L’in­ter­pre­ta­zione dei mo­delli sto­rici nell’opera di Peppo Bri­vio

Peppo Brivio dal neoplasticismo alla ricerca di un linguaggio proprio

Date de publication
07-08-2013
Revision
12-10-2015

Ho conosciuto Peppo Brivio durante gli studi, poiché l’ammirazione e la curiosità mi spinsero ad approfondire il suo lavoro redigendo una piccola ricerca per la cattedra di Werner Oechslin. Questo mi diede l’occasione d’incontrarlo più volte sull’arco di alcuni mesi nel suo studio. Ricordo con emozione e riconoscenza quei pomeriggi trascorsi ad ascoltare, intimorito ed affascinato dal suo sapere. Tra diapositive di viaggi, politica, fatti storici, botanica, ideali, irritazioni, progetti e tanto altro, colsi, oltre allo spessore del personaggio, alcuni di quei principi che assemblai in una sommaria tesi di cui proporrò alcuni estratti. Imparai molto e serbo il ricordo di quegli incontri come un tassello fondamentale della mia formazione d’architetto. Grazie Peppo.
Nello scritto riprendo l’esplorazione dei modelli storici dai quali trae spunto, ritenendo tali approfondimenti imprescindibili nell’avvicinamento all’opera di Brivio. Successivamente traccio alcuni tratti peculiari della stessa. La mia analisi è parziale e sommaria, in nessun caso esaustiva. 

La matrice neoplastica; De Stijl, Wright e il Neoplasticismo non ortodosso

L’opera di Peppo Brivio è considerata come il «manifesto dell’Architettura Neoplastica»1 in Ticino: il riferimento all’architettura e alla pittura neoplastica è chiaramente l’aspetto prioritario del suo lavoro. Nella sua rilettura il concetto di Neoplasticismo assume comunque un significato più ampio.

I suoi interessi spaziano dalle opere centrali degli esponenti di De Stijl, a quelle non ortodosse degli architetti olandesi che, sulla scia di Wright, posero le basi per gli sviluppi successivi, sino all’opera stessa del maestro americano. Nella mia osservazione cercherò di focalizzare i temi peculiari desunti dal Movimento Neoplastico, ma anche evidenziare come Brivio arricchisca la propria proposta neoplastica.

Per ciò che concerne le tematiche principali tratte dal Movimento Neoplastico è di centrale importanza il principio scompositivo.2 In questo ambito ricoprono ruoli fondamentali i principali esponenti di De Stijl, tra cui Mondrian, van Doesburg, van Eesteren e Rietveld.

A proposito di Piet Mondrian, Hans L. C. Jaffé scrive: «... cercò gradualmente la liberazione dalla casualità del tema e dalle emozioni soggettive: per trovare la soluzione assoluta e universale ...Sino al 1917 si concentrò su di un soggetto; perciò le sue opere erano ancora confinate entro i limiti del quadro e generate centrifugamente da un punto centrale».3 Più tardi travalicherà i limiti fisici del quadro tematizzando la continuità oggettiva dello stesso.

La Composizione n. 3 superfici di colore del 1917 dimostra questo passo: il quadro non si riferisce a una «percezione visuale»4 e il suo ritmo si estende idealmente oltre i limiti della tela. Nella Composizione rosso giallo e blu del 1921 la posizione periferica delle superfici di colore suggeriscono un’idea di continuità: il ritmo geometrico si estende nello spazio idealmente infinito che circonda il quadro mentre la Composizione in un rombo del 1921 dimostra esplicitamente la «liberazione» delle linee ortogonali e dei piani di colore dai limiti fisici del quadro.

Van Doesburg e van Eesteren cercarono di tradurre la ricerca pittorica di Mondrian nella progettazione architettonica. I progetti della Casa Rosenberg, della Maison particulière e della Maison d’artiste sviluppano il processo di scomposizione e riaggregazione di volumi diversificati. Fanelli osserva: «La composizione spaziale dei tre progetti sembra derivare fondamentalmente da un’intenzione di rottura della forma statica cubica attraverso una proiezione degli elementi in tutte le direzioni».5

Soprattutto nella Maison particulière e nella Maison d’artiste viene accentuato il principio della scomposizione, e riaggregazione per compenetrazione, dei piani e degli spazi. Fanelli precisa a proposito della prima:... è una sorta di cristallo di volumi che ha il suo centro nello spazio delle scale intorno al quale sono organizzati gli spazi per le varie funzioni, secondo quei principi di una architettura anticubica dove le diverse cellule spaziali si sviluppano in senso eccentrico».6

Questi progetti costituiscono una cerniera tra le opere precedenti degli architetti collaboratori di De Stijl e la realizzazione di un’architettura definita soltanto da piani liberi a cui arriverà Rietveld nel 1924 con la casa Schröder. Quest’opera costituisce un’evoluzione dei principi formulati nei progetti di van Doesburg e van Eesteren: innanzitutto viene chiaramente manifestata l’autonomia degli elementi mediante la sistematica indicazione della loro indipendenza, inoltre vige un equilibrio tra elementi piani e elementi lineari.7

Mies van der Rohe nonostante non abbia aderito ufficialmente al gruppo De Stijl si può considerare come uno dei maggiori «poeti del Neoplasticismo».8 In particolar modo il progetto The Brick Country house del 1923 e il padiglione di Barcellona del 1929 rappresentano una cristalizzazione del programma neoplastico9, sia pure con la predominanza di piani orizzontali.

