«You must ab­so­lut­e­ly build a house in the Bre­ga­glia»

Habitat e abitanti della Bregaglia

Spesso genericamente associata al nome di Alberto Giacometti, la Val Bregaglia sembra rappresentare per il turista medio solamente un passaggio obbligato per risalire il Maloja e recarsi a godere le bellezze paesaggistiche e culturali offerte dalla vicina Engadina.

Publikationsdatum
27-02-2017
Revision
27-02-2017

L’ampio e certamente più ameno altopiano engadinese, contraddistinto da un imprimatur artistico straordinario e un favoloso jet set, sembra costituire una sorta di controcanto al solco ruvido e profondo della Val Bregaglia. «Il leggiadro e serio carattere collinoso, lacustre e selvoso di quest’altopiano»1 è sempre apparso ai viaggiatori in drammatico contrasto con il precipizio che si spalanca al di là del Maloja, «probabilmente la discesa in Italia più brusca e insieme quella che tocca di più la sensibilità e la vitalità», come ebbe a definirla Ernst Bloch.2 Non deve stupire dunque se la fama dell’Engadina, anche in virtù delle proprie bellezze paesaggistiche, abbia sempre superato di gran lunga quella della Bregaglia, anche quale meta turistica: questa popolarità è stata ulteriormente accresciuta dalla notorietà di cui godono, a livello internazionale, le personalità artistiche che vi soggiornavano, mentre la Bregaglia viene spesso laconicamente ricordata solo come «la patria di Alberto Giacometti».

Eppure a livello geografico la Bregaglia rappresenta un unicum: estendendosi dal lago di Sils fino alle porte di Chiavenna, si colloca a ridosso di quel triplice spartiacque che, pure a livello culturale, ha determinato la fisionomia del cuore dell’Europa, identificando questa vallata quale luogo di transizione e di parziale sedimentazione d’influenze multiculturali.

Personalmente trovo particolarmente stuzzicante il fatto che la Bregaglia, a seconda del background culturale di chi la percorre, possa apparire tetra e glaciale, oppure un sorridente preludio del Meridione latino: se il cancelliere bernese Gottlieb Sigmund Gruner trovava la Bregaglia una «spaventevole regione (...), le cui cavità sono inzeppate di orribili carichi di ghiaccio e di neve»,3 il parroco engadinese Ernst Lechner gioiva invece della «rigogliosa vegetazione arborea (...) fichi, peschi, fiori appartenenti alla flora del mezzogiorno – farfalle e scorpioni vestiti di splendidi colori (...)» che annunciavano «al viandante di trovarsi alle soglie dell’Italia».4 La valle di Bregaglia è ancora suddivisa in due parti –  Sopraporta e Sottoporta – dalla barriera fortificata costruita in tempi remoti a Promontogno, laggiù dove la Maira (il torrente di valle) si strozza in un canyon profondo. Territorialmente, queste due aree risultano polarizzate in senso opposto: Sottoporta, comprendendo i comuni di Bondo, Soglio e Castasegna, subisce maggiormente il clima meteorologico e culturale della vicina Italia; Sopraporta, con i comuni di Vicosoprano, Casaccia e Stampa, è davvero terra di confine, e risente maggiormente della cultura di matrice germanica della vicina Engadina. Così anche le famiglie notabili che hanno fatto la storia politica della Bregaglia: i Castelmur, i Prevosti e gli Stampa dominavano l’alta valle ed erano tradizionalmente alleati con il principe-vescovo di Coira; i Salis risiedevano a Soglio e Bondo, appoggiando volentieri le rivendicazioni del vescovo di Como prima, dei Visconti e degli Sforza poi.

Questa alternanza ondivaga di elementi culturali nordici o meridionali sembra percorrere anche la storia economica e sociale della vallata: ricordo una frase, forse di Ernst Scheidegger, che identifica Chiavenna quale «capitale segreta della Bregaglia». I borghi di valle infatti non potevano rivaleggiare in termini di ricchezza e densità di popolazione con il capoluogo valchiavennasco, che oltretutto vantava fiorenti industrie e un vivace artigianato locale, e quindi non di rado i traffici mercantili che attraversavano la Bregaglia trovavano quale hub preferenziale proprio Chiavenna, decentrando l’asse economico a favore della Valchiavenna. Non è quindi un caso che in Bregaglia, nonostante l’introduzione della Riforma (pare già dal 1529), l’italiano avesse preso il posto del tedesco come lingua della Chiesa e dell’amministrazione: questo accadeva anche in ragione del fatto che numerosi ministri riformati – uno tra tutti, Michelangelo Florio – provenissero dall’Italia, oltre ovviamente al fatto innegabile che rifiutare il tedesco significava, per le autonomie locali, allontanarsi di fatto dal controllo del vescovo di Coira. Ancora, dai resoconti di viaggio ottocenteschi emerge spesso come il tipico bregagliotto sembri assommare fisionomie e temperamenti certamente latini a una moralità e un carattere tipicamente svizzero.

