Pittore digitale dell’architettura contemporanea
Intervista a Filippo Bolognese
Filippo Bolognese e Clara Lopez, a capo di uno degli atelier che crea le immagini digitali più premiate di tutta la Svizzera nell’ambito dei concorsi di architettura, ci aprono le porte del loro studio a Milano per condividere esperienze e riflessioni sull’influenza e il ruolo delle immagini nell’architettura contemporanea.
In un settore così competitivo come quello dei concorsi di architettura, il fatto di rappresentare visivamente un progetto gioca un ruolo cruciale; attraverso un’immagine si riesce infatti a raccontare un ambiente e a dare vita a un’opera non ancora costruita, dandole risalto rispetto agli altri progetti concorrenti.
Riconosciuto a livello internazionale per la sua spiccata sensibilità nel realizzare atmosfere digitali, Filippo Bolognese (classe 1985) in qualche anno si è costruito, nell’ambito del rendering, vale a dire la restituzione grafica di un progetto di architettura, un’identità propria e inconfondibile, fondata sull’iperrealismo e la sobrietà visiva come forma espressiva architettonica. A tal punto che, oggi, il suo lavoro in veste di pittore digitale è molto spesso associato al nome degli architetti più premiati nell’ambito dei concorsi svizzeri.
Ma qual è il ruolo dell’immagine? In che modo le immagini possono influenzare l’architettura contemporanea? Per capirlo, espazium.ch si è recato a Milano e ha incontrato Filippo Bolognese e la sua partner Clara Lopez. Nel loro studio, una vera e propria officina dell’immaginario e della realtà virtuale, i due giovani imprenditori hanno condiviso di prima mano le loro riflessioni e le esperienze raccolte finora.
espazium.ch: Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la maggior parte delle immagini che create nel vostro atelier sono innanzitutto realizzate a matita e poi riprodotte attraverso il computer. Signor Bolognese, potrebbe dirci qualcosa di più su queste prime fasi di lavoro?
Filippo Bolognese (FB): Il disegno a matita rientra nella prima fase, quella che concerne l’analisi di un progetto. È un momento molto appassionante al quale dedico grandissima importanza.
Durante i primi scambi che intrattengo con gli architetti, esamino attentamente il progetto, lascio che il progetto mi parli e poi ne estrapolo il miglior racconto possibile. Le prime prospettive di solito le disegno a mano. Di formazione sono architetto anche io e, come tale, penso che la comprensione spaziale sia innanzitutto un processo mentale, non una mera trascrizione numerica. Questi primi schizzi eseguiti a matita diventano, in qualche modo, la sintesi visiva del progetto architettonico che ci viene presentato.
Clara Lopez (CL): Qui vorrei aggiungere una cosa. Di fatto, nella grande miriade di illustrazioni che accompagna i concorsi di architettura, il rendering punta troppo spesso, ed esageratamente, alla «tecnica», a scapito di quella che, di per sé, è l’idea architettonica che sta dietro a un progetto. Insomma, a volte le immagini contemplano talmente tanti effetti speciali, riflessi, texture, colori e così via, che il progetto stesso passa, per così dire, in secondo piano; non è più l’oggetto principale dell’immagine. Il nostro approccio è invece quello di porre al centro l’architettura, è l'architettura il cuore dell’atmosfera digitale che andiamo a creare. Al contempo, restiamo il più possibile «minimalisti», tecnologicamente parlando.
Insomma, senza un’immagine che affascini e catturi gli sguardi, risulta difficile vincere un concorso d'architettura. Allora, qual è il ruolo delle immagini nell'architettura contemporanea?
FB: Per prima cosa bisogna dire che l’85 per cento delle immagini che creiamo è pensato per concorsi di architettura indetti all’insegna di principi ben definiti. In altre parole, forniamo i nostri servizi solo se la comanda ha l’obiettivo di mettere in luce un’architettura di qualità, non accettiamo mandati che mirano a realizzare opere frutto di speculazioni edilizie.
Nel mondo dei concorsi, una «bella» immagine può certamente aiutare, ma sono fermamente convinto che a conquistare la giuria sia innanzitutto il progetto in quanto tale. Le immagini possono essere un valido supporto aggiuntivo, ma nella loro analisi gli esperti vanno ben al di là dell’apparenza che un’immagine può trasmettere.
