Le ar­chi­tet­tu­re per il Fes­ti­val del Film di Lo­car­no 1946-2018

La trasformazione di una piccola cittadina ticinese in palcoscenico internazionale del cinema presuppone un complesso lavoro economico, gestionale e – non da ultimo – culturale. Specie se essa è repentina e temporanea. Tra le tante necessità, indispensabile è ovviamente la disponibilità di adeguate strutture ricettive: tema che per Locarno è divenuto – soprattutto dalla fine degli anni Sessanta – un nodo gordiano difficile da sciogliere e in continuo assestamento.

Publikationsdatum
26-07-2018
Revision
30-07-2018

Nei suoi oltre settant’anni di vita, infatti, gli spazi del Festival del Film di Locarno sono stati variabili quanto i suoi approcci culturali, l’affluenza di pubblico, le disponibilità finanziarie e i cambiamenti della società, dimostrandosi talvolta fantastici – almeno sotto alcuni aspetti – ma spesso anche imperfetti, caotici e precari.

Il tentativo di questo testo è di fare ordine tra i tanti luoghi che hanno ospitato – o avrebbero dovuto ospitare – il Festival dal 1946 a oggi. Si tratta di spazi concreti e progetti irrealizzati, che nel loro insieme restituiscono i poli opposti e complementari tra cui si muove questo particolare fenomeno urbano e culturale: provincialismo e internazionalità, tempi antichi e moderni, élite intellettuale e grande pubblico, permanente ed effimero, reversibilità e durata, progettazione e improvvisazione. Come fonte si è utilizzato innanzitutto l’Archivio del Festival di Locarno, oggi depositato presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino a Bellinzona, oltre alle testimonianze di vari protagonisti.1 Mancheranno molti episodi e molte versioni, ci saranno imprecisioni: si spera tuttavia che le seguenti righe possano servire come appunti per una più ampia riflessione sugli aspetti architettonici e urbani di un evento nato per caso e divenuto immancabile.

1946-1967: il Festival al Grande Albergo

Il Festival di Locarno nasce da un progetto mancato. Nel giugno 1946, infatti, si sarebbe dovuto tenere a Lugano un evento simile, per ospitare la Rassegna internazionale del Film, ma i cittadini rifiutarono la spesa per la realizzazione di un teatro all’interno del Parco Ciani, dedicato a spettacoli serali.2 Grazie all’intraprendenza di alcuni personaggi – tra cui André Mondini (direttore delle sale Kursaal, Pax e Rialto), il distributore della Sefifilm Lugano Giuseppe Padlina, il presidente della Pro Locarno Camillo Beretta e il direttore dello stesso ente Riccardo Bolla – Locarno colse l’occasione, e riuscì in pochi mesi a predisporre uno spazio adeguato alle proiezioni serali nel parco del Grand Hôtel Locarno, edificio progettato nel 1866 da Francesco Galli e realizzato nel decennio successivo. La scelta della location, con la sua atmosfera fastosa da Belle Epoque, dimostrava il fine turistico della kermesse, che ovviamente sperava di attirare molti visitatori.

La prima edizione, dal 22 agosto al 1° settembre 1946, fu mitica: vennero ad esempio proiettati – in anticipo su Cannes e Venezia – Roma, città aperta di Rossellini e Ivan il Terribile di Ėjzenštejn, su uno degli schermi più grandi d’Europa per proiezioni en plein air (8 x 7 metri, divenuti 9,10 x 6,85 m nel 1949). Il parco poteva contenere 1.200 posti, prima su panche senza schienale, più avanti su sedie. Le proiezioni diurne erano invece ospitate nelle tre piccole sale cittadine.

Le strutture provvisorie, tra cui lo schermo e gli spazi d’ingresso al parco del Grand Hôtel, furono disegnati dall’architetto ticinese Oreste Pisenti, il quale figurava anche tra gli organizzatori della rassegna.3 Da segnalare, in queste prime edizioni, è anche l’allestimento di elementi grafici in giro per la città, come i 19 ritratti ingigantiti delle star del cinema esposti nel 1947 davanti ai giardini del Grand Hôtel, sui portici di via Stazione.

