Un pro­get­to di vi­ta

«L'atrio della casa greca e italica era il luogo degli dei, e l'abitare attorno l'atto di custodirli e celebrarli. Poi gli dei se ne sono andati, ma l'atrio, la corte, si sono affermati: permanenze tipologiche, elementi generatori, di una delle forme più valide di aggregazione abitativa». – Flora Ruchat-Roncati, 1993

Publikationsdatum
08-08-2022

«Ricordo il nostro studio come un laboratorio, in senso etimologico, dove tutti convivevano in una sorta di grande famiglia, attriti e tensioni comprese [...]. Vivevamo così, approfittando di tutti i momenti e lavorando con la stessa ostinazione con la quale i nostri figli giocavano, senza sminuire per questo l'importanza degli obiettivi e delle scadenze che via a via si ponevano, senza sottrarci a lunghe quanto confuse discussioni, dove i temi progettuali si intrecciavano inevitabilmente con la politica, con le finanze, sempre al limite del tracollo». Così ricorda Flora Ruchat-Roncati il periodo in cui condivideva lo studio di Bedano con Aurelio Galfetti e Ivo Trümpy. È la fase che include, tra l'altro, sia la ristrutturazione della casa a corte nel nucleo di Riva San Vitale, che la progettazione della seconda tappa delle vicine scuole, considerate dalla critica il primo banco di prova di un produttivo sodalizio che si chiude dopo un decennio con l'ultimazione del Bagno di Bellinzona, e che precede l'apertura del suo studio a Riva nell'autunno del 1971.

Certamente ci saranno poi anche altri luoghi d'affezione – Roma, Zurigo, la Carnia – ma Riva rappresenta un baricentro costante della sua vita personale e professionale oltre che una pagina significativa della storia dell'architettura ticinese contemporanea. È questo il luogo in cui lei sarà sempre a casa; quindi, il luogo scelto da Archi per ricordarla a dieci anni della sua scomparsa. Nelle prossime pagine si succedono voci accreditate, ragionamenti pertinenti, commenti affettuosi, ma anche alcune scoperte di una ricerca aperta che di Flora indaga il versatile itinerario intellettuale, limitando con precisione il perimetro di approfondimento ai suoi luoghi quotidiani (magnificamente mostrati dal servizio fotografico di Marco Introini). Serena Maffioletti affronta un nuovo capitolo di studio esaminando la documentazione d'archivio del Piano di Protezione del Nucleo (PPN), che si sviluppa tra il 1986 e il 1995. Da questo impegno urbanistico – osserva l'autrice –­ «[...] traspare la quotidiana frequentazione del luogo, il costante riflettere sulla piccola città, il desiderio di trovare il filo di domani e di intrecciarlo alle complesse esperienze in lei già stratificate». E, soprattutto, si delinea una «vocazione di trasformazione» che ha come obiettivo la rivitalizzazione del borgo.

Con autorevole sensibilità Annalisa Viati Navone si insinua nelle pieghe della genealogia dello spazio domestico della sua casa-atelier mentre Jacques Gubler dispiega una colta e rigorosa tassonomia della sua biblioteca. Ma saranno le testimonianze di Ivo Trümpy e di Anna Ruchat a introdurre il lettore nell'atmosfera suggestiva della Corte degli architetti: cuore collettivo di un microcosmo intriso di cultura e socialità, dove l'impegno civile affiora come elemento inerente al proprio mestiere, quasi come un modo di essere al mondo. Quanto questa corte significasse per lei emerge chiaramente nel bilancio finale: «Riva è la cosa migliore che ho fatto», confessa a sua figlia Anna. Le vicissitudini progettuali del complesso scolastico di Riva (1961-1974) – recentemente restaurato dallo Studio Bardelli – sono analizzate nel saggio di Nicola Navone: risultato di un mandato diretto sigillato dall'attivo ruolo dell'ingegnere Giuseppe Roncati, l'insieme è concepito come un tassello urbano in cui il programma funzionale e didattico si esprime tramite la rielaborazione del linguaggio di Le Corbusier, valorizzando gli spazi aperti come veri e propri spazi pubblici.

Stefano Zerbi e Alessandro Zara esplorano infine – grazie al contributo di chi questa esperienza l'ha vissuta all'interno dell'ufficio Galfetti-Hunziker, responsabile della realizzazione – alcuni passaggi inediti dell'iter costruttivo dello Stöckli, collocato al confine del preesistente muro di cinta che separa il giardino della corte dall'area del battistero paleocristiano. Sono le sue stesse parole – frutto di una consapevole riflessione sul ruolo della donna nella disciplina – a offrire la conclusione di questa breve rassegna dei contenuti del numero: «A distanza vedo il mio percorso professionale difficilmente scindibile dalla complessa e intricata dimensione esistenziale come esperienza di vita che tutto comprende – lavoro, famiglia, affetti, dolori – non tanto programmata sul filo di obiettivi precisi di volta in volta individuati, raggiunti o mancati, bensì come un intreccio di eventi provocati in gran misura dal caso. Tutto o quasi tutto è successo per caso. Avendo poco da spartire con il destino, ancora meno con la politica e l'ideologia, il caso si trasforma in opportunità, curiosità, propensione ad accettare di intraprendere nuove avventure, sfide, scommesse con me stessa. In questo senso il progettare si abbina alla volontà di misurarsi con le cose, con i processi, con le proprie forze e limiti, sempre di più all'interno di dialoghi interdisciplinari, condizione che impone modestia, determinazione e conoscenza».1 Una lucida narrazione autobiografica in cui molte architette potranno forse identificarsi.

Nota

 

1 Per le citazioni di Flora Ruchat-Roncati si veda: N. Navone, B. Reichlin (a cura di), Il Bagno di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati, Ivo Trümpy, AAM-USI/Archivio del Moderno, Mendrisio 2010, p. 210; C. Baglione, M. Daguerre (a cura di), Tavola rotonda, «Casabella», 2005, 732, p.13.