Le ca­se sem­pli­ci so­no du­re­vo­li ed eco­no­mic­he

Di quanta tecnologia ha bisogno una casa? In occasione del convegno SIA Low-Tech I No-Tech, tenutosi a Brugg, si è riflettuto su alcuni mirabili esempi di edifici costruiti con pochissima tecnologia.

Publikationsdatum
21-02-2018
Revision
28-03-2018

La casa di Martin Rauch, esperto di costruzioni in argilla, è un esempio estremo. L’edificio è stato infatti realizzato con una mistura di argilla e marna, reperita direttamente sul luogo di costruzione, nella regione austriaca del Voralberg, ai margini della Valle del Reno. La casa nasce insomma direttamente dalla terra. Al materiale autoctono è stato aggiunto un unico ingrediente: un’attenta e accurata lavorazione. Qui sostanzialmente si è trattato soprattutto di dare meccanicamente la giusta densità e forma, decidendo di rinunciare a fondamenta in calcestruzzo e a un’impermeabilizzazione laterale dell’edificio. Sono stati usati materiali da costruzione moderni soltanto per le rifiniture interne. Per l’isolazione è stata impiegata la canna palustre, il legno necessario è stato invece preso dai boschi circostanti. I muri esterni, spessi 45 cm, sono in argilla grezza. Il processo di erosione è ammesso, ma naturalmente ben calcolato.

Le oltre trecento persone presenti al convegno, tenutosi nell’auditorio della Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale (FHNW) di Brugg, hanno ascoltato assorte la presentazione del committente Martin Rauch e del suo architetto Roger Boltshauser. Certamente più di uno dei presenti si sarà chiesto: «Ma terrà? Si può davvero costruire così?». Eppure, allo scetticismo si è mescolata sempre più una sensazione di stupore di fronte alla possibilità di detecnicizzare. Durante il convegno Low-Tech I No-Tech, promosso e organizzato dai gruppi professionali Tecnica e Architettura, si è riflettuto proprio su questa domanda: ma un edificio di quanta (o quanto poca) tecnologia ha effettivamente bisogno per adempiere le proprie funzioni in modo sostenibile?

La complessità è... di casa

La sala dell’auditorio era gremita. L’eco suscitata dall’evento dimostra quanto il tema sia di scottante attualità tra i progettisti, e in particolar modo tra gli architetti. Dagli anni Novanta, ovvero da quando l’aspetto dell’efficienza energetica ha acquistato un’importanza via via crescente, i professionisti del ramo si vedono sempre più messi a confronto con una tecnicizzazione dell’architettura. Tale aspetto riveste un ruolo preminente, sottomettendo la progettazione al raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica. Le case si trasformano insomma in una sorta di macchine di risparmio energetico. «Oggi, quando entro in uno studio di architettura, vedo gli architetti trasalire. È come se mi portassi appresso la complessità», esclama il presidente del gruppo professionale Tecnica, toccando il punto dolente.

Più onore alle soluzioni snelle

La questione va tuttavia oltre i sentimenti di nostalgia e il desiderio di un ritorno all’essenziale. Il fatto di chiedersi quanto o quanto poco una casa debba essere tecnicizzata è un aspetto politico-professionale. Adrian Altenburger, che dirige il ciclo di studi in tecnica impiantistica presso la Scuola universitaria professionale di Lucerna (HSLU), ricorda che il modello tariffario in uso (e con esso anche gli RPO della SIA) non lascia pressoché alcuna possibilità di rendere il giusto onore a una tecnica impiantistica più snella. Bisognerebbe chiarire insomma in che modo il lavoro concettuale svolto dai progettisti tecnici per permettere di ridurre i costi di costruzione e di esercizio possa essere in futuro più intelligentemente ricompensato. Per esempio accordando una retribuzione dipendente dai costi legati al ciclo di vita. In questo contesto sarebbe pensabile anche una regolamentazione basata su un benchmark di premi per i progettisti. Grazie a una tecnica più snella e a eleganti soluzioni globali, essi sono infatti in grado di far risparmiare il committente, riducendo costi operativi e di manutenzione.

Si è rivelata valida l’idea del convegno, ovvero quella di far presentare in coppia i quattro esempi presi come riferimento: prima la parola è stata data agli architetti che hanno presentato il mandato e il concetto architettonico, poi i progettisti tecnici hanno illustrato sfide e rispettive soluzioni.

Molte strade portano a Roma

Gli esempi presentati mostrano diverse possibili vie per realizzare edifici a basso consumo, senza ricorrere a un elevato grado di tecnicizzazione. Lo stabile commerciale 2226, realizzato dallo studio Baumschlager Eberle Architekten a Lustenau (sempre nel Vorarlberg) nasce da un connubio tra spessi muri di mattoni ad alta isolazione termica e finestre con una superficie ridotta del 25%, ventilazione meccanica controllata, schermatura solare e un software che tiene sotto controllo l’edificio, senza ricorrere al riscaldamento o a un sistema automatico di raffreddamento e ventilazione. Il «2226» rappresenta la massima oscillazione di temperatura che si può avere all’interno dell’edificio. In questi tre anni, da quando l’edificio è stato realizzato, le divergenze dai calcoli dei tecnici impiantisti sono state minime. Il progetto realizzato congiuntamente, in ambito concorsuale, dagli architetti Schneider Studer Primas e dallo studio di progettazione Waldhauser + Hermann per l’edificio scolastico Wallrüti di Winterthur ha puntato invece sul concetto di «sufficienza». Ciò che più salta all’occhio in questo progetto vincitore è la pianta dell’edificio: lo stabile scolastico, alto tre piani, non ha praticamente più nessuna area di traffico. Le 28 aule, gli spazi dedicati ai docenti e i locali accessori costituiscono una compatta rete di utenza, raggiungibile attraverso un corridoio comune protetto da un secondo involucro. Ogni aula scolastica ha così accesso diretto agli spazi esterni.

I concetti di costruzione low-tec renderanno allora presto superfluo l’intervento dei tecnici impiantisti? Werner Binotto, a capo del servizio cantonale delle costruzioni di San Gallo non teme nessuna evoluzione in tal senso. Basti pensare che già soltanto per gli edifici pubblici del Cantone di San Gallo si preannunciano per i prossimi 20-30 anni spese di manutenzione attorno agli 800 milioni di franchi. Inoltre, soltanto in due edifici cantonali, sui sette resi operativi negli ultimi tempi, i sistemi tecnici funzionano senza intoppi. Gli esperti di tecnica impiantistica continueranno insomma ad avere parecchio da fare anche in futuro.

Nel contempo, i quattro esempi di buona pratica presentati durante il convegno hanno messo in luce come, proprio per la realizzazione di edifici low-tech, i progettisti tecnici siano partner indispensabili, purché condividano con gli architetti l’obiettivo di una tecnica impiantistica snella, all’insegna della sostenibilità.

«Le case semplici sono intelligenti, molto più di quanto lo siano quelle tecnicizzate», afferma convinto Werner Binotto.

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