La formula del festival estivo all’aperto rimase in vigore fino al 1966-1967, quando ragioni economiche – l’aumento del canone d’affitto, legato anche a nuovi progetti per il parco che la direzione dell’albergo aveva in mente – fecero cessare la collaborazione. Inizierà uno dei periodi più interessanti della storia del Festival dal punto di vista intellettuale e politico, sotto la direzione di Sandro Bianconi e Freddy Buache.4 Dal punto di vista architettonico, tuttavia, questa parentesi vide un Festival spazialmente introverso: le proiezioni si tennero infatti nella (poco aggiornata) sala del Kursaal. Tale modalità di fruizione era programmatica, dal momento che – come sostenne Buache – «le serate all’aperto intralciavano lo sviluppo armonioso dei nostri progetti d’agitazione culturale».5 Proiettare al chiuso significava in altre parole concentrare l’attenzione sui film stessi.6 In linea con tali propositi, nel 1969 si eliminarono anche serate di gala ed escursioni – che prima caratterizzavano la mondanità e la vocazione turistica del festival – e si spostò l’evento a fine settembre, quando i costi erano minori.

1971: il Festival in Piazza Grande

Il 1971 segnò un cambio di rotta. Dopo l’edizione dell’anno precedente, Bianconi e Buache furono costretti a dimettersi per attriti con opinione pubblica locale, stampa e autorità cantonali e federali a proposito delle modalità di svolgimento del Festival. L’accusa principale – dietro a cui si celavano anche altre questioni – era quella di aver dato un carattere troppo politico alla manifestazione, scoraggiando il pubblico non specialista, e spesso a scapito della qualità delle opere, provocatorie ma talvolta deludenti e immature.7

La nuova gestione, costituita da un comitato presieduto dall’avvocato Luciano Giudici, scelse quindi di tornare all’impostazione iniziale, cioè un compromesso con la proiezione di pellicole più specialistiche nelle sale cittadine e la presentazione serale all’aperto di pellicole per un pubblico allargato.8 Ciò comportava ovviamente un ambizioso progetto architettonico e urbanistico. Sul tavolo furono messe alcune proposte: svolgere il Festival allo stadio, dove già c’era una tribuna (indispensabile, secondo la logica del tempo); al Bosco Isolino; oppure al Parco della Pace, dove però non v’era riparo dalla pioggia e dove si sarebbe dovuta sostenere la spesa per una nuova tribuna.

Si scelse invece il centro cittadino, e si scelse una coppia di architetti che già stavano studiando il piano di protezione del centro storico: Luigi Snozzi e Livio Vacchini. Al tempo, il primo era troppo impegnato, e quindi lasciò l’incarico al secondo. Per Vacchini, la piazza sarebbe stata una perfetta sala cinematografica a cielo aperto, e inoltre avrebbe potuto indicare in che direzione spingere l’utilizzo dello spazio pubblico all’interno dei centri urbani. Ecco l’idea, semplice e coraggiosa: un enorme schermo (22x10 metri: il più grande d’Europa) come quinta scenica capace di orientare e ridefinire lo spazio, chiudendo la piazza verso il lago. Esso fu concepito come un traliccio di tubolari metallici, che sul retro assumeva la funzione di grande billboard pubblicitario, generando anche ulteriori proventi utili al finanziamento del Festival.

Il tempo a disposizione era poco: l’incarico fu attribuito nel maggio 1971 e il Festival si sarebbe tenuto in agosto: meno di tre mesi. Disse Vacchini: «[…] questa è stata la mia fortuna perché non hanno avuto tempo di criticare, di combattere quest’idea, come avviene sempre a Locarno. Il comitato non sapeva bene cosa pensare: qualcuno diceva che ero matto, altri mi difendevano».9