Il passato è tutt’ora presente nella Bregaglia contemporanea. Infatti solo nel 2010 è avvenuta la fusione dei cinque antichi comuni della valle – Castasegna, Bondo, Soglio, Stampa e Vicosoprano – in un’unica entità giuridica, annullando di fatto la supremazia giurisdizionale dei borghi maggiori (Soglio e Vicosoprano) a favore di una redistribuzione più equa dei diritti e delle autonomie. Anche il destino dell’immigrazione percorre trasversalmente la storia del territorio giungendo all’oggi: fin dal Quattrocento vengono registrate forti ondate migratorie che portavano i bregagliotti a intraprendere attività commerciali in tutta Europa, gestendo pasticcerie, drogherie o caffè, senza dimenticare il celebre cabaret parigino Le Chat Noir, fondato nel 1881 dall’oriundo Rodolphe Salis. Questo fenomeno non era causato solamente dalla povertà diffusa, ma era dettato anche dal bisogno di sottrarsi al severo controllo sociale, ai duri lavori nei campi o dell’allevamento, alla limitatezza delle scarse risorse agricole in rapporto a una situazione demografica di sovrappopolamento. Quest’ultimo dato appare davvero sorprendente oggigiorno, se si pensa che il borgo di Soglio (tra l’altro insignito nel 2015 del titolo di «più bel villaggio della Svizzera») contava nel 1801 408 abitanti, mentre ora è abitato stabilmente da sole 114 persone: un trend negativo che interessa peraltro tutta la vallata.

La depressione demografica della Bregaglia – che è caratteristica di numerose regioni dell’area alpina – viene parzialmente compensata dal massiccio flusso turistico (e relativo indotto economico) dei mesi estivi, e generalmente si esaurisce quando i magnifici castagneti del versante solivo abbandonano al suolo le loro livree dorate e brune. L’offerta alberghiera non è particolarmente variegata ma spesso di grande qualità, e certamente costituisce un introito rilevante nell’economia di valle: basti pensare all’eclettico Hotel Bregaglia di Promontogno (progettato dal celebre architetto Sottovia nel 1875) oppure la settecentesca Casa Battista a Soglio, dove usavano soggiornare, tra gli altri, Giovanni Segantini e Rainer Maria Rilke. 

Da giugno in poi francesi, tedeschi, anglosassoni, italiani e anche giapponesi si riversano nelle tranquille vie acciottolate di Soglio, Bondo e Vicosoprano; i più arditi tentano ascese verso lo spigolo nord del Badile; gli amanti della natura vagabondano per boschi e alpeggi di media montagna, raccogliendo fiori selvatici e ammirando i graniti perlacei e i ghiacci della Bondasca. Si tratta soprattutto di turisti di mezza età o addirittura anziani, di amanti della montagna, e non di rado anche di artisti o intellettuali, venuti in valle sulle orme dei grandi che li hanno preceduti: Varlin, Max Ernst, Balthus, Friedrich Dürrenmatt, Ferdinand Hodler, Cuno Amiet,  Nietzsche… Spesso la Bregaglia diventa il buen ritiro per spiriti eletti o ritenuti tali, come già Capalbio in Toscana o Montemarcello in Liguria: evidentemente la severa pensosità del suo paesaggio spinge a elucubrazioni assorte e creative.

Poi in autunno, quando ombre lunghe e cerulee iniziano a riempire gli anfratti tra le rocce, la valle nuovamente si svuota e ripiomba nel silenzio. È la stessa stagione in cui Alberto Giacometti, nato il 10 ottobre 1901 proprio a Stampa in Bregaglia, usava ritornare a casa dalla madre Annetta, ormai anziana: pur avendo eletto Parigi sua patria adottiva, Alberto tornava in valle ogni autunno, «quando quella lunga crepa nella roccia, dove erano incastrate anche le case di Stampa come efflorescenze minerali, si inzuppava di penombra e (…) la signoria delle vette di granito, con i loro schianti e le loro rovine, imponeva all’universo l’austerità geologica e cosmica del grigio».5