L’adesione al principio scompositivo neoplastico da parte di Brivio corrisponde al rifiuto del blocco chiuso e ad un’assidua ricerca nella liberazione degli spazi e dei volumi.

Le case d’appartamenti Spazio e Albairone entrambe del 1956 sono i primi progetti che l’architetto realizza da solo; da questo momento è chiaro un intento nettamente plastico che lo emancipa dai lavori più organici e vernacolari del periodo della collaborazione con Franco Ponti. Mentre la Casa Spazio è un primo passo nella scomposizione ritmica dei setti murari – non completamente estraneo all’Architettura Razionale –, la Casa Albairone rappresenta un primo chiaro esempio nella sua ricerca della scomposizione neoplastica. La volumetria dell’edificio, composto da tre blocchi distinti sui quali si libera la copertura, consegue una scansione modulata spazialmente. Più epidermica è l’autonomia formale degli elementi costitutivi della costruzione ottenuta con l’accentuazione cromatica dei marcapiani.

Nelle case d’appartamenti successive, quali la Casa Cate del 1958 (cfr. pp. 63-64) e la Casa Giuliana del 1963, lievi variazioni planimetriche e lo spostamento verticale delle stereometrie permettono una scansione ritmica della facciata e una sua parziale scomposizione. In queste due case d’appartamenti l’architetto approfondisce la procedura scompositiva soprattutto mediante il trattamento dell’involucro. Un’applicazione più integrale di questo principio avviene nelle case unifamiliari, in cui la maggiore libertà tematica permette una più accentuata articolazione volumetrica.

Il progetto della Casa unifamiliare Sgrizzi a Savosa del 1957 è condizionato dalla richiesta del committente, pianista di professione, di una casa introversa, il cui interno sia protetto dal rumore e dalla vista della strada sottostante. La compattezza delle superfici di cemento è arricchita da un’articolazione volumetrica di carattere plastico. La chiusura del fronte stradale e l’orientamento degli spazi perpendicolarmente allo stesso indicano il rifiuto di «un fronte prospettico privilegiato».10

La Casa Sgrizzi assume comunque solo in parte il linguaggio neoplastico: se da una parte è chiaro l’intento di articolare le volumetrie, dall’altra la compattezza e l’introspezione contraddicono in parte i programmi di De Stijl. Per ragioni di contenuto l’architetto opta per un’interpretazione più cubista. I prismi compatti vengono solo lievemente modulati dalle aperture, rinunciando a un’oggettiva continuità con l’esterno.

Se si vuol tracciare un primo parallelo tra l’architettura di Brivio e la ricerca pittorica dalla quale egli trae spunto, allora Casa Sgrizzi mostra tratti simili alla pittura eminemente cubista di un Picasso o di un Braque oppure alla pittura di Mondrian fino al 1917: rappresentazione di un soggetto sviluppato tridimensionalmente, introducendo la quarta dimensione del tempo, caratterizzata da un centro e limitata dalle dimensioni del quadro.

Casa Corinna, costruita nel 1963 a Morbio Superiore, gode di una suggestiva veduta sulla pianura del Mendrisiotto. La strada principale e l’accesso sono, diversamente da casa Sgrizzi, a monte. Al piano superiore i limiti dello spazio unico sono caraterizzati dall’alternanza di nicchie funzionali e di aperture a tutt’altezza. La posizione più favorevole rispetto la strada consente una più integrale applicazione del principio scompositivo. Le stereometrie piene si differenziano dai vuoti: la casa risulta ritmata da una contrapposizione di parti piene e vuote, dove i pieni contengono gli spazi mentre i vuoti delle aperture relazionano la casa con il paesaggio circostante.

Rispetto ai progetti precedenti Brivio procede ad un esercizio di scomposizione della copertura: egli stesso parla di una «liberazione in altezza degli spazi».11 L’architetto ha ulteriormente frantumato la scatola muraria, isolandone le parti e lasciando penetrare più luce tra le stesse.

La Casa dei Pini a Vacallo, realizzazione contemporanea di Casa Corinna ma di dimensioni superiori, è composta sostanzialmente da due parti collegate da percorsi interni o coperti, nelle quali sono organizzate rispettivamente la zona giorno e le camere da letto. Questo progetto può essere considerato come uno sviluppo ulteriore nella ricerca del procedimento scompositivo.