Dietro a questa soluzione progettuale si possono ovviamente trovare le influenze – dirette e indirette – di una certa cultura architettonica europea degli anni Sessanta, specie nell’utilizzo dello spazio pubblico. Si pensi al Situazionismo, alle installazioni urbane dei Radicals italiani, al Fun Palace di Cedric Price e ad alcune invenzioni degli Archigram, che immaginavano proprio quanto mise in atto Vacchini a Locarno: un’architettura desunta dall’anonimato industriale ma capace di sublimare – apparendo e scomparendo in poche ore – in sorprendente evento urbano accessibile a tutti, nella coincidenza tra tecnologia, funzione comunicativa e ludica. Indiretto ma emblematico del clima architettonico è il sincronismo tra il progetto di Vacchini e l’esito del concorso per il Centre Pompidou di Parigi, reso noto il 15 luglio 1971, vinto da Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini con un progetto in cui le facciate altro non sono che enormi tralicci da usare come maxischermi alla scala urbana.10

 Il secondo elemento del progetto, molto più piccolo, era la cabina di proiezione. Vacchini la costruì montando assieme due stampi di comuni piscine presenti sul mercato, adattati e dipinti di nero, come una noce costituita da due gusci. L’aspetto finale era quello di una piccola navicella spaziale: «Gli astronauti sono scesi sulla… luna? No, è la cabina di proiezione eretta davanti a Palazzo Marcacci in occasione del Festival internazionale del film», scrisse il «Giornale del Popolo» il giorno dell’inaugurazione.11 Anche qui si potrebbero leggere gli influssi della Space Age degli anni precedenti, e del linguaggio architettonico che essa stimolò in molti progettisti, da Archigram a Coop Himmelb(l)au ecc. La cabina, ormai arrugginita e deteriorata, fu rinnovata nel 1990, riprendendo le caratteristiche dell’originale. Più di recente, essa è stata sostituita.

La piazza venne così chiusa al traffico motorizzato per la durata del Festival, anticipando quanto poi diventerà condizione permanente, non solo a Locarno. Parte fondamentale del progetto era però anche la sistemazione libera del parterre, priva di tribune e di anfiteatri e riempita soltanto con migliaia di sedie posate in maniera libera sull’acciottolato. Spiegava Vacchini: «non parlerei di teatro all’aperto […] ma piuttosto di sala all’aperto, infatti si intende utilizzare, in piena città, l’ambiente naturale di edifici esistenti, familiari a tutti, in cui il festival trovi il suo inserimento più suggestivo. Indipendentemente dalla qualità della manifestazione, […] il festival deve ritrovare il contatto popolare, inserirsi nella vita della città».12 Lo schermo e la cabina di proiezione divennero dunque gli unici elementi fissi di un ambiente mobile.

Il progetto di Vacchini suscitò un dibattito a livello locale fin dall’inizio.13 Si criticò soprattutto la cifra preventivata di 200 mila franchi, ritenuta molto alta per una struttura provvisoria. Inoltre, c’era l’incognita del rientro economico, poiché le intemperie avrebbero potuto vanificare il preventivato incasso di Piazza Grande (in caso di pioggia gli spettacoli serali si sarebbero tenuti nelle sale del Rex, del Kursaal e del Pax).14 A queste critiche «funzionali», si accompagnava però un livello interpretativo più sottile, che riguardava la differenza critica – e diremmo ideologica – tra la proiezione su «schermo gigante» (che per qualcuno sottintendeva una fruizione più commerciale) contrapposta a quella più «intimista» della sala al chiuso.15

Alle ore 21 del 6 agosto 1971 la XXIV edizione del Festival del film fu inaugurata, battezzando lo schermo con Un’anguilla da 300 milioni, opera del regista italiano Salvatore Samperi. 

Lo schermo non era perfetto dal punto di vista tecnico. All’inizio degli anni Novanta si decise perciò di ampliarlo (il che avrebbe risolto almeno uno dei problemi), nell’ottica di una più vasta risistemazione della piazza con la consulenza dello stesso Vacchini.16 Il problema non era solo visivo, ma anche acustico: data la vastità dello spazio urbano, si presentava anche il tema della sincronizzazione di suono e immagini, che mutava di qualche frazione di secondo tra le prime e le ultime file. A quest’opera di adeguamento tecnologico delle strutture della piazza si dedicò con impegno Marco Müller, direttore del Festival dal 1991 al 2000.