Proprio il 16 ottobre 2016 si è chiusa la retrospettiva dedicata ad Alberto Giacometti, presso il Museo Ciäsa Granda e l’Atelier Giacometti di Stampa, per i 50 anni dalla morte dell’artista. Questa mostra è solo un esempio delle numerose iniziative culturali organizzate in Bregaglia durante la stagione turistica: un’offerta relativamente ricca in rapporto all’estensione e alla densità demografica della regione, di soli 251,45 km² per una popolazione stimata, nel 2013, di circa 1.564 residenti effettivi. I momenti di incontro culturale offerti dalla valle sono perlopiù organizzati e sostenuti da numerose associazioni e società ufficiali non lucrative presenti sul territorio, tra le quali vale per lo meno la pena di annoverare la Società Culturale di Bregaglia, sezione della Pro Grigioni Italiano, la cui mission è la salvaguardia e la promozione della cultura locale e regionale attraverso manifestazioni e iniziative sul territorio a carattere socio-culturale. L’impressione è che la Bregaglia di oggi sia una sorta di curioso ecosistema culturale da difendere e tutelare, anche attraverso robusti incentivi economici di cui si fa carico indirettamente il Canton Grigioni, cui la valle a livello amministrativo appartiene. Anche nel 2016 il Governo grigione ha infatti approvato un accordo di prestazioni con l’Ufficio federale della cultura per il periodo 2017-2020, che prevede contributi per un importo complessivo di circa 21,2 milioni di franchi. In cambio, il Cantone deve adottare misure volte a salvaguardare e a promuovere la lingua e la cultura romancia e italiana, sostenere organizzazioni e istituzioni attive in questo settore, promuovere l’attività editoriale ed erogare aiuti finanziari per la salvaguardia e la promozione della lingua italiana nei media. Questo piano strategico coinvolge le organizzazioni linguistiche – Lia Rumantscha e Pro Grigioni Italiano, l’ Agentura da Novitads Rumantscha –, riguardando anche le misure di salvaguardia e di promozione delle lingue adottate autonomamente dal Cantone.

Inizialmente popolata dai Celti e, forse, dagli Etruschi, la Bregaglia divenne in seguito uno snodo nevralgico della rete viaria romana, poiché attraverso il Maloja e il passo del Giulia (oggi Julierpass) o, in alternativa, attraverso il passo del Settimo (Septimerpass), merci e persone potevano raggiungere agevolmente la dorsale della catena alpina e da lì scendere fino ai territori del bacino del Reno e del Danubio. Si potrebbe affermare che da allora la situazione non è drasticamente cambiata, poiché la Bregaglia è attualmente collegata all’Engadina e alla Valchiavenna dalla sola strada cantonale n. 3: per far fronte all’aumento (modesto) del traffico automobilistico, già nel 1960 Vicosoprano si era dotata di una circonvallazione, imitata nel 1975, 1991 e 2003 da Borgonovo, Promontogno e Castasegna. In valle, diversamente dall’Engadina, non esistono aeroporti, e le stazioni ferroviarie più vicine sono Chiavenna, gestita da Trenord, e St. Moritz, gestita dalla Ferrovia retica: per raggiungere la valle occorre quindi montare sui pittoreschi autobus gialli de La Posta svizzera, sperando di non soffrire il mal d’auto e i tornanti. In realtà un progetto di collegamento ferroviario tra la Valtellina e l’Engadina, via Bregaglia, era già stato valutato e poi accantonato dal Governo federale svizzero a metà Ottocento: la linea ferroviaria, a scartamento ridotto, avrebbe dovuto collegare Coira – la capitale del Canton Grigioni – a Chiavenna, approfittando della modesta altitudine del passo del Maloja (1815 m slm), passando per Thusis, Tiefencastel e l’Oberhalbstein. Nel 1910, con l’inaugurazione della linea del Bernina (il celebre «trenino rosso»), il Cantone perdeva definitivamente l’interesse per il progetto, in primis perché questa già garantiva un collegamento con l’Italia tramite la Val Poschiavo, ma anche per la difficoltà a rifornire d’energia un’eventuale linea ferroviaria elettrificata. Solo a metà Novecento si è avuto in Bregaglia un periodo di espansione economica legato al settore energetico: nel giro di pochi anni veniva realizzato il lago artificiale dell’Albigna, sopra Vicosoprano, grazie a una diga di sbarramento alta 115 metri, seguita dalla costruzione di 5 centrali idroelettriche, 2 complessi residenziali per i dipendenti e un nuovo ospedale. Recentemente il complesso dell’Albigna, realizzato dalla società elettrica di Zurigo nel 1955-1959, è stato oggetto di riqualificazione architettonica da parte dello studio di architetti bregagliotti Alder Clavuot Nunzi, che ha curato il restyling della funivia che da Pranzaira porta alla diga, superando un dislivello di quasi 1000 metri. Quasi in contemporanea, una doppia mostra – L’Albigna di Emil Zbinden al Museo Ciäsa Granda e Una giornata sull’Albigna di Urs Beyeler presso la Galleria Il Salice di Castasegna – ha celebrato i sessant’anni della costruzione della diga, attraverso la grafica d’arte e la fotografia di reportage. Certamente suggestiva per dimensioni e posizione, quest’opera di alta ingegneria ha ispirato anche l’architetto bregagliotto Armando Ruinelli, che afferma di aver ripreso, nei suoi calcestruzzi battuti, l’andamento delle linee isobariche di sedimentazione delle acque del bacino.