Mentre nella Casa Corinna il centro è occupato, nella Casa dei Pini è liberato: attorno al vuoto della corte d’entrata l’edificio si sviluppa centrifugalmente dispiegandosi sul terreno. L’architetto ripercorre la ricerca che ha permesso a Mondrian di liberare il quadro al centro, per proiettare centrifugamente le superfici di colore. Il progetto presenta ulteriori elementi comuni con la ricerca pittorica di Mondrian; in particolare il tentativo di tradurre spazialmente le linee ortogonali delle composizioni pittoriche dell’artista olandese.12

A questo scopo i percorsi attraversano ortogonalmente l’intero impianto, e, prolungandosi virtualmente tramite le aperture e i balconi, tematizzano la continuità oltre i limiti fisici della composizione. 

L’esperienza neoplastica è per Brivio un palinsesto ben conosciuto dal quale trae gli spunti per la propria ricerca e sul quale sviluppa la propria proposta. L’adesione al linguaggio ortogonale ed eccentrico di De Stijl non è comunque incondizionata e di natura ideologica. Ciò gli permette di attingere dal repertorio neoplastico ortodosso determinate tematiche, ma di approfondirle in un contesto più ampio. Infatti Brivio non si sofferma unicamente sui risultati più puri, ad esempio di una Casa Schröder, ma considera la globalità dell’evoluzione del fenomeno del Neoplasticismo.

Nell’estensione dei suoi interessi assumono un’importanza rilevante l’opera di Frank Lloyd Wright e quella degli architetti olandesi che interpretarono il suo messaggio. L’opera di Wright costituisce una componente essenziale nella formazione del linguaggio architettonico moderno in Olanda. A prescindere da ciò non bisogna comunque dimenticare l’importanza di Wright nel contesto architettonico ticinese degli anni ’50 e ’60: la conoscenza della sua opera rappresenta, per modo di dire, un passaggio obbligato.

L’approfondimento di Brivio dell’architettura di Wright avviene soprattutto durante il periodo di collaborazione con Franco Ponti che fu il vero epigono del maestro americano in Ticino. Brivio non accetta però incondizionatamente il messaggio di Wright: ad esempio reputa fastidiose «l’eccessiva misura del radicamento e l’enfasi nell’uso dei materiali.»13

L’osservazione critica di alcuni aspetti dell’opera di Wright e il più marcato interessamento per l’architettura e la pittura neoplastica non resero sicuramente facile la collaborazione tra i due architetti ticinesi. Il prodotto è comunque d’indubbia qualità e oscilla tra un’architettura eminemente organica come la casa unifamiliare a Bellinzona del 1953 e una architettura più legata ai canoni neoplastici, di cui un chiaro esempio sono invece le Case unifamiliari a Ravecchia del 1950.14

La componente organica rimarrà comunque un tratto leggibile nelle successive opere di Brivio. Nella Casa Corinna, ad esempio, il movimento ritmico delle stereometrie esterne in mattoni è contestato dall’inserimento di trame orizzontali quali le solette e la lastra della copertura in cemento a vista. La contrapposizione dello spostamento verticale delle parti piene con le trame orizzontali permea tutta l’opera di Brivio. Questo atteggiamento è evidente nella Casa d’appartamenti Rosolaccio a Chiasso del 1958, in cui è esplicita una ricerca dell’equilibrio asimmetrico tra linee orizzontali e verticali; associabile con lo zelo compositivo di Wright.

L’interpretazione del messaggio di Wright da parte degli architetti olandesi rappresenta un aspetto nodale nell’ambito degli interessi di Brivio. L’opera di questi architetti, in particolare di Joannes Duiker, di J.J.P. Oud e di Jan Wills, è fondamentale per situare l’interesse di Brivio rispetto ai modelli dell’architettura neoplastica.15 Infatti l’architetto ticinese, pur assumendo determinate tematiche, non aderisce alla posizione dogmatica di De Stijl, ma, d’altra parte, pur arricchendo la propria opera di tratti «organico-espressivi», rifiuta l’eccessiva enfasi di Wright. 

Duiker rappresenta l’aIa più razionale e funzionalista. I suoi primi lavori erano caratterizzati dalla ripresa dei modi wrightiani, che però abbandonò precocemente. La sua architettura si caratterizza per la chiarezza di composizione degli elementi, in se stessi e nel loro integrarsi. Nelle sue opere convivono la libertà planimetrica, la ricerca degli elementi autonomi e la volontà dell’integrazione strutturale. L’opera di maggiore risalto di Duiker è il sanatorio Zonnestraal a Hilversum (1926-31) – spesso citato da Brivio durante gli incontri –, in cui si ritrova il gusto per volumetrie nitide e insieme complesse.16

Oud aderì al neoplasticismo dopo aver assimilato la lezione dell’architettura domestica inglese e conosciuto, attraverso Berlage, l’opera di Wright. Il principio scompositivo rappresenta una caratteristica costante del suo lavoro. Oud non raggiungerà però il grado di scomposizione di Rietveld; egli infatti – scrive Fanelli – «rimase ancorato alla scatola muraria e prediligerà gli effetti di massa ed una centrifugazione di volumi rispetto ad una ricerca di scomposizione in piani liberi».17