Rispetto alla risistemazione di Piazza Grande (e del limitrofo largo Zorzi) in termini più estesi rispetto allo svolgimento del Festival, una riflessione significativa fu offerta nel 1989 da un concorso, che suggeriva la pedonalizzazione dello spazio urbano offrendo una nuova continuità visiva e materica. Il progetto vincitore, di Luigi Snozzi, propose una nuova pavimentazione fatta con materiali di recupero (ciottoli e lastre di granito), ma anche una più ampia visione urbanistica attuata sistemando le due testate della piazza. Esso prevedeva tra l’altro un grande podio circolare al centro della piazza, con attorno una fontana, di altezza ridotta, in modo da mantenere la continuità dello spazio segnando però il centro e offrendo un supporto per le attrezzature necessarie anche al Festival.17

Coprire Piazza Grande

Il problema di Piazza Grande era ovvio e ben noto: la pioggia. La soluzione di Vacchini si appoggiava ai portici ai margini della piazza; essi tuttavia potevano funzionare solo come riparo temporaneo e non come luogo alternativo per le proiezioni. Così, fin dall’inizio degli anni Ottanta (se non prima) aleggiò l’idea di coprire in qualche modo il grande spazio.

Fu Luigi Snozzi, intorno al 1992, a pensare all’installazione di una grande tenda funzionante come sala di proiezione, da collocare – per la durata del Festival – in largo Zorzi, cioè sull’asse che dall’imbarcadero conduce alla Piazza Grande e a poca distanza dal Cinema Locarno (Kursaal) e dal Cinema Rex. Tale progetto suscitò qualche perplessità a proposito dell’efficienza tecnica di una sala cinematografica realizzata in forma di tenda, specialmente per l’isolamento acustico e per il condizionamento dell’aria, nonché per le dimensioni: il rapporto tra larghezza e profondità fu pensato 1/4 invece del più consono 2/3. «Comunque – scrisse Rezzonico a Snozzi nel marzo 1992 – l’importante è agitare le acque e tu lo hai fatto. Te ne sono grato».18

L’idea di coprire la piazza ritornerà ancora pochi anni dopo con una proposta dell’architetto Roland Ulmi,19 il quale – membro del Comitato del Festival fin dall’inizio degli anni Ottanta – negli anni elaborerà molti progetti per la kermesse locarnese, irrealizzati ma degni di nota. Nel 1995 egli immaginò un telone mobile fissato su un’enorme struttura metallica reticolare formata da quattro piloni e due travi a traliccio inclinate di luce pari a 92 metri. Tra le altre idee per la piazza si deve infine citare una proposta di Mario Botta, sviluppata alla fine degli anni Novanta in seguito a una discussione con Marco Müller, di cui però non rimangono tracce grafiche. L’architetto pensò di installare un secondo schermo dietro quello a attuale, visibile da una grande platea coperta verso largo Zorzi.

L’ultima proposta per la copertura della piazza è stata, in ordine di tempo, quella dell’architetto Filippo Broggini (BlueOffice Architecture) insieme all’ingegner Mauro Pedretti (Airlight Ltd): sfruttando il principio della tensegrità ad aria (Tensairity), nel maggio 2001 immaginarono un sistema strutturale temporaneo, composto da tre travi ad aria longitudinali che percorrevano la piazza, composte da longheroni gonfiabili, sui quali potevano scorrere dei teloni.20

La Rotonda di piazza Castello

Date le difficoltà poste dalla copertura di Piazza Grande, alla fine degli anni Novanta si pensò di trasformare lo spazio della nuova rotonda di piazza Castello in una grande sala cinematografica, riparata dalle intemperie grazie a una struttura coperta capace di offrire spazio per uno schermo di formato uguale a quello esistente e per una platea a gradinata di almeno 9.000 posti.21 La struttura avrebbe potuto funzionare non solo per il Festival, ma anche per numerose altre manifestazioni.

