Ar­chi­tetto nell’om­bra Franco Pes­sina (1933 – 2021)

Date de publication
23-12-2021
Luca Ortelli
Architetto, professore al Politecnico Federale di Losanna

Con Franco Pessina se ne va un’altra «figura importante del mondo dell’architettura svizzera». Con queste parole si apriva il ricordo che la RSI gli ha dedicato lo scorso 13 dicembre, arricchito dai commenti sapienti di Nicola Navone. Per scelta, più che per destino, Franco Pessina non è stato un protagonista bensì un essenziale comprimario di quella eccezionale stagione che ha reso celebre l’architettura del Ticino.

Pessina ha attraversato sette decenni di pratica professionale dapprima come titolare di un proprio studio, poi come associato di Mario Campi e Niki Piazzoli. Le opere realizzate dal sodalizio dei tre, la cui composizione varierà negli anni, sono note: la casa Filippini a Muzzano del 1968, il restauro del Castello di Montebello a Bellinzona del 1974 e la chiesa della Madonna di Fatima a San Vittore del 1988 segnano gli estremi di una ricerca variegata e il passaggio da un’architettura ispirata da echi wrightiani e dalle esperienze scarpiane, a una visione meno materica e improntata a un controllo severo della geometria. Il nitido razionalismo di casa Felder a Lugano (1978) e la successiva adesione ai canoni della cosiddetta architettura postmoderna hanno determinato una sorta di ostracismo nei confronti di Campi & Pessina da parte dei più noti protagonisti dell’architettura ticinese (questo «nodo» attende ancora di essere affrontato in sede critica). La casa Maggi ad Arosio (1980), la palestra di Neggio (1981) e la già citata chiesa di San Vittore ben rappresentano questa fase della loro produzione in cui la declinazione di volumi elementari si configura come estrema riduzione di forme e figure desunte dalla storia.

Da più di vent’anni, Franco Pessina aveva uno studio in proprio e si dedicava con la dedizione di sempre ai suoi progetti, il principale dei quali è il restauro della Cattedrale di Lugano, terminato nel 2017, sorta di autoritratto dell’architetto e dell’uomo: attento, discreto, preciso, misurato e sobrio. In questo senso vanno interpretati gli elementi introdotti nell’area presbiteriale. Altare, cattedra e ambone in pietra di Saltrio sono caratterizzati dall’estrema sobrietà delle linee, non tanto per il desiderio di introdurre accenti moderni in un ambiente ricco di storia, quanto per evitare che i nuovi elementi contrastassero con il carattere generale della cattedrale e ne compromettessero l’equilibrio.

Nicola Navone ha ricordato «la precisione del disegno del dettaglio costruttivo» di Franco Pessina. Di questo suo talento sono stato testimone nell’ambito dell’indimenticabile Lehrstuhl di cui era responsabile Fabio Reinhart al Politecnico di Zurigo, nei primi anni ‘80. Franco e io ne eravamo gli assistenti, insieme a Miroslav Šik e, per un breve periodo, Santiago Calatrava. Gli studenti avevano immediatamente capito che per risolvere i problemi costruttivi ci si doveva rivolgere a quell’architetto ticinese un po’ schivo e così elegantemente riservato. E lui trovava sempre la soluzione più adeguata e giusta.

Al di là delle ore dedicate all’insegnamento, questa esperienza mi ha portato a condividere con Franco i viaggi in treno, la domenica sera. Ci si dava appuntamento al vagone ristorante e per tutta la durata del viaggio si parlava degli argomenti più diversi, più spesso di letteratura che di architettura. Ho avuto così l’opportunità di conoscere un uomo che aveva fatto della pacatezza una regola di vita e di lavoro.