Ro­bert Mail­lart: homme à tout faire, av­ven­tu­riero tra città e cam­pagna

Date de publication
06-10-2021

Elogio della Schweizerische Bauzeitung

Nella cucina storiografica della modernità architettonica, quella del Modern Movement, Robert Maillart (1872-1940), incontra tre cuochi stellati, Sigfried Giedion, Max Bill, David Billington che lo servono da Voyant. I ponti di Maillart sarebbero la risposta esemplare all’appello di Le Corbusier in Vers une architecture (1923): trarre la lezione dalla virilità degli ingegneri, ignorare la morosità sterile dell’architettura accademica. Per evidenziare la nozione polemica di «architettura degli ingegneri» Giedion utilizza le proprie fotografie. I libri di Giedion, Bill, Billington sono posteriori alla morte1 di Maillart, scomparso a Ginevra all’inizio della seconda guerra mondiale. La sua apoteosi si svolgerà a Zurigo al momento della distruzione scientifica del suo arco parabolico monolitico, costruito per l’Esposizione nazionale di 1939. Orchestrato dal suo amico Mirko Roš, questa «prova del materiale» (Material Prüfung) equivale a un rito celebrativo post mortem.2

Sappiamo che la morte conferisce alla persona sparita uno statuto alla Giano, tra caduta nell’oblio e commemorazione. Ora, come avvicinare la ricezione critica dell’opera di Maillart prima della sua morte? La fonte documentaria principale si trova nella «Schweizerische Bauzeitung», emanazione del Politecnico di Zurigo. Du vivant de Maillart, questa gazzetta settimanale funziona come trampolino per la diffusione internazionale delle sue opere, con ricche illustrazioni e commentari critici lucidi.3 Ma da dove proviene questa perspicuità? Sicuramente, per dirlo con il poeta francese Isidore Ducasse, da una bellezza editoriale che procede «da un incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire con un ombrello».4 Tale programma deve essere capito in senso letterale e realistico. Siamo all’inizio dell’ultimo terzo dell’Ottocento. Le letture ulteriori di Ducasse in chiave surrealistica o patafisica non entrano in questa storia. Il programma editoriale della «Bauzeitung» riflette l’output dei diversi dipartimenti del politecnico.

Non solo il Hochbau (combinazione dell’architettura e dell’ingegneria) e il Tiefbau (fondamenta + infrastrutture) ma i sistemi di trasporto e comunicazione, così come finalmente l’industria delle macchine richiede. Il punto forte della rivista si colloca nella traduzione grafica dei disegni da pubblicare. Con una precisione chirurgica gli operatori della «Bauzeitung» reinterpretano i documenti – piante, sezioni –, mandati dai protagonisti. Fotolitografia e tipografia entrano in combinazione. La rivista esiste in una sequenza di compartimenti, tra banalità e prodezza. I testi editoriali entrano in collisione iconografica con la presentazione degli strumenti per segare, forare, imbullonare, rivettare, la gamma dei materiali di costruzione, dinamite, sughero, asfalto, rame, eternit, stivali e pantaloni di gomma, la rubrica delle offerte e ricerche di lavoro, la pubblicità per architetti e ingegneri che si raccomandano come mercanti di biscotti. Per un lettore, membro della SIA nel 1909 niente di più normale. Per Ducasse che guardava verso il portale monumentale dell’École polytechnique, un incanto poetico. Per noi oggi, la tentazione di entrare nella spirale di una compilazione senza fine.

Chi sono i direttori della «Schweizerische Bauzeitung»? I due Jegher, padre e figlio, August (1843-1924) e Carl (1874-1945), entrambi ingegneri, seguono con attenzione e ammirazione l’opera di Maillart. Il settimanale funziona anche come luogo del souvenir per il GEP, l’Associazione dei laureati del Politecnico, in un ambito internazionale che copre l’Europa e le sue colonie.5 Da un lato l’esperienza cosmopolita dei protagonisti, allievi e professori; dall’altro, al centro del mondo, la celebrazione dell’ancoraggio zurighese. Con una dose precisa e modesta di sciovinismo: niente Tour Eiffel senza Koechlin, Maurice Koechlin, laureato al Politecnico, ideatore e calcolatore della Torre di Mille Piedi. In questa visione genetica, Maillart prolunga Koechlin, come Othmar Amann prolungherà Maillart. Per concludere, la figura di Maillart, inventore di tipologie costruttive audaci e paradossali fissa lo sguardo degli astuti (smart si direbbe oggi) osservatori August e Carl Jegher prima della prima guerra mondiale.