L’opera di Wills rappresenta un filo conduttore tra Wright e l’architettura olandese. «Wills – scrive Godoli – non intende celebrare in Wright un precursore dell’Architettura Neoplastica ma piuttosto dimostrare con un esempio probante la possibilità di rifondare su basi rinnovate la ricerca linguistica senza dover necessariamente approdare al radicale antistoricismo e all’apriorismo estetico di De Stijl ... la sincerità strutturale, la schiettezza nell’uso dei materiali, lo sfruttamento delle virtualità espressive implicate nell’uso integrato di materiali eterogenei consente a Wills di attingere al vocabolario dell’architetto americano pur continuando a muoversi nei solco della tradizione olandese».18

NeIl’opera di Brivio l’importanza di questi architetti si manifesta nella ricerca delle componenti sia razionali (Duiker e Oud) che espressivi (Wills) dell’interpretazione neoplastica. L’approccio di Brivio risulta quindi essere di natura più moderata: ne scaturisce quindi, come ben riassume Pedio, «una proposta priva di aspirazioni puriste, ma, proprio per questo, più critica e aggiornata».19

Casa Corinna è la cristallizzazione del movimento eccentrico delle masse rispetto a un punto centrale. Differentemente dai progetti citati delle case di van Doesburg e van Eesteren, dove la scomposizione della scatola edilizia è un processo svincolato da schemi prestabiliti20, qui è esplicita la volontà di una chiarezza strutturale. Internamente è ad esempio interessante l’accentuazione degli elementi lineari della copertura come mezzo di qualificazione formale degli interni.

La libertà dell’articolazione dei volumi si traduce nella ricerca della nettezza e compattezza degli elementi. Alla complessità dell’impianto pianimetrico è contrapposta la semplificazione degli elementi costitutivi; tratto questo associabile al lavoro di Duiker. La predilezione per gli elementi cubici, ed il relativo effetto delle masse, rispetto agli elementi lineari e piani è riconducibile all’opera di Oud.

Brivio rinuncia comunque all’astrazione e alla smaterializzazione delle superfici; l’uso dei materiali tradizionali e la fedeltà alle loro caratteristiche materiche sono in antitesi con l’astrazione proposta ad esempio da un Rietvelt nella Casa Schröder, le cui strutture murarie di mattoni sono intonacate omogeneamente.

L’architetto ticinese rinuncia altresì all’enfatica accentuazione del carattere organico e statico della materia tipica di Wright. La schiettezza e lo sfruttamento delle virtualità espressive implicate nell’uso di materiali eterogenei ricordano l’opera di Wills, e più in generale l’architettura tradizionale olandese. Comunque da evidenziare è l’attualità in quegli anni in Ticino della combinazione del mattone di cotto (paramano) e del cemento a vista, di cui gli edifici del Cinema Corso e della Sede amministrativa delle dogane a Lugano di Rino Tami del 1953 sono un limpido esempio.21 

Max Bill: geometrizzazione e grado di costrizione

L’architetto stesso indica l’importanza dell’opera di Max Bill e in generale dell’Arte Concreta.22

Brivio, che prima di recarsi a Zurigo frequentò il primo anno di ingegneria a Milano, mostra un’attenzione particolare per il controllo della forma, nella sua rigorosa, quasi matematica geometrizzazione. L’edificio è un organismo la cui forma non è arbitraria o dettata da scelte prettamente funzionali, ma subordinata a un ordine prestabilito. Attraverso un determinato «grado di costrizione»23, Brivio persegue l’intento di raggiungere la chiarezza dell’impianto e una completa giustificazione formale.

La casa d’appartamenti Albairone mostra un controllo, sia in planimetria che in alzato, dove lo stesso «grado di costrizione» diventa carattere espressivo: la scansione modulata spazialmente offre un ritmo stereometrico preciso e privo di contestazioni. Meno limpido appare l’ordine compositivo di Casa Corinna comunque vincolato da un preciso modulo e la cui costellazione volumetrica aspira a un equilibrio asimmetrico. Hans Frei indica, a riguardo dell’opera di Max Bill, «un particolare rigorismo geometrico atto a perseguire una sorta di equivalenza plastica.24

La rinuncia all’espressione eminemente tettonica e al carattere semiotico dell’opera architettonica sono ulteriori tratti del lavoro di Brivio affini all’«Architettura Concreta» 25 di Max Bill. In primo piano sono la ricerca e la giustificazione formali, alle quali sono subordinate le scelte costruttive. Come nell’opera di Bill, il fattore costruttivo è condizionato al progetto e ridotto a soluzioni più o meno tradizionali.26

Attraverso la geometrizzazione l’impianto assume la sistematicità di una combinazione di elementi codificati. Il progetto della casa a Moscio del 1962 mostra chiaramente l’intento di una riduzione e codificazione degli elementi compositivi che, associandosi in un procedimento quasi organico, costituiscono una struttura simile a quella molecolare.