Fu Roland Ulmi a presentare nell’agosto 1999 al sindaco Marco Balerna, al presidente Rezzonico e al direttore Marco Müller un simile progetto, ancora allo stadio preliminare: sfruttando quasi per intero il diametro interno della rotatoria (110 metri), l’architetto immaginava una copertura metallica appoggiata su una corona di pilastri, circondata da un riparo fonico. L’anno successivo il progetto venne sviluppato ulteriormente, definendo una struttura «a ruota di bicicletta» (cerchio in traliccio d’acciaio, mozzo in acciaio, raggi in cavi d’acciaio) rivestita da una membrana plastica eventualmente apribile nella direzione dei raggi.

Lo studio di questa soluzione procedette con il coinvolgimento ufficiale degli architetti Aurelio Galfetti e Luigi Pellegrini, e dell’ingegner Aurelio Muttoni insieme al consulente per l’immagine e il suono Patrick Boillat.22 Il team preparò un progetto che prevedeva l’erezione di un grande palo d’acciaio inclinato, alto 45 metri, a cui appendere un semicerchio metallico e dunque una tenda. Tale struttura sarebbe stata capace di accogliere 8mila posti a sedere (oltre 10mila in piedi), con uno schermo simile a quello di Piazza Grande. Il costo, a quell’epoca, era previsto intorno a 8-10 milioni di franchi. Il progetto fu però abbandonato.

Alla ricerca di una sede permanente

Tutte le proposte finora citate tentavano di eludere la costruzione di una sede fissa e coperta per il Festival. In questa prospettiva, dagli anni Settanta a oggi, furono sviluppate diverse ipotesi. Interessante è ad esempio il progetto sviluppato dagli architetti locarnesi R. Pedrazzini, C. Monti e F. Pozzi nell’ottobre 1974 per l’ampliamento del Grand Hôtel di Locarno. Sviluppato in due diverse versioni, esso immaginava la creazione di un nuovo corpo, addossato alla facciata sud dell’albergo, contenente una grande sala congressi, che presumibilmente si sarebbe potuta utilizzare anche per proiezioni cinematografiche. Negli anni successivi ci furono altre proposte di minore portata,23 Nel 1980 avvenne una piccola svolta, con l’idea di utilizzare gli spazi del ginnasio alla Morettina (battezzato Festival Center Morettina). Grazie ad alcune modifiche la palestra e l’aula magna furono in grado di ospitare circa 1.200 persone, anche se le lacune tecniche e impiantistiche emersero subito, influendo sulla qualità delle proiezioni. Nel corso degli anni Ottanta il pubblico aumentò considerevolmente. Fu perciò un colpo di fortuna l’inaugurazione nel 1988 del FEVI, palazzetto per manifestazioni sportive e ricreative 80 x 25 m progettato dall’architetto locarnese Fernando Maestretti, con cui il Festival strinse un accordo per l’utilizzo, in sostituzione della sala della Morettina, giudicata ormai inadeguata (mancanza aria condizionata, sedie scomode, visuale cattiva ecc.). Questo comportò un adeguamento delle strutture del palazzetto,24 che fu attuato – non senza attriti – anche grazie al supporto economico del municipio di Locarno.25 Con una capienza di 3.200 posti circa (una delle più grandi d’Europa) e la disponibilità di una galleria al piano superiore, un locale ristorante e servizi, il FEVI migliorava la qualità dell’accoglienza del Festival, soprattutto dopo che fu inserita una gradinata all’interno.

Nonostante ciò, anch’esso rimaneva una soluzione di ripiego, in quanto adattamento di uno spazio nato per altri scopi. E difatti, ad esempio, lo schermo si presentava inadeguato, troppo piccolo, a causa dell’altezza limitata dell’edificio. Intanto, sempre nel 1988, Piazza Grande veniva invece dotata di un sofisticato impianto di sonorizzazione Dolby-Stereo, e nel 1990 si poté utilizzare di nuovo, completamente rinnovato, il Cinema Teatro di Locarno, con 500 posti a sedere.

