Un ice­berg per cu­rare la me­tro­poli

Mario Cucinella progetta il nuovo Polo chirurgico e delle urgenze dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

Date de publication
15-11-2022

Milano troppo spesso dimentica di essere l’ultimo baluardo della pianura, ai piedi delle Alpi. L’orizzonte chiuso della città densa sovrappone uno skyline artificiale al profilo montuoso, che si ripresenta a sorpresa solo in tangenziale. Il progetto per il nuovo Polo chirurgico e delle urgenze dell’Ospedale San Raffaele di Milano sembra quasi voler restituire alla metropoli un paesaggio troppo a lungo negato, attraverso un volume stratificato e ghiacciato come una vetta innevata.

L’edificio si compone di due blocchi, che si differenziano sia sul piano funzionale che su quello plastico. Il basamento è un volume austero che emerge dall’interrato solo per un piano ed ospita le funzioni ospedaliere più rigidamente normate: pronto soccorso, chirurgia e terapia intensiva. I suoi prospetti scuri sono mossi da leggeri sfasamenti nei piani di facciata, a costruire un bassorilievo geometrico irregolare, come i livelli sfaldati di una roccia sedimentaria.

Il volume superiore è caratterizzato invece dalla trasparenza e da una forte dominante verticale sottolineata dalle fitte lamelle bianche perpendicolari al piano di facciata. All’interno di questa torre trovano spazio funzioni meno codificate, che dunque lasciano all’architetto una maggiore libertà progettuale, come gli ambulatori medici, gli uffici e i reparti di degenza. Il risvolto d’angolo è sottolineato da un picco nell’attacco al cielo e da una rarefazione delle lamelle nei prospetti, in coincidenza con spazi interni adibiti a soggiorni comuni. Le lunghe degenze in alto e alla luce del sole rinnegano l’aspetto freddo e carcerario di tanti nosocomi moderni per ricordare la vita che si conduceva fino al secolo scorso nei numerosi sanatori alpini: il nuovo ospedale è pensato come un «luogo della guarigione», uno spazio piacevole in cui trascorrere un tempo sereno.

E se l’aria del centro di Milano non è quella di Davos il progetto prova a recuperare, insieme ai malati, anche l’ambiente che li circonda. Le lamelle della facciata infatti adempiono a diverse funzioni: sono dei frangisole che proiettano ombre sulle vetrate, riducendo l’irraggiamento solare nella stagione calda, ma al contempo aumentano la luminosità degli interni grazie alla loro superficie bianca e riflettente. In questo modo si riduce il fabbisogno energetico dell’edificio attraverso un buon comportamento passivo sul piano termico e illuminotecnico; inoltre questi dispositivi svolgono anche un importante ruolo attivo. Il materiale di cui le lamelle sono composte è una ceramica antismog di ultima generazione che si comporta come un catalizzatore in grado di trattenere gli agenti inquinanti, che vengono poi resi inerti dai raggi solari ed eliminati dalla pioggia.

Dal punto di vista planimetrico l’edificio presenta un impianto rettangolare a corte centrale, mentre la sezione (vedi immagine) presenta una struttura a gradoni che permette, collocando opportunamente i lucernari zenitali, di portare luce naturale anche all’interno del basamento. In particolare in corrispondenza della corte, su cui si aprono i prospetti interni dell’edificio, si moltiplicano i profondi lucernari che rischiarano l’interrato, come se il solaio di copertura fosse una facciata.

Come per i prospetti, anche i materiali scelti per gli interni sono dettati dalla volontà di seguire principi di sostenibilità ambientale e di garantire al contempo un alto livello di benessere per gli utenti. Vengono dunque banditi i materiali di sintesi largamente impiegati nell’edilizia ospedaliera tradizionale, come il pvc, per dar spazio a pavimenti in gres e ceramiche dalle proprietà antibatteriche, prodotti che non emettono composti volatili organici (COV) dannosi per la salute degli utenti. Secondo Mario Cucinella «La qualità dello spazio, lo spazio esterno, lo spazio interno dell’ospedale, i colori, la modalità con cui sono progettate le stanze, le aree comuni, hanno l’obiettivo di dare dignità alle persone, di rassicurare ed è così che allora possiamo parlare di architettura: è una forma di cura».

Il profilo adamantino del volume riprende una lezione di progetto tutta milanese: «l’architettura è un cristallo». Un edificio di Gio Ponti in particolare dà la sua autorevole benedizione al nuovo progetto: il secondo palazzo Montecatini, del 1947-1951. Entrambi gli edifici presentano un basamento ben distinto, una facciata concava, elementi verticali fitti che si rarefanno ai margini del prospetto, angoli svettanti verso il cielo, profili sottili che si lanciano oltre la linea di gronda, una grande trasparenza.

Anche Gio Ponti amava sperimentare con le ceramiche in facciata, si pensi alla sua Chiesa dell'Ospedale San Carlo Borromeo, e spesso i suoi edifici hanno pagato il duro prezzo di un difficile mantenimento e costosi restauri: si dovrà attendere per verificare se il nuovo ospedale di MCA saprà mantenere le promesse avanzate sul piano tecnologico e su quello del comfort psicologico. Certo dopo anni di crisi pandemica, climatica, economica, umanitaria, la riuscita di un edificio che si propone di fare la propria parte non si misura solo nel dato specifico del singolo risultato tecnico, quanto nella volontà, tutta politica, di avere un ruolo attivo ed attivante nella compagine densa della città.