Per quanto riguarda il ruolo che le immagini rivestono nell’architettura, posso dire che noi perseguiamo un obiettivo preciso, la nostra intenzione è quella di raccontare una storia.
Ciascun punto di vista è pensato e costruito per esprimere un’atmosfera ben definita, ma soprattutto per raccontare visivamente il progetto. Per trasmetterne il messaggio chiave. Non utilizziamo le immagini per descrivere un’opera, bensì per aiutare l’osservatore a «entrare dentro», a immergersi in un racconto architettonico preciso e ben delineato. E, giustamente, sono proprio le storie più avvincenti che riescono a costruire le immagini più affascinanti.
Ci sono architetti che si rivolgono a voi già in fase di progettazione e fanno appello alla vostra competenza visiva?
FB: Anche se le immagini sono sicuramente uno strumento progettuale, non siamo nella misura di poter co-costruire un progetto con gli architetti. Il lavoro di progettazione è molto più efficiente se svolto internamente, con i modelli in 3D o altro.
Per contro, il lavoro che possiamo offrire agli architetti è quello dello sguardo «fotografico». Questa competenza visiva è il nostro punto forte e anche ciò che rende così particolare il nostro approccio, nel ruolo di artigiani dell’immagine. Attraverso due o tre «scatti» dobbiamo riuscire a suggerire l’atmosfera che regna all’interno di una costruzione, per farlo sta a noi scegliere un punto di vista ben preciso, una particolare ambientazione, la luce giusta, insomma siamo noi a creare la messa in scena e a scegliere gli attori.
CL: Molto spesso i clienti che si rivolgono a noi e fanno capo ai nostri servizi sono proprio alla ricerca di questo sguardo esterno sul loro progetto. Ci lasciano la libertà di interpretare le loro idee secondo il nostro modo di vedere e tramite le immagini che creiamo.
I rendering che escono dal vostro studio hanno un’identità inconfondibile. Per riuscire a realizzare immagini così personali, avete delle regole che applicate ogni volta? Seguite degli iter precisi per riprodurre sempre quelle caratteristiche che rendono uniche le vostre immagini?
FB: Diversamente da altri artisti visivi che tentano di dissimulare al massimo la presenza fisica di un edificio, per noi il soggetto principale è, e resta, l'architettura. Le nostre immagini mettono in risalto l’opera in quanto tale. Questa nostra ostinazione nel voler rappresentare per prima cosa l’opera architettonica è giustificata dal grande rispetto che nutriamo per il lavoro svolto dagli architetti. Ed è proprio questo approccio che i nostri compagni architetti, a loro volta, apprezzano enormemente nel nostro lavoro.
Per quanto riguarda le regole… sì, seguiamo alcuni principi di base, come l’utilizzo di tre colori dominanti, le vedute frontali, le composizioni tripartite o il rapporto aureo. In linea generale, perseguiamo sempre un obiettivo: rendere il più possibile le nostre immagini calme e silenziose, trasmettendo però al contempo una grande forza evocativa.
Qualche anno fa, lavorava in uno studio di architettura ed ecco che ora, a sei o sette anni di distanza, dirige un’impresa che conta già dieci collaboratori ed è in piena espansione. È dunque preferibile scegliere la via della produzione grafica piuttosto che orientarsi verso la costruzione di edifici?
FB: Non è possibile porre sullo stesso piano e mettere a confronto il nostro lavoro di produttori di immagini virtuali con quello svolto da uno studio di architettura che realizza opere reali. Noi, facendo clic con il mouse, abbiamo il vantaggio di poter lavorare per il mondo intero, è una modalità che cambia in modo considerevole il raggio di azione.
Comunque, per controbattere a quelli che pensano che sia meglio darsi al rendering piuttosto che realizzare progetti architettonici vorrei dire una cosa molto semplice: nell’ambito di una procedura concorsuale, non bisogna dimenticare che noi siamo sempre e costantemente nella fase di «inoltro definitivo del progetto», con tutta la pressione mentale e le responsabilità professionali che fanno da corollario. Senza parlare poi degli aspetti economici e dello sforzo intellettuale legato a una produzione di questo tipo. Per riuscire a sopportare certi ritmi di lavoro ci vuole davvero tanta passione e bisogna anche fare diversi sacrifici. A volte capita che chi comincia a lavorare con noi si renda conto, dopo qualche mese, che fare l'«artista visivo» non sia poi così «divertente» e alla fine decida di lasciare la professione.
