Au­to­fo­cus – Gi­an Pao­lo Mi­nel­li

Nel 1960 Fernand Pouillon scriveva: «L'illustrazione del libro d'architettura appartiene oggi ai fotografi. Le riviste contemporanee, che pure hanno a disposizione i disegni originali […], preferiscono la fotografia». Sessant'anni dopo è ancor più evidente come quest'arte abbia plasmato lo sguardo sull'architettura: se la realizzazione di un progetto è suggellata proprio dal momento in cui se ne scattano le fotografie, i rendering non sono altro che “previsioni” di fotografie, fotografie dal futuro. In un territorio ristretto come la Svizzera italiana è allora interessante capire chi sono i fotografi che guidano il nostro sguardo sul panorama costruito. Abbiamo posto loro cinque domande, sempre le stesse, per dare conto delle prospettive di ciascuno sul proprio mestiere.

Publikationsdatum
19-08-2020

Come ha iniziato a occuparsi di fotografia d'architettura?
Durante i miei studi, ho iniziato a lavorare presso lo studio fotografico di Giuseppe Martignoni a Chiasso, dove ho scoperto il banco ottico, che veniva utilizzato per i lavori fotografici pubblicitari, per la riproduzione d’opere d’arte e anche per la fotografia d’architettura. Ho immediatamente abbandonato l’uso della camera di piccolo formato: ho capito che la lentezza del banco ottico e soprattutto dello sguardo era, ed è tutt’ora, il mio modo di vivere la fotografia. L’architettura, il costruito, per essere riprodotti hanno bisogno di tempo, di un’osservazione attenta, di concentrazione e di silenzio.
Proseguendo la formazione ho incontrato il grande fotografo italiano Gabriele Basilico, che mi ha aperto gli occhi non solo sul manufatto architettonico in sé stesso ma anche sul contesto, sullo spazio urbano, sulla città. La città intesa come un corpo pulsante con i suoi punti fragili e vitali. Da allora, oltre al lavoro fotografico per gli studi d’architettura, ho realizzato e partecipato a missioni fotografiche sul territorio per enti pubblici e per la mia ricerca artistica personale.

Con quali architetti collabora più spesso? Ci racconterebbe un aneddoto legato a uno di loro? 
Ho avuto la possibilità di collaborare con diversi studi d’architettura della Svizzera italiana, per esempio: Durisch + Nolli, Giampiero Camponovo e Enrico Sassi, e anche con degli studi a Buenos Aires, dove vivo, come lo Studio Aslan y Ezcurra e ultimamente lo studio di Clorindo Testa.
Con gli architetti Durisch + Nolli abbiamo condiviso il momento importante della nascita del Max Museo di Chiasso – museo dedicato al grafico Max Huber. A stretto contatto con Pia Durisch e Aldo Nolli ho seguito, a partire dai primi dialoghi con la committente Aoi Huber Kono, il progetto fino all’inaugurazione, con tutto quello che significa – e con moltissimi aneddoti che ancora oggi dopo molti anni ricordo con piacere.
Oltre a lavorare per gli studi, ho collaborato con alcune riviste d’architettura come «Domus», «Abitare», «Casabella» e «Archi».
Nell’ambito della documentazione del territorio ho realizzato dei progetti specifici per la Graphische Sammlung della Biblioteca nazionale di Berna, per il Dipartimento del territorio del Canton Ticino e per la città di Buenos Aires, per il dipartimento delle abitazioni popolari e degli agglomerati spontanei (Instituto de Vivienda de la Ciudad de Buenos Aires, IVC).

Quest’anno inizierò un progetto d’indagine fotografica sul territorio svizzero per l’Ufficio federale della cultura, sezione Patrimonio culturale e monumenti storici.

«M’interessano l’attraversamento dei territori di mezzo, le periferie, la città diffusa, le aree dismesse, gli spazi vuoti o in trasformazione»

Secondo lei la fotografia d'architettura ha un modo diverso di approcciarsi ai suoi soggetti rispetto alla fotografia tout court? Se sì, quali sono le differenze?
Per il mio lavoro di ricerca come fotografo e artista prediligo il contesto della città, dello spazio urbano. M’interessano l’attraversamento dei territori di mezzo, le periferie, la città diffusa, le aree dismesse, gli spazi vuoti o in trasformazione. Per compiere questi attraversamenti e per realizzare le mie fotografie sono indispensabili e necessari dei dialoghi aperti con le altre discipline, come appunto l’architettura, l’urbanistica, la pianificazione, la topografia, l’antropologia sociale, oltre che l’arte contemporanea. Temi che considero anche quando devo realizzare un lavoro specifico per uno studio d’architettura.

La chiamano per fotografare un edificio. In che modo si approccia al soggetto? Cosa cerca, cosa le interessa mostrare?
M’interessa molto poter stabilire un dialogo aperto con l’architetto/a, vedere i progetti, gli schizzi, capire i motivi delle decisioni del progetto finale. Segue un sopralluogo preciso per identificare i punti interessanti e gli orari (in base alla traiettoria del sole) per avere la luce “giusta”.
Come indicavo prima, la fotografia d’architettura necessita di molto tempo, di silenzio e di contemplazione.

Tra le fotografie che ci propone, le chiederei di sceglierne una che le sembra particolarmente riuscita e commentarla. Cosa mostra e perché le sembra che questa fotografia funzioni?
Non mi è facile, però in questa selezione (in cui ho deciso di non includere dei lavori realizzati per gli studi d’architettura, ma delle fotografie di diversi progetti che ho realizzato negli ultimi anni e che parlano dell’architettura da un altro punto di vista) sceglierei la fotografia #051, Cité Desnos, Pierrefitte Sur Seine, Paris, 2010.
Perché racconta quasi l’ultimo momento, l’ultimo respiro prima della demolizione totale di un quartiere popolare, progettato nel 1981, finito di costruire nel 1994 e demolito nel 2010. In questa immagine, realizzata in pieno inverno, di mattina presto, un complesso abitativo dove hanno vissuto per 15 anni circa 900 famiglie è diventato uno scenario teatrale, uno spazio vuoto, metafisico. Nell’inquadrare ho pensato alle opere pittoriche di de Chirico.

Per Gian Paolo Minelli, nato a Ginevra nel 1968, la fotografia è uno strumento con cui indagare l’uomo e gli spazi che costituiscono i luoghi del suo abitare, alternando un doppio registro tematico: da una parte, il ritratto/autoritratto, dall'altra, la realtà urbana.

Alla fine del 1999 si è trasferito a Buenos Aires, in Argentina, dove vive attualmente, alternando alla residenza lì periodi in Ticino.

L'opera di Minelli è stata al centro di mostre personali e collettive in musei, centri d’arte contemporanea e gallerie di tutto il mondo. Nel 2010 ha pubblicato per Codax Publischer e JRP Ringier The Skin of the Cities, a cura di Tobia Bezzola. Tra i riconoscimenti ricevuti per la sua opera ricordiamo il Premio svizzero del design, nel 1999 e nel 2002, e il premio ottenuto agli Swiss Art Awards a Basilea nel 2008.

 

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