Ponti urbani e ponti di campagna

Partiamo dall’ipotesi dell’esistenza di una regola non scritta che contrappone il ponte urbano al ponte di campagna. Questa regola, conseguenza probabile dell’istituzione della SIA, si rafforza nella seconda metà dell’Ottocento e sembra in vigore a tutt’oggi. Il ponte urbano cerca di completare il teatro monumentale della città. La procedura del concorso riunisce architettura e génie civil. Il plusvalore della bellezza alimenta la lotta tra i partiti politici. Mentre i ponti di campagna sono nudi e costano meno.

Nell’orbita della sua carriera Maillart costruisce ponti urbani a Zurigo, Rheinfelden, Laufenburg, Berna. La Lorraine Brücke di Berna, vero blow-up monumentale della neoclassica Nydeggbrücke, presenta un’immagine massiccia, eseguita con un sistema di prefabbricazione e di montaggio brevettato dallo stesso ingegnere. La velocità e la coordinazione delle operazioni è documentata da un film spettacolare.6

Ogni opera incontrerà un giorno il suo proprio case study. Possiamo fermarci sulla realizzazione del ponte che scavalca la frontiera tra Svizzera e Germania a Rheinfelden. Il progetto risulta dall’organizzazione di un concorso nazionale. Il primo premio è attribuito a un gruppo di Losanna, conosciuto per le prodezze e bellezze del Pont Chauderon. Il secondo premio, presentato dall’impresa Maillart di Zurigo sarà costruito. La «Bauzeitung» sceglie di mettere in avanti il disegno di Maillart, la cui bellezza occupa le prime pagine della rivista. Il secondo premio non compare. Situazione frequente di imbroglio? Voglia di affermare il suo potere mediatico tramite l’ignoranza attiva della concorrenza? La compilazione della «Bauzeitung» non offre nessun indizio ulteriore. Comunque, tra riva sinistra, isola mediana, riva destra, il nuovo ponte occuperà nella memoria collettiva del luogo il posto di un ipotetico «ponte romano».
Invece i ponti di campagna risultano da un finanziamento che spinge a risparmiare. La loro apparizione nella geografia segue la configurazione (Gestaltung) del sistema costruttivo. Tra Zuoz e Vessy le fotografie pubblicate da Giedion, Bill, Billington, cristallizzano il corpus canonico dell’arco a tre articolazioni. Dall’acquedotto del Châtelard alla passerella ferroviaria di Liesberg, le strutture monolitiche sono il secondo serbatoio, quello della bellezza cristallina.

Vita avventurosa e aneddoti

Maillart agisce in qualità di progettista; inoltre dirige la sua impresa di costruzione; cerca di sfruttare i suoi brevetti; finalmente vende la sua perizia sotto forma di consulenza. Questa situazione policefala di viavai, oltre alla dispersione geografica delle sue opere tra centri, come Barcellona o Pietroburgo, e periferie, rende la sua opera quasi inafferrabile,7 tanto più che un progetto importante di Maillart può essere camuffato da un collega architetto, come per le fondamenta dell’Immeuble Clarté di Le Corbusier o del Quai Saint-Jean di Maurice Braillard,8 entrambi a Ginevra, città dove Maillart trova rifugio dopo la sua fuga dalla Russia sovietica nel 1919.9 L’ingegnere è accolto dal fratello Paul, pellicciaio. Potrà ricominciare la sua vita. La vita privata delle persone è una delle chiavi a tutto fare della storiografia. Se dovessimo entrare nella narrazione biografica in chiave people, si dovrebbe ricordare in primo luogo la signora Maria Ronconi di Bologna: la sposa di Maillart. Con il figlio e le due figlie, la famiglia lascia la Svizzera per faire fortune en Russie. Si sposteranno da Riga in Latvia a Char’kov in Ucraina, dove Maria Maillart-Ronconi muore nel 1919. Vedovo all’età di 44 anni, Robert subisce uno shock che lo trasformerà nella sua pelle: da padre diventa nonno. Scopriamo sulle fotografie di famiglia, la delicatezza ottocentesca e sottile del pince-nez; vediamo anche una minuscola pipa che sembra un giocattolo. Questi due attributi sembrano cancellare l’energia massiccia che l’ingegnere investe nella sua opera. Per finire questa narrazione aneddotica, vorrei aggiungere due chiacchierate. La prima riguarda la vecchia guardia corporativa dei disprezzatori zurighesi di Maillart. La seconda il bon usage della stazione ferroviaria di Zurigo.

