Pro­get­ta­re l’ac­qua

Intervista a Gaetano De Francesco

Dopo il seminario «Progettare l’acqua. Gestione, modellizzazione, sistemazioni e rinaturazioni» – organizzato dalla SIA a Lugano il 3 febbraio scorso e di cui Archi è stato media partner –, espazium.ch fa il punto con l’architetto Gaetano De Francesco che si occupa di temi di progettazione ambientale, e in particolare di fiumi, presso l’Università Sapienza di Roma.

Publikationsdatum
09-02-2022

FA: «Progettare l’acqua» è il tema del seminario della SIA, ma anche del nuovo numero della rivista ARCHI, curato da te e da Valeria Gozzi. Partiamo da qui, visto che sull’acqua hai dedicato studi, ricerche e anche il libro Architettura dell’acqua. L’emergenza idrica come occasione progettuale nella città contemporanea.

GDF: Non è un tema contemporaneo quello dell’acqua: fin dall’antichità ci si confronta con esso. Quasi tutte le città sorgono lungo un fiume o vicino all’acqua. Ciò che sta cambiando oggi è l’approccio metodologico, soprattutto rispetto al progetto, che è quel che ci interessa ora.

Da architetto, ciò che mi affascina in particolare è capire come gli interventi di mitigazione del rischio idrico possano creare al contempo nuove spazialità nei nostri territori. Sono in atto, soprattutto a livello internazionale, sperimentazioni molto interessanti in questa direzione. Questi progetti rappresentano spesso un’occasione di riqualificazione urbana delle città, non soltanto in materia ambientale e idraulica: ma possono innescare una rigenerazione delle maglie delle nostre città, nuovo valore immobiliare per le aree in cui si interviene e per quelle limitrofe. È un sistema che, a catena, può offrire varie possibilità.

FA: Un altro punto emerso dal seminario SIA, è quello della mutevolezza e del tempo rispetto alla fase di progettazione.

GDF: Questi progetti si sviluppano e si confrontano con fasi temporali molto lunghe in cui non si hanno sempre dati e proiezioni certe.

Per esempio, il lavoro della Plage des Eaux-Vives a Ginevra (dell’Atelier Descombes Rampini) partiva da ipotesi modificate poi durante le varie fasi di progettazione e di esecuzione proprio per questo motivo. L’approccio progettuale non può, dunque, non essere un approccio aperto a molteplici possibilità, ai cambiamenti del tempo, e il progetto che si realizza non può che essere un progetto adattivo, perché la materia stessa con cui si ci confronta – l’acqua – è un elemento in continuo divenire. Si progetta con un elemento non statico, dinamico, e questo è un aspetto centrale nel progetto.

FA: Per «progettare l’acqua» serve un approccio interdisciplinare, basato sull’integrazione di competenze molto diverse: come sono organizzati questi lavori?

GDF: Si tratta di progetti interdisciplinari in quanto sono necessarie diverse competenze: ingegneria, architettura, biologia. Sono progetti che si sviluppano e partono, quasi sempre, da crisi: il cambiamento climatico, l’emergenza idrica, l’inquinamento dell’acqua e del suolo. Con l’incremento delle precipitazioni di forte intensità e breve durata, e a causa dei suoli impermeabili, le acque si riversano sempre più nei fiumi, i quali esondano. Nel passato avremmo probabilmente arginato o deviato questi fiumi. Ma oggi vi è per fortuna un cambio di paradigma. Si è capito innanzitutto che le aree paludose lungo le sponde sono di per sé fondamentali per l’assorbimento dell’acqua stessa e in generale offrono molteplici servizi ecosistemici. Dovendo intervenire sui fiumi si tende a potenziare questi ambienti naturali, a crearne di nuovi: è, per così dire, una «natura 2.0».

FA: Cosa intendi con progetto ibrido?

GDF: Mi riferisco a progetti che risolvono più problemi, che coinvolgono team interdisciplinari di ingegneri, architetti, paesaggisti, agronomi e che, affrontando molteplici aspetti, ibridano anche linguaggi e forme, che si arricchiscono di significati. Più comunemente si parla di «progetto integrato».

Spesso si pensa che i progetti lungo i fiumi, lungo le coste, siano essenzialmente dei parchi. A me piace definirli delle “infrastrutture multifunzionali” in grado di affrontare molteplici aspetti del territorio: un progetto può nascere da un problema (il rischio inondazioni, per esempio) e contribuire a risolverne un altro, come la carenza di spazi pubblici per i cittadini; può contenere volumetrie (edifici, padiglioni, ristoranti, case); può ospitare piste ciclabili, aree verdi, zone di fitodepurazione. Per questo sono dei progetti multitasking, che reificano l’era contemporanea, che è multitasking per eccellenza.

FA: Qual è il rapporto tra progetto e collettività? Puoi fare qualche esempio?

GDF: Questi progetti dell’acqua a volte nascono, fin da subito, come progetti partecipati, che conducono a risultati solitamente positivi, condivisi dalla comunità.Altre volte nascono da una precisa volontà politica delle amministrazioni, e se non condivisa dalla comunità, possono riscontrare opinioni contrastanti da parte dei cittadini.

Io credo faccia parte del processo progettuale confrontarsi con la comunità: più questa è coinvolta, più il progetto funzionerà, oltre al fatto che potrà avere anche degli esiti magari inaspettati, non considerati dal progettista.

Rendere partecipe la cittadinanza, significa inoltre far in modo che essa si appropri dello spazio, lo consideri suo.

Vorrei citare l’esempio della città di Medellìn, in Colombia: qui è stato promosso un progetto partecipato per riqualificare dei vecchi serbatoi inaccessibili alla comunità. Nei diversi quartieri, ogni comunità ha ripensato il suo spazio, lo ha fatto suo, e oggi si riconosce in esso e lo utilizza, lo custodisce.

FA: Inizialmente hai parlato di nuove spazialità. Penso al lungofiume di Lione, uno spazio di qualità che tutta la città utilizza. O al progetto Plage Eaux-Vives, a Ginevra, presentato al seminario dall’ingegnere Yves Bach.

GDF: Il ruolo dell’architetto è immaginare e progettare l’ambiente futuro. Occorre fare una riflessione su questi paesaggi d’acqua, per progettarli al meglio: oltre a risolvere punti critici, possiamo dar vita a nuovi spazi che qualificano le nostre citta, sperimentano nuovi modi di vita e di fruire il nostro paesaggio, che riqualificano le nostre città.

Il progetto della spiaggia di Eaux-Vives in cui gli ingegneri hanno lavorato con Descombes Rampini, un’eccellenza svizzera per l’architettura e il paesaggio, è una chiara dimostrazione. La Svizzera vanta una lunga tradizione nell’integrazione di architettura e ambiente e questo progetto, complesso, è il frutto di competenze e tecnologie di diversa natura, ma soprattutto di una visione di un pezzo di città.

Gaetano De Francesco (1987) è Dottore di Ricerca in Architettura Teorie e Progetto presso l'Università Sapienza di Roma, e nel 2018 fonda DFR Architecture. Ha scritto il volume Architettura dell’acqua. L’emergenza idrica come occasione progettuale nella città contemporanea (Quodlibet, 2020).