«Di­na­mismo e fles­si­bi­lità»

All’istituto MonViso Tobias Luthe e il suo team sperimentano il «design rigenerativo sistemico» che crea sistemi circolari e rivitalizzanti, sul modello della natura, e interconnessi dal punto di vista sociale, economico ed ecologico.

Date de publication
14-06-2021

TEC21: Signor Luthe, come definisce l’economia circolare in quanto parte del design sistemico?

Tobias Luthe: Generalmente i sistemi di economia circolare sono interconnessi così da non generare rifiuti. Proprio come in natura, gli scarti di un processo sono la base del successivo. Ciò però non basta. Deve essere creato anche valore aggiunto. Allo stato attuale della ricerca, l’economia circolare ha diverse implicazioni: oltre al materiale, occorre mantenere nel circolo il CO2. La canapa, per esempio, immagazzina molto più CO2 al m3 rispetto al legno, poiché cresce più in fretta. Un altro caso è l’acqua: qui all’instituto, principalmente si utilizza quella piovana; le acque grigie non confluiscono negli impianti di depurazione, ma vengono riciclate per i WC e, alla fine, trattate biologicamente e restituite all’ecosistema. Un’altra implicazione è la circolarità economica, ma la più interessante secondo me è quella sociale.
 

Perché è così interessante?

Nel turismo fino ad oggi la circolarità non è stata molto considerata. Ci si limita a valutare i rifiuti nei settori alberghieri e della ristorazione. Il turismo però è soprattutto un’industria di servizi, ed è qui che entra in gioco la circolarità sociale. Gli ospiti utilizzano la catena di servizi turistici dall’arrivo, al ristorante, all’hotel fino agli impianti di risalita – questo è lo standard. Se penso in modo circolare, progetto nuove opportunità come usi sinergici molteplici. Un esempio potrebbe essere un falegname che costruisce un letto di pino per un albergo, e con ciò il suo lavoro è concluso. Se però si considera che gli ospiti sentiranno l’odore del pino, si lascerà nella stanza un messaggio: «Il profumo del pino calma le vie respiratorie. Offriamo una gita nel bosco di pini con il guardaboschi e un corso con il falegname per creare un tagliere in legno di pino». Subito avremo collegato il turismo virtuoso con altri settori economici, creando circolarità sociale.
 

Lei sta sperimentando il design sistemico e l’economia circolare in un villaggio montano. Come si possono sfruttare tali esperienze per le grandi città?

Quello che facciamo nel campus e con il comune di Ostana in Valle Po ha il vantaggio di ridurre la complessità per sperimentarla con maggiore efficacia. È sensato farlo in un ambiente piccolo perché gli influssi sono gli stessi delle città, ma vi è una riduzione di scala attraverso i confini del sistema. Questo consente di applicare la procedura ad ambienti più ampi e complessi.
 

Cosa intende per riduzione di scala?

Nel design sistemico lavoriamo con otto scale: chimica verde, materie prime, prodotti, costruzioni, comunità come città, servizi e infine paesaggi e bioregioni. Queste ultime sono interconnesse su scala transnazionale oltre i confini nazionali, irrilevanti dal punto di vista sistemico. Tali bioregioni sono collegate da un fiume, una costa, una catena montuosa, o culturalmente da una lingua. Per l’uso delle risorse e dal punto di vista culturale sono centrali. Noi consideriamo le scale per ogni decisione. Se quando si costruisce una casa, si considerano solo le prestazioni energetiche, si dimentica l’alta impronta grigia di acciaio e vetro. Quindi si deve pensare da dove vengono i materiali e sviluppare la catena di approvvigionamento principalmente a livello regionale, considerando anche le reti globali. Oppure, con gli edifici in legno, occorre considerare anche la scala della chimica verde. Il design sistemico offre l’opportunità di capire dove ci troviamo dal punto di vista decisionale e le relative implicazioni.
 

Concretamente: il pesante triplo vetro della casa passiva «Doppio» ha dovuto essere trasportato fin qui. Ciò come è visto nel sistema?