Mi ricordo di avere pranzato nel 1970 con un ingegnere responsabile dell’attrezzatura idroelettrica della Città di Zurigo. Lui e la sua famiglia con moglie e tre bambini avevano vissuto un decennio a Tiefencastel nei Grigioni. Egli dirigeva la costruzione della diga a gravità di Marmorera. La sua opinione di Maillart era circospetta. Con un sorriso ironico parlava della sciagura di Tavanasa dove, nel 1927, il ponte stradale sul Reno, aperto nel 1905, era stato trascinato da una frana, come se l’ingegnere stesso fosse responsabile di una catastrofe che aveva sepolto 7 vittime. Questo giudizio beffardo rispecchiava la «memoria collettiva» dei popoli del Reno Anteriore in un clima di sospetto, anticipato da Carl Jegher e da Mirko Roš nelle loro relazioni dell’accidente, pubblicate in 1927 nella «Bauzeitung».10

Un altro aneddoto, invece amichevole e felice, emana dalla penna di Werner Jegher11, allievo di Maillart al Politecnico, e figlio di Carl Jegher, redattore della «Bauzeitung». Si tratta degli incontri regolari al primo piano del Restaurant du Nord di un quartetto che scambia notizie fresche, pettegolezzi, ma anche piante e progetti. Sono Carl Jegher, redattore della «Bauzeitung», Florian Prader, imprenditore grigionese, virtuoso nella costruzione delle impalcature di legno che permettono a Maillart di stabilire le casseforme della sua propria virtuosità. L’ultimo commensale, uno svizzero esotico nato in Slovenia, formato a Belgrado e Annovera, Mirko Roš, tuttavia garantito nella sua qualità di «eingebürgert (naturalizzato)» dalla polizia federale degli stranieri.12 Roš dirige l’EMPA (Laboratorio federale di prova dei materiali) a Dübendorf. Non solo ammira la creatività di Maillart ma propone un’interpretazione estetica del suo Stil, conseguenza dell’energia della sua Phantasie. La gettata nella cassaforma corrisponde alla voglia artistica (Kunstwollen) dello scultore che opera con la ghisa. Dopo la rimozione della forma di legno i ponti respirano nell’aria e nella luce.13 Siamo a meta strada tra il panteismo ottocentesco di Ruskin e il panteismo moderno di Louis Sullivan e F.L. Wright.

Questioni aperte

Alcuni ponti di Maillart sono entrati nella lista dei pellegrinaggi mondiali da compiere prima di morire. La complessità del loro restauro, già compiuto, deriva dalla metodologica del case study e dell’induzione di una strategia ad hoc. Gli esempi gettonati (Salginatobel, Aarburg, Vessy) sono stati consolidati o ricostruiti per mantenere la viabilità e cristallizzare l’immagine originale in modo canonico. Tuttavia non vorrei entrare in questo argomento, anche se l’autopsia che precede la ricostruzione offre elementi di prima mano sulle difficoltà iniziali del cantiere. Non vorrei neanche evocare le sorprese dell’incontro fortuito di un «pezzo di Maillart» che non somigliano al déjà vu di Maillart.

In conclusione, vediamo che l’inafferrabilità dell’opera di Robert Maillart è la conseguenza logica della valorizzazione dell’ingegnere artista da parte dei suoi ammiratori che hanno isolato la singolarità della sua figura. Bastano le sue molteplici competenze imprenditoriali a farne un demiurgo platonico? Come affrontare la dimensione collettiva e sociale del costruire? Come funziona e chi controlla la contabilità della casa? Quali lezioni Maillart ha potuto trarre del modello commerciale di François Hennebique? Nel caso di Hennebique, sappiamo che i suoi agenti sono abilitati a lavorare sfruttando i brevetti depositati dal (padre) padrone. Sarà Maillart l’unico agente che sfrutterà i suoi propri brevetti? Se, nella sua veste di ingénieur conseil, garantisce la solidità e la règle de l’art di un edificio da costruire tramite una seconda mano, come sarà calcolato il compenso? Come si organizza la collaborazione tra l’impresa che gestisce le casseforme e l’impresa che getta il béton? Una parte di queste domande noiose saranno descritte nel dettaglio dai regolamenti della SIA. Una ricerca fastidiosa nei meandri di questa noia potrebbe magari rilanciare la «storia della questione».