CL: Sembra facile, ma non bisogna trascurare il rischio che ci siamo assunti quando Filippo ha cominciato a ricevere più incarichi di quelli che riusciva a gestire. Inoltre, abbiamo dovuto lasciare la sicurezza finanziaria di cui godevamo in veste di dipendenti, ci siamo trasformati in imprenditori e ora formiamo persone che vogliono imparare il nostro metodo di lavoro.
FB: Avrei potuto accontentarmi di realizzare qualche rendering al mese, per alcuni architetti, però quando mi sono accorto che sempre più progettisti contavano sui nostri servizi, ho cominciato a sentirmi davvero onorato. Posso dire che è questa la sensazione che mi ha spinto a intraprendere questo percorso, con tutti i rischi ad esso legati, ed è la stessa che continua a ricompensarmi, oggi come allora, per tutti gli sforzi intrapresi.
Anche in ambito accademico si è sommersi di immagini. Pare insomma che l’insegnamento dell'architettura stia affrontando un fenomeno senza precedenti. Voi siete entrambi architetti. Quali consigli potete dare agli studenti che hanno scelto questa disciplina?
CL: Bisogna incoraggiare gli studenti ad analizzare l’opera completa di un autore anziché guardare 50 immagini di architetti diversi. Bisogna immergersi nelle caratteristiche di un certo progettista per capirne la natura e soprattutto per esplorare più in profondità la sua identità. Tutto sommato, questo lavoro di costruzione identitaria è lo stesso che cerchiamo di fare anche noi. Il consiglio che possiamo dare agli studenti è dunque quello di lavorare sull’identità di un autore, andando oltre la fugacità che caratterizza la maggior parte delle immagini che troviamo oggi pubblicate su Internet.
Anche se, da un lato, contribuiamo anche noi a creare questa valanga di immagini, mi piace pensare, per usare un’immagine di Enzo Cucchi, che l’architettura sia un corpo che ci calma, che ci orienta e che ci allontana dalle nostre paure. Con il nostro lavoro speriamo di produrre questo stesso effetto.
FB: Non ho veri e propri «consigli» da dare a chi studia architettura, ma c’è una cosa che, così spontaneamente, mi viene in mente di dire agli studenti: andate in biblioteca oppure, semplicemente, sfogliate un gran numero di libri! È importante che gli studenti si interessino all’opera completa di un autore e non si limitino a soffermarsi su qualche feticcio o a collezionare copie. La mia sola paura, con tutto questo bombardamento di immagini, è che si ritorni a un’epoca neo-eclettica, il che nuocerebbe molto alla nostra professione di architetti.
Quando il prodotto del nostro lavoro è legato al mondo dell’immagine, c’è una trappola in cui possiamo cadere: quella della sovra-comunicazione, dove tutto quello che viene prodotto è pubblicato fino alla saturazione. Per allontanarci da questa tendenza pubblichiamo raramente le nostre immagini, non abbiamo neanche un account Instagram o altre cose simili. A dire il vero lasciamo che siano gli architetti a rendere pubbliche le nostre immagini, in questo modo restiamo concentrati sul nostro lavoro e possiamo garantire risultati di qualità.
In termini di rappresentazione, a livello nazionale, sembra dominare il «fotorealismo». In veste di «pittore digitale», che cosa ne pensa dell’evoluzione che sta vivendo attualmente il settore delle immagini nell’ambito dell’architettura?
FB: Le immagini, e poco importa lo stile utilizzato per rappresentarle, esistono da centinaia di anni. Sono soprattutto le tecniche esecutive a essere in costante evoluzione. Certamente gli stili sono cambiati nel tempo e oggi potremmo dire di essere entrati in un’era orientata all’iperrealismo.
Questo a parte, le nostre immagini si ispirano a epoche e stili molto diversi tra loro. Mi riferisco, in particolare, alle rappresentazioni rinascimentali, per via delle loro cromie, degli studi prospettici e delle loro proporzioni perfette, ma anche ai collage di Mies van der Rohe oppure di Superstudio, per la loro espressività. Una cosa è certa: l’immagine, a prescindere dall’emergere di nuovi formati, come i video stereoscopici o le immersioni nella realtà virtuale, resterà sempre un modo per rappresentare il presente. Del resto, sarei davvero fiero e onorato se un giorno le nostre immagini potessero «fare scuola».