Al principio della riduzione e codificazione è assimilabile il concetto della prefabbricazione. Hans Frei spiega come Max Bill ricerchi «una costruzione sistematica propria alla prefabbricazione per evidenziarne le qualità formali».27 Brivio parla a proposito del suo metodo compositivo di «una ricerca dell’elemento prefabbricato che non esiste».28

Più in generale l’affinità dell’opera di Brivio con quella di Max Bill risiede nell’interesse per un rigorismo formale e metodologico del progetto architettonico, nonché nella ricerca di un’analogia dello stesso con il procedimento pittorico e plastico. I riferimenti di Brivio si differenziano comunque da quelli di Max Bill, in quanto l’architetto ticinese assume, in prima linea, la ricerca astratta di Mondrian; differentemente dagli autori di De Stijl, egli cerca però in un procedimento simile a quello dell’Arte Concreta il supporto per una disciplina compositiva del progetto.

Kahn: chiarezza dell’ordine e integrazione strutturale

«Il progetto significa composizione all’interno di un ordine».29

Questa citazione di Kahn può probabilmente, meglio di ogni esempio, introdurre l’ambito dell’interesse di Brivio per l’opera dell’architetto americano. Parallelamente alla chiarezza sintattica, la «chiarezza dell’ordine»30 è un paradigma fondamentale per l’architetto ticinese. Individuati gli elementi costitutivi del linguaggio, la loro composizione segue un processo compositivo formale preciso e regolato.

Nei lavori di van Doesburg e van Eesteren, la scomposizione della scatola edilizia è un processo svincolato da schemi prestabiliti e la struttura portante stessa è subordinata all’articolazione formale.31 La liberazione della scatola muraria di Brivio segue una logica vincolata da regole soprattutto strutturali: in questo senso l’opera di Kahn assume un’importanza centrale, in relazione alla volontà di una chiarezza d’impostazione degli elementi strutturali.

Nella ricerca di un rapporto spazio-costruzione, la struttura portante assume il ruolo principale; dimostrando il controllo geometrico della forma e caratterizzando lo spazio. Particolarmente interessante è nuovamente la soluzione della copertura di Casa Corinna, dove struttura e luce diventano elementi compositivi caratterizzanti lo spazio interno, nonché la sua suddivisione funzionale. Un’altra particolarità interessante di questo progetto, in relazione a Kahn, è la distinzione tra spazi di servizio e lo spazio dominante.

Nel progetto della Casa dei Pini l’architetto distingue la muratura di tamponamento dalla struttura portante e introduce un tema strutturale che svilupperà ulteriormente nell’edificio Weisscredit di Chiasso del 1967. La struttura diventa un elemento compositivo chiamato ad esplicare non solo la funzione portante ma anche a suddividere e caratterizzare lo spazio.

Nell’edificio amministrativo l’architetto adotta una disposizione strutturale che rispecchia quella scelta in alcuni progetti da Kahn caratterizzata dall’alternanza di intervalli brevi e intervalli più ampi.32 La struttura assume inoltre un carattere rappresentativo: la forte presenza e la minuziosa concezione della stessa, combinate con l’uso del granito nero, donano un carattere monumentale alla sala degli sportelli.

ll valore simbolico della struttura, la sua integrazione nello spazio, l’assunzione della luce come elemento di progetto e la ricerca della chiarezza figurativa sono caratteri dell’architettura di Brivio riconducibili all’opera di Kahn.33

Tami: pragmatismo e utopia

Ad interessare Brivio del personaggio Tami sono soprattutto il lato umano e l’approccio con l’architettura.34 Tami è un praticante dell’architettura: il costruire è il suo mezzo di espressione, la sua ricerca è trasparente e priva di esuberanza teorica. Graziano Papa scrive della sua opera: «Un’architettura negata alle complicazioni intellettualistiche, che rifugge dal retorico, dall’esibizionismo, dal facile, dal superfluo, che respira una sua tranquilla coerenza morale»35.

L’utilitarismo illuminato di Tami si realizza in un’architettura sobria, elegante, comunque non esente dal compromesso e rispettosa della natura e della sensibilità dell’uomo. Carloni usa il termine «domesticità»36 per descrivere il sentimento di benessere fisico legato all’intimità e all’armonia che traspaiono dall’architettura delle case di Tami.