Note

  1. È vero che, fin dalla prima metà degli anni Venti, Sigfried Giedion segue da vicino la ricerca di Maillart. Però l’inclusione di Maillart nella dimensione cosmica dello spazio-tempo compare in Space, Time and Architecture: The Growth of a New Tradition, Harvard University Press, Cambridge (Ma) 1941.
  2. Mirko Roš, Erfahrungen an ausgeführten Eisenbeton-Bauwerken in der Schweiz, Zweite Ergänzung 1940, Beilage zum XXIX Jahresbericht des Vereins schweizerischer Zement-, Kalk-, und Gips-Fabrikanten, pp. 21-57.
  3. Uno dei primi testi illustrati e stilati da Mirko Roš, si trova nella «Schweizerische Bauzeitung», vol. 90, 14, 1927, pp. 172-177, sotto il titolo Neue schweizerische Eisenbeton-Brücken.
  4. Isidore Ducasse, Chants de Maldoror (1868), Chant VI, strophe 1, in Lautréamont, Isidore Ducasse dit le comte de (1846-1870), Les Chants de Maldoror, E. Wittmann, Paris-Bruxelles 1874.
  5. Hendrik Petrus Berlage, vecchio studente (1875-1878) del Politecnico presenta, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti, un lungo feuilleton illustrato, privilegiando l’opera l’architettura di F.L. Wright. Neuere amerikanische Architektur, Reiseeindrücke von H.P. Berlage, «Schweizerische Bauzeitung», vol. 50, 1912, pp. 148-150, 165-167, 178-179.
  6. Girato da Paul Schmid, questo documentario mostra il contrasto tra la meccanizzazione completa del cantiere e la forma classica del ponte. I 15 minuti di questo film muto illustrano le prodezze dell’impresa Losinger & Co. https://youtu.be/E3bFpJmMPes.
  7. Per avvicinare le «opere complete» di Maillart possiamo consultare il ricco catalogo di Clemente Rigassi, https://doi.org/10.3929/ethz-a-000482170, regalo della ETHzürich Research Collection.
  8. Nella Ginevra degli anni Venti e Trenta, Maillart partecipa alla costruzione di molti edifici conosciuti, Laiteries Réunies, Palais des Expositions, Asile de Loex, Fabrique Caran d’Ache. L’elenco completo si trova nel catalogo di Clemente Rigassi, menzionato sopra.
  9. La ricerca di Monica Bussmann regala on line il facsimile della pagina undicesima del passaporto di Robert Maillart. Si scopre che il consolato svizzero di Odessa registra il 25 gennaio 1919 il laisser-passer per Ginevra, gradito dall’autorità russa. L’entrata in Svizzera è registrata a Briga il 25 marzo 1919 con «Genf» come luogo di destinazione. Cfr. Monica Bussmann, Robert Maillart in Russland 1914-1918, ETHeritage https://blogs.ethz.ch/digital-collections/2017/12/15/robert-maillart-in-russland-1914-1918/.
  10. Vedi l’expertise di Mirko Roš, direttore dell’EMPA (Laboratorio federale di prova dei materiali), Zur Zerstörung der Rheinbrücke bei Tavanasa, «Schweizerische Bauzeitung», vol. 90, 18, 1927, pp. 232-236.
  11. Werner Jegher, † Mirko Roš, «Schweizerische Bauzeitung», vol. 80, 45, 1962 p. 759.
  12. La richiesta di cittadinanza svizzera del fisico Wolfgang Pauli, professore al Politecnico, sarà respinta, in considerazione della sua origine ebraica viennese che lo rende de facto «inassimilabile». Vedi https://blogs.ethz.ch/digital-collections/en/2021/02/05/nicht-assimilierbar-die-erfolglose-einbuergerung-wolfgang-paulis/.
  13. Mirko Roš, † Robert Maillart zum Gedächtniss, «Schweizerische Bauzeitung», vol. 115-116, 19, 1940, pp. 224-226. La nozione fantasmatica di fantasia sarà ripresa da S. Giedion, Konstruktion und Phantasie, Zum Tode von R.M., «Schweizer Wochen-Zeitung», 26.04.1940.

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