CL: Ho sempre di più la sensazione che questa percezione del futuro come di un mondo «ipertecnologico» non sia che un’illusione collettiva. Alcuni anni fa parlavamo di avatar e di ologrammi come di tecnologie che, da lì a poco, ci avrebbero sostituito. Eppure non è stato così e per una ragione ben evidente: l’essere umano si trasforma più lentamente della tecnologia. Per orientare il nostro approccio in questa direzione, il lavoro che portiamo avanti si focalizza sulla costruzione di una storia spaziale, in questo modo lo strumento di lavoro non riveste più veramente importanza.
Di che cosa si nutrono, se possiamo dire così, i rendering che escono dal vostro studio?
FB: Mi sono sempre immerso volentieri nel mondo delle belle arti. Già da piccolo disegnavo moltissimo ed è soprattutto questa passione che mi ha spinto a riorientarmi a livello professionale e a passare da architetto a produttore di immagini. Il disegno riunisce tutto ciò che amo di più nel mio lavoro: la composizione, le proporzioni, il chiaroscuro, i pieni contrapposti ai vuoti.
Il mio immaginario si nutre anche delle bellezze della quotidianità. Proprio come le esposizioni d’arte e di pittura, ciò che ci circonda è una fonte di ispirazione continua e inesauribile. Ragionando a mente fredda, mi accorgo che figure come Canaletto, Hopper e Picasso sono diventati, forse senza neanche volerlo, i miei modelli artistici.
Quindi la sua giornata tipo consiste nel vedere, rivedere e costruire atmosfere digitali? A fine giornata, riesce a lasciare il mondo virtuale e a rientrare in quello reale?
FB: Non è facile staccarsi da queste realtà parallele, ma diciamo che io e Clara cerchiamo soprattutto di riposarci, visto che il grado di concentrazione, organizzazione e sforzo mentale è davvero alto durante tutta la giornata. E poi, ovviamente, dedichiamo tutto il nostro tempo libero alla nostra figlioletta di un anno.
Quali differenze culturali o generazionali percepite nelle numerose collaborazioni che intrattenete in tutto il mondo?
FB: Da un lato lavoriamo sempre di più con team di progettisti giovani, pieni di energia e di entusiasmo nell’affrontare i concorsi. Dall’altro bisogna dire anche che, in questi ultimi anni, trattiamo soprattutto progetti di ampio respiro. Molto spesso, quando i progetti sono di dimensioni più contenute, sono infatti gli studi stessi a curare l’elaborazione dei rendering. Sia che si tratti di giovani architetti o di architetti di grande esperienza per noi non fa differenza. Trattiamo tutti nello stesso modo.
Per contro ci sono certamente differenze notevoli per quanto concerne le diverse culture architettoniche con le quali ci troviamo confrontati. Non è la stessa cosa se si lavora con un architetto svizzero oppure con un architetto americano, norvegese o giapponese. Condividiamo tutti una cultura comune, quella dell’architettura, ma all’interno di ciascun Paese, vi sono sottigliezze e sfumature che vanno prima colte e comprese per poi essere integrate nel prodotto finale sotto forma di immagine.
CL: Ci tengo inoltre a sottolineare che gli studi di progettazione della giovane generazione sono estremamente ben preparati, soprattutto in Svizzera. Sono squadre di lavoro che hanno i piedi ben piantati per terra, seri, con un’impeccabile organizzazione e un pragmatismo professionale davvero notevole. Gli impegni e le scadenze fissati nelle prime fasi del lavoro sono rispettati e ciò rende molto più fluidi gli scambi, generando una dinamica di lavoro più efficace. In generale, i rapporti di fiducia si costruiscono più rapidamente, il che si riflette poi nella resa grafica delle immagini che creiamo.
A parte l’espansione del vostro studio, avete altri progetti in vista?