Data la scarsa qualità architettonica della Morettina e del FEVI, di grande importanza erano l’allestimento e la grafica. Di questi aspetti, negli anni Ottanta, si occupò per alcune edizioni l’architetto Christoph Zürcher insieme alla decoratrice Marlies Konzelmann. Solitamente, il concept prevedeva l’utilizzo dei colori istituzionali – giallo e nero – per segnaletica, tendaggi, cartelloni ecc. L’attività di Zürcher si estendeva anche alla progettazione di piccole strutture provvisorie di appoggio, più o meno riuscite.26

Da sempre, la presenza di diversi padiglioni temporanei in città durante il Festival pone il tema di una coerenza architettonica, spesso mancante, con influssi negativi sulla qualità urbana. Un tentativo per ovviare al disordine dello spazio pubblico è stato fatto nel 2007 da Michele Arnaboldi, con il progetto di un modello di padiglione temporaneo, a pianta ellittica, da ancorare a elementi naturali esistenti. Un prototipo fu costruito nel 2008 attorno a una magnolia in largo Zorzi; l’idea originale prevedeva tuttavia la loro ripetizione diffusa – un padiglione era previsto anche sul lago – per creare l’immagine di un «arcipelago» di architetture effimere.

Sempre di Arnaboldi è il progetto, in corso di lavorazione mentre questo testo viene scritto, per una nuova struttura di entrata al Festival, sul retro dello schermo di Vacchini, dove negli anni si sono succedute soluzioni diverse, spesso di bassa qualità. Rispetto alla struttura d’ingresso del 2017, costituita da un grande portale a traliccio, Arnaboldi propone una soluzione più bassa, che lasci libera la visuale sul grande schermo, quinta scenica ormai simbolo del Festival. 

Da citare sono anche le due strutture pensate nel 2017 dall’artista di origini bernesi Kerim Seiler: il Locarno Garden (un padiglione colorato, fatto di plexiglas, legno e stoffe, all’interno della città vecchia) e lo Spazio Cinema.

Tornando alle proposte per una sede permanente per il Festival, si può citare l’ennesima di Ulmi, del gennaio 1992, per una sala con 3.630 posti per Locarno, composta di una parte interrata di 60 x 47 metri (sotto Piazza Grande) e di un edificio di 6 piani di 40 x 41 metri di base. Una possibile ubicazione, secondo l’architetto, sarebbe stata in sostituzione del nuovo palazzo postale.27

Più significativo fu però il contributo dato ancora una volta da Snozzi nel 1996: egli avviò infatti una ricerca presso il Politecnico Federale di Losanna, proseguita nell’estate del 1997 con Michele Arnaboldi al IV Seminario Internazionale di progettazione di Monte Carasso. Tra gli obiettivi della ricerca c’era la scelta di un’area adeguata alla nuova sede, che infine fu individuata nei giardini del Kursaal lungo viale Zorzi, cioè tra Piazza Grande e il lungolago. I progetti sviluppati dagli studenti sono prova di una densa riflessione sul tema.28

Una proposta del 2003, studiata da Luigi Snozzi, Livio Vacchini, Eloisa Vacchini e Mauro Vanetti, immaginava invece una location molto particolare, sostenendo che Piazza Grande fosse ormai inadatta per accogliere le proiezioni. Non solo per la pioggia: anche perché «la piazza dovrebbe essere il luogo d’incontro ed il centro della vita cittadina; ma durante due interi mesi all’anno, […] questo luogo viene relegato alla pura funzione di deposito».29 Gli architetti pensarono allora a una nuova piazza, con una copertura in caso di intemperie, direttamente sul lago, nel punto dove si trova l’attuale debarcadero, in modo che sembrasse il prolungamento di largo Zorzi e dei Giardini Rusca. Spiegava Snozzi: «la nuova piazza avrebbe una struttura galleggiante che scende ad anfiteatro sotto al filo dell’acqua. Il collegamento con i Giardini Rusca, tramite un’ampia scalinata, permetterebbe di superare l’ostacolo del lungolago veicolare di Locarno».30

Palazzo del Cinema 

Con il nuovo millennio, l’idea di una sede permanente si fece più concreta. Intorno al 2006, ad esempio, si esplorò la possibilità di costruire un palazzetto del cinema a ridosso della rotonda di piazza Castello, progetto poi confluito nell’ipotesi di una torre multifunzionale alta settanta metri,31 di cui ancora oggi si parla.

