Mes­tiere e mi­li­tanza

L’edificio OCST a Lugano, detto Casa del Popolo, 1970-1971

Risultato di lotte sociali che segnano il passaggio dall’Ottocento al secolo breve, le Case del Popolo costituirono centri in cui le organizzazioni operaie svilupparono strategie di tutela e mutuo soccorso per i propri soci.

Date de publication
22-12-2014
Revision
08-10-2015

Alla base di queste istituzioni promosse dai socialisti e socialdemocratici, dai sindacati e dall’eterogeneo ventaglio delle società operaie della Svizzera del primo Novecento, vi era la volontà di trovare luoghi d’incontro e discussione, sedi per la realizzazione dei propri congressi e iniziative, perseguendo inoltre scopi culturali e ricreativi. Un tema che non poteva essere più congeniale a una personalità come quella di Tita Carloni agli inizi degli anni Settanta, quando l’architetto ticinese progetta e costruisce a Lugano il palazzo che doveva ospitare l’Organizzazione Cristiano-Sociale Ticinese (OCST).

Pietro Martinelli – con lo sguardo fraterno di chi ha condiviso tante battaglie – ricorda la sua militanza politica e il suo ruolo di coscienza critica di un Cantone che lui stesso delineò dalle pagine di Pathopolis, denunciando l’inarrestabile devastazione del suo territorio. Jacques Gubler – con la lucidità e l’ironia che caratterizza i suoi scritti – riprende l’aforisma di Joseph Beuys: «Magari l’artista morto è migliore dell’artista vivo», segnalando come la produzione architettonica di Carloni sia inscindibile da un engagement che ha contraddistinto la sua attività nei più diversi ambiti d’azione (professore alla scuola di architettura dell’Università di Ginevra nel 1968-1991, membro della Commissione cantonale della protezione dei monumenti nel 1960-1967 e della Commissione federale delle belle arti nel 1988-1989, deputato del Partito socialista autonomo al Gran Consiglio ticinese nel 1971-1978, solo per ricordare la molteplicità di incarichi assunti nella sua ricchissima traiettoria). Paolo Fumagalli si occupa invece della dimensione squisitamente disciplinare di un professionista che ha sempre concepito il mestiere come impegno civile, contestualizzando la sua produzione nel dibattito ticinese del periodo.

Grazie alla disponibilità dell’archivio dello Studio Carloni, la cui documentazione è oggi depositata presso la Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, il sesto numero di Archi presenta in modo esaustivo la genealogia progettuale e costruttiva dell’edificio OCST, illustrando le diverse fasi del progetto con schizzi, disegni e fotografie d’epoca, pubblicando anche – grazie al contributo degli studenti del corso di «Sistemi e processi della costruzione» tenuto dal professore Franz Graf all’Accademia di architettura di Mendrisio – piani e dettagli che focalizzano aspetti particolari dell’opera. Oltre ciò, ci è sembrato opportuno includere negli apparati un testo di Tita Carloni scritto nel 1991, inedito in italiano: Case del Popolo: avanguardie politiche e tradizione costruttiva, tramite il quale è oggi possibile cogliere l’approccio dello stesso architetto al tema che aveva affrontato vent’anni prima. 

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