CL: Abbiamo in programma di lanciare prossimamente una pubblicazione per parlare delle nostre collaborazioni e delle esperienze che abbiamo raccolto finora, affiancando architetti molto diversi tra loro. Non si tratterà di una pubblicazione per autopromuovere il nostro lavoro, cosa che facciamo raramente, bensì piuttosto di presentare il lavoro di altri attraverso le immagini che abbiamo realizzato per loro. Sarà anche un modo per parlare dell’universo dei concorsi, un meccanismo di produzione architettonica degno di nota e che vorremmo riuscire a promuovere ancora di più.
FB: Poi c’è un altro aspetto formidabile nel nostro lavoro: il fatto di intervenire in un momento così intenso come quello che caratterizza la presentazione di un progetto in ambito concorsuale. Con il nostro lavoro possiamo affiancare da vicino gli architetti lungo il percorso, intimo e personale, che porta alla nascita di una nuova creazione. Lo ripeto spesso ai miei collaboratori: abbiamo la straordinaria fortuna di collaborare, fianco a fianco, con i più grandi architetti contemporanei. E in tal senso siamo davvero privilegiati.
Tradotto dal francese da Patrizia Borsa, info [at] skarabeo.ch (info[at]skarabeo[dot]ch)
Selezione degli ultimi concorsi vinti 2020/2021 (titoli dei concorsi in lingua originale):
Juni 2020
Nuove stazioni della funivia Verdasio-Rasa (TI). Architettura: Francesco Buzzi
Juni 2020
Campus of the bundesbank’s central office, Frankfurt (Germania). Architettura: morger partner
Oktober 2020
DTB St. Gallen / Neubau Betriebsgebäude Direktion Technische Betriebe, St.Gallen (SG). Architettura: Durisch + Nolli
September 2020
Morgental Wetzikon, Zurich (ZH). Architettura: Hosoya Schaefer
Oktober 2020
Neubau HIC Campus Hönggerberg, Zürich (ZH). Architettura: Buchner Bründler
Januar 2021
Bahnhofsareal Bremgarten, Argovie (AG). Architettura: Schneider & Schneider
November 2020
Technical and logistics center, Sierre (VS). Architettura: Sylla Widnmann
März 2021
Stöckacker Nord – Meienegg, Bern (BE). Architettura: Huggenbergerfries
November 2020
Theaterstrasse 12, Zurich (ZH). Architettura: Jessenvollenweider
Dezember 2020
Biopôle à Lausanne (VD). Architettura: Architram
Januar 2021
Réaménagement des espaces publics pôle Cornavin, Place Montbrillant, Genève (GE). Monnier Architecture du Paysage + Giorgis & Rodriguez Architectes
Dezember 2020
CPT Chiasso (TI). Architettura : Boltas Bianchi
April 2021
Bahnhof Herrliberg-Feldmeilen, Zurich (ZH). Architettura: Hosoya Schaefer Architects AG
April 2021
Extension du musée MACBA, Barcelona. (Spagna). Architettura: Christ & Gantenbein
Juni 2021
Universität Zürich, Campus Irchel - Neubau Laborprovisorium Functional Genomics Center Zürich. (ZH) Concorso di prestazioni globali. Architettura: Sam Architekten
März 2021
Clinique bois cerf à Lausanne (VD). Architettura: meier + associés architectes
Juli 2021
Neubau Sozialversicherungsgericht, Winterthur (ZH). Architettura: Zimmer Schmidt
Juni 2021
Extension et transformation de l'Hôpital d'Yverdon-les-Bains (VD). Architettura: Ferrari Architectes
Mai 2021
Stadthafen Rostock (Germania). Architettura: Holzer Kobler
Mai 2021
Construction d'un immeuble pour seniors, Anières (GE). Architettura: Cathrin Trebeljahr
April 2021
Deux îlots de logements, crèche et activités de quartier, Plan-les-Ouates (GE). Architettura: Sylla Widmann
Juli 2021
GISA residential building, Affoltern, Zurich (ZH). Architettura: Masswerk
Mai 2021
Zollgebäude St. Margrethen, Saint-Gallen (SG). Architettura: Schneider & Schneider
Juli 2021
Lido weggis ersatzneubau hallenbad, Luzern (LU). Architettura: Marques Architekten
August 2021
Collège à Pully (VD). Architettura: Itten+Brechbühl AG
September 2021
Kunstmuseum Olten und Wohn- und Geschäftshaus, Soleure (SO). Architettura: Buchner Bründler Architekten