Più concreta fu però l’iniziativa del Convivio Intercomunale dei Sindaci del Locarnese, che all’inizio del 2009 decise invece di istituire la Fondazione Casa del Cinema per trovare un’area adeguata allo scopo, poi individuata nell’ex palazzo scolastico della città, tra Piazza Grande e il FEVI (nello stesso edificio, qualche anno prima, si era pensato di insediare il Museo del Territorio).32 Secondo le previsioni, oltre ad ospitare la sede del Festival, l’edificio sarebbe stato convertito in un centro di competenze e formazione cinematografiche. Si pensò di inserirvi pure la sede amministrativa e l’archivio del Festival (attualmente a Bellinzona) in sinergia con la Cineteca nazionale svizzera.33

Dopo qualche rallentamento per questioni economiche e burocratiche,34 nel 2012 fu finalmente bandito un concorso internazionale per inserire il Palazzo del Cinema nell’area delle vecchie scuole. Gli 83 progetti in gara, e dietro di essi il dibattito pubblico, offrirono due visioni contrapposte a proposito di che cosa fare del vecchio edificio. Da un lato c’era chi ne sosteneva la conservazione a tutti i costi (ad esempio la STAN, Società Ticinese per l’Arte e la Natura) per preservare la memoria storica. Dall’altro invece chi caldeggiava la demolizione di un edificio considerato poco rilevante, come presupposto per un vero rinnovamento funzionale e simbolico. Il concorso, rispetto a ciò, lasciava carta bianca, e forse pure una certa ambiguità preliminare, affidando alla Giuria – anch’essa divisa su questo tema – l’ultima parola.

La maggior parte dei progetti proposero la demolizione dell’esistente e la creazione di un nuovo oggetto architettonico. Il progetto vincitore – opera dello studio AZPA Ltd di Londra (Alejandro Zaera-Polo) in collaborazione con lo studio DF-Dario Franchini di Lugano – fu invece uno dei pochi a proporre il recupero dell’edificio scolastico, mantenendone le facciate e le due ali laterali. In cima ad esso, gli architetti sovrapponevano all’esistente un nuovo piano dichiaratamente moderno (secondo il modello della Tate Modern di Londra di Herzog & de Meuron), rivestito di lamiera traforata, producendo di notte l’immagine di una lanterna luminosa.

L’edificio è stato ultimato nel 2017, chiudendo la vicenda costruttiva ma lasciando aperto il dibattito, ora alimentato anche da altre considerazioni. Secondo alcuni, le soluzioni ex novo avrebbero offerto una più stimolante varietà di spazi e migliori dotazioni, oltre che un’architettura veramente innovativa per la città di Locarno, tanto da parlare di occasione mancata. L’atrio del nuovo edificio, ad esempio, appare uno spazio molto risicato se confrontato con i foyer dei progetti ex novo. Altri criticano invece non il singolo progetto, ma il programma distributivo richiesto dal bando, fatto di tre sale distinte senza la possibilità di disporre di una vera grande sala cinematografica: ciò che si era invece inseguito in Piazza Grande, in piazza Castello, al FEVI ecc. Secondo questa prospettiva, la definizione di Palazzo del Cinema sarebbe erronea, essendo piuttosto, di fatto, un ordinario cinema commerciale multisala. Se tali critiche mettono sicuramente in luce alcune delle problematiche del progetto, l’altra campana legge invece il pragmatismo della scelta fatta dalla giuria, influenzata dalla previsione di far realizzare e poi funzionare una macchina costosa per 365 giorni all’anno e non solo per una settimana. La demolizione del vecchio edificio avrebbe di certo causato ricorsi e quindi ritardi; una sala sovradimensionata avrebbe creato problemi gestionali.

