onere, non ci è dato sapere se coscientemente o meno. Al termine di un’analisi molto dettagliata delle soluzioni e degli onorari proposti dai concorrenti, l’incarico venne affidato a Filippo Brunelleschi (1377-1446), con la motivazione che soltanto lui era in grado di portare avanti il progetto.

Credo che sia illusorio credere che ogni membro OTIA quando consegna un’offerta si creda Filippo Brunelleschi, e penso che sia altrettanto illusorio immaginarsi che ogni committente possa affidare l’incarico all’unico professionista che sia in grado di svolgere un de­terminato compito, anche perché quo­tidianamente non siamo unicamente a confronto con le cupole dei duomi. Ma è certo che infine Brunelleschi portò a termine un’opera complessa, difficile da descrivere con un bando, dove lui avrebbe potuto sottovalutare l’onere della ­medesima. Invece non lo fece e, durante i venti anni di cantiere, ripercorrendo il dettagliato rapporto sull’esecuzione,2 non si trova nessuna richiesta finanziaria supplementare.

Concludendo, il tema è evidentemente molto articolato: il mercato, le norme, le commissioni di vigilanza ecc. influenzano il rapporto tra offerente e committente. Quali professionisti, quindi persone che dovrebbero riflettere ad ampio raggio, come ­dimostra Brunelleschi, sta infine alla propria ratio dove porre il limite di un’offerta formulata in modo da sottovalutare coscientemente o meno l’onere dell’opera.

Note

  1. Charta Onorari equi per Prestazioni professionali, SIA, Zurigo 2015.
  2. R. Corazzi, La cupola del Brunelleschi. Il segreto della costruzione, Firenze 2011.

Qui è pubblicato il dossier con tutti gli articoli sul codice.

Una solida base professionale

di Marco Del Fedele

Le professioni di architetto e ingegnere sono sorrette da forti valori storici e culturali, che riflettono i valori della società e perseguono utopie e indirizzi per il futuro.

Il Codice deontologico, approvato dall’Assemblea OTIA e dal Consiglio di Stato nel 2011, è parte di tali valori. Nel 2015, il Consiglio OTIA ha ritenuto importante divulgare la conoscenza del Codice, pubblicando su «Archi» 17 commenti di singoli articoli, in ottica multidisciplinare, coinvolgendo giuristi, architetti, ingegneri e l’ente pubblico. Una formula molto apprezzata dai lettori. Oltre ai testi su «Archi», il Consiglio OTIA ha pubblicato il Vademecum OTIA, presentato durante il seminario del 14 aprile 2019, i cui relatori hanno evidenziato l’importanza del Codice per gli architetti e gli ingegneri, come strumento normativo che favorisce il riconoscimento della loro attività professionale e che consente di sanzionare comportamenti scorretti.

Concludo la serie di articoli sul Codice deontologico OTIA, invitando i soci a perseguire sempre con il proprio operato i valori prescritti dal Codice, consapevoli che l’impatto ha un riflesso più ampio e diretto sul territorio e sulla società.

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