De­on­to­lo­gia: quo va­dis?

Deontologia, la scienza del dovere. Nessuno può negarlo: come cittadini abbiamo tutti dei diritti, ma anche dei doveri, verso la società civile, per farla crescere, migliorarla in termini di equità, per garantire opportunità a tutti, per sostenere i più deboli. Il dovere insomma guida il cittadino consapevole e, se recepito da buona parte della cittadinanza, una società migliore è il risultato ineluttabile.

Publikationsdatum
06-06-2016
Revision
06-06-2016

In passato una forte spinta evolutiva della società si è manifestata verso la fine del Medio Evo con la nascita delle corporazioni, entità tese a raggruppare professioni non solo per tutelarne gli interessi, ma anche per uniformare metodi produttivi, per istruire le nuove leve e garantire continuità. La società – parliamo di quella occidentale – si è così evoluta verso nuovi orizzonti, con la creazione di opportunità per sempre più individui che si affrancavano dalla servitù. I sistemi di governo e di istruzione sono quindi progrediti verso il riconoscimento del singolo quale componente essenziale della società. Le professioni si sono organizzate sempre più e quelle che esplicavano gli effetti più incisivi sul vivere collettivo si sono dotate di un codice etico per salvaguardare gli interessi, in senso lato, della società nella quale operavano. La deontologia professionale in quanto tale nasce nella prima metà del XIX secolo e a questa si appellavano soprattutto medici e avvocati, professioni cosiddette liberali, seguiti più tardi da ingegneri e architetti, i cui prodotti sono sempre stati essenziali nell’accrescere la qualità di vita della società.

Poi è arrivata la globalizzazione che, associata al neoliberismo in un mercato sempre più invadente, ha portato deregolamentazione, abolizione delle strutture collettive, mescolanza tra società e culture di ogni specie e livello, soppressione delle frontiere, delocalizzazione. All’individuo questa «apertura» è stata propinata dai nuovi regnanti, spalleggiati dai media, come grande opportunità dalla quale il singolo avrebbe tratto ampi benefici, con la caduta dei prezzi, la possibilità di trovare lavoro ovunque, soprattutto altrove, se veniva a mancare in casa propria. Alle nostre latitudini i governi si sono impegnati con tale solerzia da rendere il processo irreversibile, anche dopo che ci si è resi conto degli effetti negativi che tale processo ha comportato. Effetti che hanno dimostrato come le opportunità siano state spesso colte dai forti e dai furbi. La disoccupazione è progredita, e chi l’ha subita non ha certo beneficiato granché della caduta dei prezzi. Di fatto, ciò che un tempo l’individuo sentiva come senso del dovere, oggi si è tramutato in egoismo, un atteggiamento che pervade l’intera società. Oggi i codici deontologici ormai sopravvivono a stento nelle professioni liberali in cui hanno avuto origine, ma sono sempre più difficili da rispettare di fronte alla tendenza verso l’individualismo. Innegabilmente, fra le professioni liberali, quelle di ingegnere e architetto hanno maggiormente sofferto rispetto a quelle di medico e di avvocato. Il perché è semplice da spiegare: queste ultime professioni sono regolamentate e non vanno soggette alla concorrenza, come per l’ingegnere e l’architetto. In Ticino esiste una regolamentazione di queste professioni, ma essendo l’unico cantone a possederla, gli effetti che ne derivano nel calmierare la concorrenza sono nulli. Viste dunque le condizioni quadro in cui operano queste professioni, è un miracolo che in Ticino si possa ancora parlare di etica professionale ed esista un codice deontologico per le professioni di ingegnere e architetto.

A questo punto occorrerebbe rifarsi al significato della deontologia e agli effetti che dovrebbe generare sulla crescita della società: il dovere è un concetto che non può essere fatto proprio o imposto per legge solo a una categoria di persone e in un ambito nazionale ristretto. Il dovere è una nozione assoluta, che coinvolge tutti gli attori della società. Per essere più specifici, limitando il discorso alle nostre categorie professionali, non solo chi offre e svolge prestazioni dovrebbe attenersi a un codice etico, rispettando il cliente, il prossimo, la società e l’ambiente, ma anche chi le richiede dovrebbe fare altrettanto, rispettando la dignità del professionista e accordandogli la giusta mercede per le prestazioni che ottiene. Oggi si assiste invece a un degrado tale nella richiesta di prestazioni da parte delle committenze da poter dire senza timore di essere smentiti che nessun committente si è mai posto il problema di sapere se il proprio agire nei confronti dei professionisti del nostro ramo sia eticamente corretto. Accettare offerte sottocosto, se già è un atto deontologicamente censurabile per colui che le inoltra, altrettanto lo è per chi le avalla. Così facendo una committenza contribuisce al degrado della società, alla caduta di dignità delle professioni, al calo del ricambio con le nuove leve, per non parlare poi della qualità delle prestazioni. Tanto di cappello dunque a coloro che, in questa giungla economica che con tanta convinzione è stata coltivata da politici, funzionari e media, riesce ancora ad applicare unilateralmente un codice deontologico. Chi lo fa, oggi rischia di perderci, perché la selva di leggi che permettono comportamenti scorretti è ormai fuori controllo e favorisce chi non si cura della deontologia, contribuendo a quella che qualcuno ha già chiamato proletarizzazione delle nostre professioni. La conclusione è una sola: se vogliamo salvaguardare le professioni di ingegnere e architetto, rivalutiamo quel piccolo miracolo che è il codice deontologico di cui si è dotata l’otia, uno strumento che fa onore a chi lo rispetta, ma che avrà tanto più valore ed esplicherà tanti più effetti se sarà applicato anche dalle committenze.

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