La ricerca di Brivio, per i modelli dai quali trae ispirazione e per una sua propria caparbietà, presenta un carattere vagamente utopico e rigoroso. Il suo operare si situa tra l’esercizio intellettuale e la realizzazione pratica. Tami è per Brivio un confronto con una realtà in cui è indispensabile una valutazione dei principi teorici nelle conseguenze pratiche. Proprio il pragmatismo sornione e ironico di Tami nei confronti degli idealismi architettonici, spinge Brivio a porsi interrogativi sui ruoli dell’architettura e degli architetti rispetto alla società. Interessanti approfondimenti o tentativi di risposta sono rappresentati da alcuni testi di Brivio.37

Un’indagine puntigliosa potrebbe mostrare anche precisi tratti dell’architettura di Brivio ricollegabili con quella di Tami. Ad esempio, interessante sarebbe approfondire le relazioni tra le stazione di partenza della funivia di Cardada-Orselina del 1951 di Brivio e i magazzini Usego del 1950 di Tami e tra le case di Ravecchia e le case di Tami o più in generale riguardo i modi di utilizzo del mattone di cotto e del cemento a vista.38 Comunque non desidero dilungarmi su questi aspetti che considero secondari rispetto alle influenze di natura culturale.

La necessità di una valutazione pragmatica, come limitazione della ricerca teorica o utopica, e la consapevolezza della componente umana nell’opera architettonica sono i principali insegnamenti trasmessi da Tami.

La ricerca di un linguaggio proprio

L’assunzione del linguaggio neoplastico è l’aspetto principale del lavoro di Brivio. Questa accettazione non è però incondizionata e vincolata dai paradigmi teorici e mistici degli architetti e pittori di De Stijl. La sua adesione al linguaggio ortogonale e centrifugo del movimento neoplastico non è di natura dogmatica e visionaria, quindi anacronistica, ma ricopre un’esigenza prettamente grammaticale.

A questo proposito l’architetto scrive nell’ambito di una pubblicazione dei suoi lavori in «l’Architettura»: «A mio parere […]tutti i grandi maestri dei nostro tempo creano nell’ambito di una morfologia, o perlomeno di una combinazione di forme chiaramente specificata, ed è impossibile misurarne l’influenza quando se ne trascuri ia grammatica… L’astrazione dalla grammatica e dalla storia della grammatica corrisponde spesso ad uno stato di confusione nel giudizio critico, e peggio, nella produzione corrente dell’architettura».39 La ricerca di una chiarezza sintattica è al centro dell’interesse di Brivio: l’architettura neoplastica gli offre un repertorio linguistico interessante.

Brivio, ad ogni modo, è interessato a più correnti architettoniche; si china maggiormente sulle tematiche moderne, senza però Iesinare un’attenzione più ampia per la storia dell’architettura.

Nella sua interpretazione rinuncia alla purezza linguistica e, trasportato dai propri interessi, accetta diverse intrusioni linguistiche: impurità che arricchiscono il suo linguaggio. La sua proposta si pone, quindi, in continuità con i temi dell’architettura moderna ma non ne rappresenta un’estensione lineare.

Se da una parte accetta l’impurità e l’arricchimento linguistico, dall’altra mostra una continua ricerca nella semplificazione e radicalizzazione delle sue tematiche, soprattutto delle sue scelte formali. La sua interpretrazione considera la complessita dei fenomeni ma ha lo scopo ultimo di formare una propria grammatica. L’approfondimento storico vuole essere anche una ricerca sintattica che si cristallizza, per usare le parole dell’architetto, in «una morfologia o combinazione di forme chiaramente specificata».

Alla complessità dell’articolazione stereometrica e dell’uso combinato di materiali eterogenei, Brivio contrappone una riduzione e codificazione degli elementi costitutivi. Il processo scompositivo della forma si tramuta in una composizione di elementi individuati. Il metodo risulta quindi esser quello di una combinazione di elementi indipendenti aggregati razionalmente, con una volontà sia di autonomia che di reciproca connessione.

La ricerca di Brivio vuole approfondire la codificazione degli elementi costitutivi e del rapporto tra di essi. In questo senso diventano fondamentali le interazioni geometriche, la nitidezza dei volumi e degli incastri e l’esattezza dei moduli costruttivi. Una descrizione esauriente del suo linguaggio è comunque possibile solo attraverso l’osservazione dei singoli edifici.

Da un’osservazione sommaria si possono scorgere alcuni elementi individuabili come «forme chiaramente specificate dei suo linguaggio«. Dal suo gergo architettonico si possono estrapolare ad esempio i concetti di «parti di volume e spazio» e di «punto a spazio».40

Le «parti di volume e spazio» sono i setti murari ripiegati a nicchia le cui proiezioni stereometriche caratterizzano diversi progetti. Esse sono normalmente contrapposte alle superfici vetrate e configurano la scomposizione del volume in parti dello stesso. Questi elementi rappresentano un’interpretazione di un’idea spaziale e costruttiva desunta dall’esperienza dell’architettura neoplastica. Per un confronto indico i precedenti storici inerenti a questo tema:

i setti murari scomposti ed erosi negli angoli di Wright che permettono una trasparenza con l’esterno senza compromettere l’intimità dello spazio interno; i muri del progetto The Brick House del 1923 di Mies van de Rohe che, precedendo De Stijl, aveva scomposto la scatola muraria in parti lasciando fluire lo spazio tra le stesse; le estremità stereometriche dei progetti di case citati di van Doesburg e van Eesteren nelle quali non è comunque leggibile una distinzione chiara tra le parti piene e le aperture; le lastre della Casa Schröder di Rietvelt che definiscono il rapporto tra interno ed esterno e sono in contrapposizione alle aperture;41 le lastre ripiegate della Chapelle de Nôtre-Dame-du-Haut di Le Corbusier.