Una finestra passiva con un triplo vetro rivestito ha un’alta intensità energetica. Ci deve essere un punto di pareggio nella produzione, che potrà essere risparmiato con la migliore prestazione energetica della casa: ecco l’eco-bilancio. Questo dipende da quanto viene traspor­tato, a che distanza, quanto è verde l’elettricità ecc. La finestra è fabbricata in Italia, il rivestimento in Germania e il legno di castagno per le cornici è locale. Questo per sostituire PVC o alluminio, per ridurre l’impronta grigia, ma anche per sviluppare cicli economici regionali. Quindi è importante considerare gli impatti sociali come effetti educativi. Vogliamo sviluppare sistemi più resilienti e rafforzare la regione. All’inaugurazione del «Doppio» a gennaio 2019, a –10 °C, la gente entrando in casa è rimasta stupita: con il design passivo avevamo 22 °C senza riscaldamento. Le tradizionali case di pietra qui sono fresche e umide tutto l’anno e necessitano di un riscaldamento intensivo. Noi investiamo di più, non abbiamo costi di riscaldamento e, a lungo termine, abbiamo un equilibrio climatico migliore.
 

Vi sono altri esempi di come ha avvicinato l’Istituto MonViso alla cultura locale?

Sì, la lastra in calcestruzzo ottimiz­zata per il CO2. Il cemento Grenoble, a base di calce idraulica, si indurisce in
15-20 minuti. Quindi non si può ordinare una betoniera in grado di scaricarne qualche tonnellata, ma servono nuove soluzioni. L’impresa edile locale Valle dell’Eco con il suo capo Enrico Crespo ha riflettuto con noi su come miscelare questo calcestruzzo e portarlo a destinazione. Enrico ha adattato una betoniera e abbiamo aggiunto al cemento dell’acido citrico; ciò ha ritardato l’indurimento a 45 minuti. Una novità per tutti. Un altro esempio è stato un «Design Talk» pubblico sui sistemi rigenerativi legati alla canapa con l’esperto Werner Schönthaler. Una giornata con la gente di Ostana, che diffonde questa conoscenza nel suo ambiente. Vi sono anche richieste concrete, ad esempio per le celle fotovoltaiche, che abbiamo sviluppato per il tetto con l’azienda svizzera Sunstyle. Sono simili alle lastre di pietra dei tetti tradizionali. Tali Tools for Change sono applicabili anche ad altri sistemi come «Future Cities».
 

Perché collabora con istituzioni come le università?

I sistemi diventano sempre più complessi e mutano sempre più in fretta. Se vogliamo risolvere i problemi correlati, dobbiamo affrontarli in modo sistematico. Nessuna singola disciplina può farlo; è un processo e sono richiesti dinamismo e flessibilità. Le scuole universitarie, invece, sono organizzate in dipartimenti e istituti. Spesso ci chiedono quale sia la nostra priorità: il turismo o l’architettura? La risposta è nell’inclusione dei sistemi e negli approfondimenti disciplinari. Se non abbiamo sufficienti competenze, creiamo partnership. Durante la mia carriera, ho capito quanto siano importanti queste componenti del mondo reale per le scuole universitarie. Per preparare i futuri leader, infatti, non basta partecipare a un progetto per due anni, occorrono modelli a lungo termine. I nostri partner trovano nel mondo reale tra design, ricerca e trasformazione quello che da soli avrebbero difficoltà a concretizzare. Collaboriamo con il Politecnico e il Collegio Einaudi di Torino. Con il Politecnico di Zurigo organizziamo summer schools. Partecipiamo anche a un progetto di ricerca del Politecnico di Zurigo con Innosuisse sui materiali da costruzione in compositi di canapa. Inoltre, stiamo collaborando con la Scuola di Architettura e Design di Oslo per applicare il nostro progetto al contesto norvegese.

Su commissione dell'Ufficio federale dell'ambiente, i seguenti numeri speciali sull'economia circolare sono stati pubblicati da espazium – Edizioni per la cultura della costruzione:

 

Nr. 1/2021: «Architettura circolare: Edifici, concetti e strategie per il futuro»

Gli articoli del ciclo «Economia circolare» sono raccolti in questo e-dossier.

Étiquettes