Note sul con­corso per la città della mu­sica

Date de publication
21-02-2024

Come osservato da Nicola Navone1nella descrizione del progetto per i nuovi studi della Radio della Svizzera italiana di Lugano Besso, il cui mandato venne conferito nel 1951 ad Alberto Camenzind, Augusto Jäggli e Rino Tami, i tre professionisti: «riuniti per ragioni politiche piuttosto che per propria volontà (…) faticarono, all’inizio, a trovare un’intesa, fino al momento in cui l’impianto nel frattempo consolidatosi venne accantonato in favore di uno schema planimetrico fondato sul principio della «cellula esagonale» (…). Una scelta coraggiosa, ascrivibile a Rino Tami e innescata dalle critiche mosse al progetto del 31 luglio 1953 e alla successiva rielaborazione del 2 luglio 1954 dai servizi tecnici della RSI e dall’ingegnere acustico Willi Furrer». Questo l’antefatto che precedette la concezione dell’articolato complesso architettonico che, ancora oggi, costituisce una delle più significative opere moderne in Ticino. Non sappiamo se la scelta del tema geometrico a matrice esagonale possa spiegarsi con l’esigenza di neutralizzare le diverse sensibilità dei componenti il gruppo di progettazione, ma non si trattò comunque di un esperimento isolato, perché all’epoca furono numerosi gli edifici nati con quella logica e realizzati mediante l’impiego del mattone come materiale caratterizzante. Un quasi-genere architettonico a sé stante, perché intrinsecamente lontano dai canoni dell’architettura classica. Tipico prodotto del positivismo scientifico di un’epoca contraddistinta da ottimismo e fiducia nel progresso.

A me piace pensare che l’attrazione estetica esercitata dall’architettura di Camenzind, Jäggli e Tami sugli iscritti al concorso abbia alimentato il loro desiderio di confrontarsi con un edificio iconico, dalla forte personalità. Un confronto che non poteva che sfociare in due atteggiamenti opposti: uno di mimesi e l’altro di contrasto. Osservando la pianta del progetto originale si resta colpiti dalla sua estrema coerenza formale, perché ciascuna componente è rigorosamente orientata, mentre dal vero la percezione che si ha dell’edificio è differente. Gli studi della RSI nacquero come un sistema aperto e l’esito felice di questo concorso dimostra quanto accogliente (ai cambiamenti, all’integrazione di nuove funzioni, all’espansione) questa impostazione dimostri ancora di essere. Il commento che mi è stato sollecitato non intende comunque sostituirsi né sovrapporsi al lavoro della giuria, ma rappresenta piuttosto l’occasione per ribadire la validità del concorso d’architettura anche come strumento di analisi e di comprensione del patrimonio. I sei progetti premiati dimostrano, mi pare, la legittimità di entrambe le opzioni, sebbene alla prova dei fatti la prima risulti quella più esplorata. In architettura il copyright dell’idea di continuità appartiene senza dubbio a Ernesto Nathan Rogers, membro del gruppo BBPR, docente universitario e direttore (dal 1953 al 1965) della rivista «casabella» da lui ribattezzata «casabella-continuità». Un architetto e un intellettuale che, avendo partecipato in prima persona al movimento del razionalismo italiano, nel secondo Dopoguerra scelse d’impegnarsi affinché quelle che lui definì le «preesistenze ambientali» diventassero uno dei punti fondanti dell’architettura moderna, arricchendola di senso e vincolandola ai luoghi. Un’idea di continuità che non è altrettanto evidente nell’impianto di Camenzind, Jäggli e Tami ma che, viceversa, ha evidentemente pesato sulle decisioni di molti dei partecipanti al concorso.

Se letto da questo punto di vista il progetto vincitore di Architecture Club (studio fondato a Basilea da Karolina Slawecka e Pawel Krzeminski) stabilisce con gli edifici esistenti una simbiosi perfetta. Al punto che, a prima vista, si fatica a distinguere i corpi aggiunti da quelli esistenti. Una strategia opposta da quella adottata dei secondi (Francisco Aires Mateus Arquitectos con Lopes Brenna) e dai terzi classificati (Christ & Gantenbein). Entrambi proponenti volumi e materiali in netta discontinuità con il vocabolario formale dei fabbricati storici. Mentre la scelta di armonizzarsi con l’esistente è condivisa invece dai quarti (Gmp International con Studio di architettura e pianificazione Guscetti), dai quinti (Fres Architectes Lab) e dai sesti classificati (Carlana Mezzalira Pentimalli). Nell’insieme sei progetti che esprimono competenze di alto livello, com’è dimostrato dalla raffinatezza delle proposte tecniche, oltre che architettoniche. Un ulteriore motivo d’interesse per chi osservasse l’esito del concorso è rappresentato dalla provenienza dei progettisti, che è più eterogenea di quanto non dicano i rispettivi domicili professionali e ben riflette il melting pot della situazione presente. Ricostruire la genealogia degli architetti dal punto di vista delle origini, delle frequentazioni e dei riferimenti culturali aiuterebbe infatti a comprendere in che direzione si è evoluta l’architettura elvetica contemporanea, perché non esiste un altro luogo in Europa altrettanto inclusivo per chi pratichi la nostra disciplina.

Che questa condizione di continuo scambio favorisca la produzione di architetture di qualità è dimostrato dai fatti, ma che questi edifici saranno capaci di radicarsi nei luoghi, divenendone parte, lo si vedrà soltanto col trascorrere del tempo. E questo, per dirlo con le parole di Rogers2, perché: «Due, almeno, sono i passi che l’architettura contemporanea può fare in coerenza con le proprie premesse teoriche; l’uno riguarda la sua affermazione più precisa dei suoi strumenti pratici nell’ordine di un perfezionamento delle tecniche atte a fissare nella realtà fisica il suo linguaggio figurativo. L’altro riguarda il maggiore approfondimento di questo linguaggio nel senso che esso sia sempre più comprensivo dei valori culturali nei quali le nuove forme s’inseriscono storicamente». Il mio personale auspicio è quello che la Città della Musica, così come l’ha immaginata Architecture Club, possegga le qualità evocate da Rogers e arricchisca la città di Lugano di un luogo ulteriormente speciale.

Note

 

1 Cfr. N. Navone, Laristocratico empirismo di Rino Tami. Lo Studio della Radio della Svizzera Italiana di Camenzind, Jäggli e Tami, in K. Frampton e R. Bergossi (a cura di), Rino Tami. Opera completa, Mendrisio 2008, pp. 115-135 e N. Navone, Nuovi studi della Radio e della Televisione della Svizzera Italiana, ivi, pp. 294-301.

 

2 Cfr. Ernesto Nathan Rogers, Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei, in «Casabella», n. 204, febbraio-marzo 1955.

Tavole dei progetti e rapporto della giuria su competitions.espazium.ch

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