Nella Casa Corinna le «parti di volume e spazio», oltre ad essere contenitori funzionali, conducono la luce zenitale nello spazio interno della casa. Alternando piani diversi Brivio contrappone nella Casa Cate di Lugano e nella Casa Giuliana le parti piene con le parti vuote, ottenendo una modulazione continua della facciata.

ll principio del «punto a spazio» è una costante compositiva di più progetti di Brivio. Un approfondimento di questo tema avviene soprattutto nella Casa dei Pini, di cui l’architetto scrive: «... è un primo tentativo di combinare le parti in un ordine più rigoroso, di assumere il punto come generatore dello spazio nel sistema ortogonale».42

L’immagine dell’angolo di Casa dei Pini mostra l’intenzione dell’architetto. Lo scopo è di «liberare» la scatola edilizia su ogni lato; la procedura è quella di «corrodere» l’angolo proiettando ortogonalmente le stereometrie. Il risultato è l’effetto plastico delle masse, le cui vibrazioni contestano la continuità delle superfici esterne creando internamente una complessa relazione tra struttura e spazio. Riguardo questo metodo compositivo, Brivio stesso sottolinea come, oltre ai riferimenti neoplastici, esista anche una reminescenza dell’architettura islamica.43

Un interessante sviluppo si rivela, a mio parere, l’estensione di questo principio alle superfici vetrate dell’Edificio Weisscredit di Chiasso. La modulazione spaziale della facciata principale, prevalentemente vetrata, le conferisce una presenza materica sorprendente.44

Concludendo questa analisi credo che particolarmente interessanti sarebbero la distinzione e il confronto dei due aspetti, apparentemente contrastanti, del lavoro di Brivio che ho indicato come doppia estensione della sua proposta neoplastica; ossia il dualismo teso tra l’espressività e l’organicità del trattamento delle superfici e dei volumi, da una parte, e la rigorosità geometrica dell’impianto nonché la ricerca di una metodologia progettuale, dall’altra.

L’approfondimento dell’aspetto più «hegeliano» rispettivamente più «pitagorico» dell’opera di Brivio sarebbe possibile colmando le principali lacune del mio lavoro, in particolare riguardo al suo interesse per l’architettura espressionista, da una parte, e alla ricerca delle sue leggi compositive, dall’altra. Oltre a ciò, una più attenta lettura dei testi dell’architetto potrebbe svelare ulteriori aspetti della sua opera. Un altro aspetto meritevole d’approfondimento sarebbe l’influenza dell’architettura islamica.