La spinta economica che a metà del secolo scorso ha dinamizzato la valle si era manifestata non solo a livello d’ingegneria del territorio ma anche attraverso temi architettonici, quando l’architetto bregagliotto naturalizzato zurighese Bruno Giacometti (fratello del più celebre Alberto) veniva chiamato a progettare nuovi alloggi per i lavoratori, tra gli antichi castagneti di Brentan presso Castasegna, non lontano dal confine italiano. Si tratta di un insediamento di sapore modernista, costruito intenzionalmente a una certa distanza da nuclei urbani storici per smorzarne l’impatto ambientale e consentirne un’articolazione più libera, rispondente agli ideali urbanistici della città ricca di verde, articolata e non monotona.

Tralasciando questa parentesi moderna – breve ma significativa – l’architettura vernacolare bregagliotta sembra generalmente rientrare nei parametri tipologici legati all’ economia agropastorale medio-alpina. La coltura del castagno, introdotta dai Romani, insieme alla pax, già nel I secolo d.C., e quella della vite affiancavano e integravano infatti la magra pastorizia alpestre. L’andamento insediativo degli abitati storici appare abbastanza denso, sostanzialmente privo di episodi urbanistici contemporanei brutalizzanti ed eccessivamente invasivi, e tendenzialmente omogeneo nelle sue caratteristiche rurali: fanno eccezione alcune emergenze architettoniche di carattere gentilizio presenti a Vicosoprano e particolarmente a Soglio, dove il volume globale del complesso palaziale rinascimentale della famiglia Salis emerge poderoso dalla trama del borgo rurale. Anche la chiesa di San Gaudenzio a Casaccia – oggi ancora in rovina dall’epoca della profanazione cinquecentesca perpetrata dai riformati – appare un unicum di forme tardogotiche, rappresentando un prezioso indizio della sopravvivenza di quella «penetrazione spirituale puramente germanica»6 lungamente e accanitamente osteggiata dai valligiani. In questa breve panoramica di peculiarità architettoniche occorre per lo meno ricordare Villa Garbald, costruita nel 1862 (e rinnovata nel 2004 dagli architetti Miller & Maranta) a Castasegna per il funzionario di dogana Agostino Garbald dal celebre architetto amburghese Gottfried Semper, e naturalmente Palazzo Salis a Bondo. Palazzo Salis nasceva dal capriccio della nobildonna inglese Mary Fane – moglie dell’inviato britannico presso le Tre Leghe Girolamo Salis (nato nei Grigioni ma naturalizzato inglese) – la quale, non sopportando la rigidezza del clima e l’ambiente provinciale di Coira, aveva seccamente indicato al marito di trasferire la propria residenza a sud delle Alpi, il più vicino possibile al sole dell’Italia. «If you are risolved to stay here, you must absolutely build a house in the Bregaglia», scriveva nel 1759 al marito l’ostinata contessa inglese, e già nel 1766 Girolamo si rassegnava ad avviare i lavori per la costruzione dell’unica villa settecentesca su territorio grigione. Nonostante i contesti ambientali diversissimi, il sobrio edificio di gusto italiano appare per certi versi cugino di certe tenute inglesi tardobarocche e neopalladiane: realmente straniante è l’effetto della contrapposizione tra la colta cifra architettonica e il selvaggio ambiente circostante, caratterizzato da distese prative e meli selvatici, dominato dalle ombre lugubri del massiccio della Bondasca.

Palazzo Salis, per me, simboleggia ed esprime l’ineffabile fascino champêtre della Bregaglia, dove genuinamente si fondono ancora oggi ruralità, natura e arte.

Note

  1. L. Bonesio, Engadina e Bregaglia paesaggi dell’anima, in «Notiziario della Banca Popolare di Sondrio», 99, dicembre 2005, p. 103.

  2. E. Bloch, Da Maloja a Chiavenna, in «Notiziario della Banca Popolare di Sondrio», 102, dicembre 2006, p. 104.

  3. G.S. Gruner, Reisen durch die merkwürdigsten Gegeden Helvetien. Zweyter Teil, London 1778, p. 174.

  4. E. Lechner, Das Thal Bergell (Bregaglia) in Graubunden. Natur, Sage, Geschichte, Volk, Sprache etc. nebst Wanderungen, Leipzig 1874, p. 31.

  5. P. Bellasi, Il sogno che urla e comanda. Metafora di una valle delle Alpi, in I Giacometti. La valle, il mondo, Milano 2000, p. 32.

  6. G. Segantini, La Bregaglia, in «Quaderni Grigioni Italiani», anno V, n. I, ottobre 1936, p. 5.

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