Note

  1. T. Carloni, Conferenza ethz 1.17.1995. (Architettura Ticinese dagli anni ’50 fino agli anni ’70)
  2. B. Zevi, Poetica dell’architettura neoplastica, Torino 1974: «Sulla scia dei pittori cubisti gli architetti procedettero ad un riesame dei loro organismi scatolari: frantumare, scomporre l’involucro murario per sceverarlo in ogni componente». Il commento di Zevi introduce il tema centrale del programma degli architetti e pittori di De Stijl: il principio scompositivo o scomposizione quadridimensionale.
  3. H.L.C. Jaffé, Piet Mondrian, Köln 1990
  4. Ibidem.
  5. G. Fanelli, De Stijl, Roma-Bari 1983, p. 137.
  6. Ibidem, p. 134. A questo proposito B. osserva come nella Casa Schröder siano già individuabili, oltre agli elementi Iineari e piani, degli elementi cubici.
  7. Ibidem, pp. 148-160
  8. B. Zevi, Poetica dell’architettura ..., p. 12.
  9. Ibidem, pp. 178-187.
  10. Ibidem, Zevi definisce la scelta della «Tridimensicnalità antiprospettica», come reazione al «fronte privilegiato» o «contemplazione statica di ascendenza rinascimentale», definendola una caratteristica peculiare dell’architettura neoplastica.
  11. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: riferendosi alla «liberazione in altezza», B. sottolinea l’importanza del confronto con l’architettura di Mies, in particolare del Padiglione di Barcellona, nei quale intravvede il fascino dell’uguaglianza di trattamento tra i piani verticali e quelli orizzontali; disturbato però dalla chiusura verticale, elabora la superficie del tetto, introducendo la stessa procedura scompositiva delle parti verticali.
  12. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: B. sottolinea l’importanza di questo progetto, in quanto rappresenta un inedito tentativo d’interpretazione dell’opera di Mondrian. La mia descrizione non è a questo proposito esauriente.
  13. P. Brivio, colloquio 8.12.1996.
  14. Nell’analisi ho volutamente tralasciato l’osservazione di queste opere in quanto rappresentano un ambito specifico non direttamente associabile al lavoro di B. solo.
  15. Oltre a questi architetti si potebbe citare anche vant’Hoft (indicato sia da Fanelli, sia da Godoli assieme agli altri). B. non lo reputa importante in quanto la sua proposta è troppo vicina a quella di Wright. Esistono comunque a mio avviso similitudini tra la Casa Albairone e la Casa Henny di van’Hoff. (Accentuazione cromatica degli elementi costitutivi).
  16. G. Fanelli, Architettura Edilizia Urbanistica Olanda 1917/1940, Firenze 1978.
  17. G. Fanelli, De Stijl, p. 22
  18. E. Godoli, Jan Wills, Frank Lloyd Wright e De Stijl, Firenze 1980, p. 49.
  19. R. Pedio, in «L’Architettura», n. 64, febbraio 1961, il commento di Pedio sull’opera di B. rappresenta un contributo importante per il mio lavoro.
  20. G. Fanelli, De Stijl, pp. 134-147: Fanelli sottolinea come esista una divergenza tra le assonometrie «controcostruzioni» e i plastici, nei quali «le aperture sono ridotte a sottili fessure ritagliate nei piani pieni», mentre la struttura portante è sottomessa alle scelte volumetriche.
  21. Brivio collabora con Tami per la progettazione e l’esecuzione di questi edifici.
  22. P. Brivio, colloquio 17.5.96.
  23. Ibidem.
  24. H. Frei, Konkrete Architektur?, Baden 1991, p. 216.
  25. Ibidem, pp. 212-262.
  26. Ibidem, p. 217.
  27. Ibidem, p. 245.
  28. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: B. sottolinea come questo aspetto sia già presente nell’architettura di Duiker, ad esempio nei parapetti dei balconi della clinica «Zonnestraal».
  29. U. Conrads, Programme und Manifeste zur Architektur des 20. Jahrhunderts, Berlin 1964, p. 162.
  30. P. Brivio, colloquio 17.5.1996: B. riassume con questo termine il principale ambito del suo interesse per l’opera di Kahn.
  31. Cfr. nota n. 7.
  32. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: B. sottolinea come l’interpretazione di Kahn sia stata una conferma di una ricerca iniziata nell’ambito dell’architettura classica (cita come riferimenti la chiesa degli Apostoli a Costantinopoli, la Basilica di San Marco a Venezia e le chiese del Perigord).
  33. R. Giurgola e M. Jaimini, Louis Kahn, Bologna 1981
  34. P. Brivio, colloquio 17.5.1996.
  35. G. Papa, Tentativo di un approccio nel tempo e nello spazio, in Rino Tami 50 anni d’architettura, Bellinzona 1984.
  36. T. Carloni, Conferenza ethz 1.17.1995. (Architettura Ticinese dagli anni ’50 fino agli anni 70)
  37. Particolarmente interessanti sono l’opera letteraria Discorsi controvoglia e il commento all’editoriale di Bruno Zevi in «L’Architettura», n. 43, 1958 di cui trascrivo questo stralcio: «Diffida all’avanguardia. Diffida o Constatazione? ln che misura l’architettura è elemento integrante della nostra cultura? La condizione generale dell’artista del nostro secolo è l’estraniazione: egli è posto di fronte al drammatico dilemma di estraniarsi dal proprio prodotto e di negarsi in quanto artista, o di estraniare le proprie opere dal mondo sociale. Io non credo che questo dilemma sia superato se non per equivoco o compromesso [...]. L’architettura corrisponde veramente ai momenti più alti della cultura del nostro tempo? Gli architetti del recente passato erano abbastanza disperati, quelli del presente abbastanza coscienti »
  38. T. Carloni, Tra conservazione e tradizione, in 50 anni Architettura in Ticino, p. 8.
  39. P. Brivio, in: «L’Architettura», n. 64, febbraio 1961, p. 684.
  40. P. Brivio, colloquio 17.5.1996.
  41. Cfr. nota n. 7.
  42. P. Brivio, in: «L’Architettura», n. 5, ottobre 1965, p. 383.
  43. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: la configurazione piramidale interna è il risultato della modulazione e al contempo una reminescenza dello spazio interno del Tempio di Müqarna,caratterizzato dalla sovrapposizione di piccole nicchie cunriforme. In questo senso la Casa dei Pini dimostra nuovamente come la scelta di B. del linguaggio neoplastico non sia dogmatica, ma arricchita continuamente di immagini e riferimenti estranei alle sue radici ortodossa.
  44. P. Brivio, colloquio 8.12.1996: B. sottolinea come questo progetto rappresenti anche una sorta di omaggio a Sullivan (similitudine con la Banca di Chicago).

 

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