Un vero giudizio sul Palazzo del Cinema sarà forse possibile solo nei prossimi anni, quando si definirà in maniera più concreta il suo programma gestionale e culturale. Accanto a questo, anche gli altri spazi del Festival non rimangono fermi: per l’edizione 2017 è stato riaperto dopo dieci anni di chiusura lo storico cinema Rex (ribattezzato GranRex), che però rimane purtroppo sottoutilizzato per il resto dell’anno, mentre continuano – non senza dubbi – i progetti di adeguamento del FEVI. Insomma, la storia del Festival continua, insieme a quella – visibile e invisibile – delle sue architetture.

 

Note

  1. L’autore è grato a diverse persone per le informazioni fornite durante la preparazione del saggio. In particolare si ringraziano Marco Müller, Roland Ulmi, Paolo Fumagalli, Pia Ferrari (Segretariato Locarno Festival), Gianmarco Talamona (Archivio di Stato del Cantone Ticino), Michele Dedini, Gustavo Groisman.
  2. Cfr. Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco alla grande festa del cinema. Storia del Festival di Locarno 1946-1997Marsilio, Venezia 1997, p. 26.
  3. Sull’opera di Pisenti si veda: Angela Riverso Ortelli, Paolo Fumagalli (a cura di), Oreste Pisenti architetto 1908-1998, Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, Lugano 2006.
  4. Sulla storia del cinema si veda anche: Martin Schlappner, Roland Cosandey, Festival internazionale del Film Locarno, Locarno 1988.
  5. Freddy Buache, cit. in Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco, cit., p. 98.
  6. Ibidem, nota a p. 118.
  7. Sull’analisi di questo periodo si rimanda ai libri citati sulla storia del Festival.
  8. Oltre alle 17 opere di 13 paesi, in gara per il «Pardo d’oro», sarebbero state proiettati 14 film «informativi della più recente produzione mondiale».
  9. Livio Vacchini, cit. in Ezio Rocchi Balbi, Così il festival risorse sulla piazza. La folle avventura di Livio Vacchini, «Eco di Locarno», 22 agosto 1989, p. 8.
  10. Sul concorso del Centre Pompidou cfr. Nathan Silver, The Making of Beaubourg.A Building Biography of the Centre Pompidou, The MIT Press, Cambridge (Mass.) 1994; Francesco Dal Co, Centre Pompidou: Renzo Piano, Richard Rogers and the Making of a Modern Monument, Yale University Press, New Haven 2016.
  11. Cfr. «Giornale del Popolo», 6 agosto 1971.
  12. Livio Vacchini, intervistato in «Il Dovere», 26 maggio 1971.
  13. Presso l’Archivio del Festival è conservata una vasta rassegna stampa.
  14. Il progetto fu finanziato dal governo cantonale, dai Comuni interessati, dalla Pro Locarno, dalla Confederazione.
  15. Come ha notato Guglielmo Volonterio, «lo “schermo gigante” e il sottinteso cinema-spettacolo provocavano problemi di ordine selettivo, tutti da verificare in campo pratico […]. Non necessariamente, tuttavia, lo spettacolo comportava volgari motivi finanziari. È invece plausibile che la questione selettiva in ragione delle sedi di proiezione si traducesse, a rigore, in un più marcato dualismo di proposte cinematografiche (film-spettacolo e film intimisti da una parte, e film-spettacolo dall’altra) a pregiudizio del programma globale». E difatti, negli anni Ottanta il direttore David Streiff separerà le sezioni «competizione» e «programma serale» rispettivamente al chiuso e all’aperto. Cfr. Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco, cit., p. 119.
  16. Cfr. Archivio del Festival di Locarno, Bellinzona (AFL), Faldone V.52, Costruzioni Festival 90-93, Cfr. Incontro Festival-Vacchini del 10 ottobre 1990, 10 ottobre 1990.
  17. Cfr. Peter Disch, Luigi Snozzi. L’opera completa, Advertising Company & Publishing House, Lugano 1994, pp. 82-86.
  18. Lettera da Raimondo Rezzonico a Luigi Snozzi, 6 marzo 1992
  19. «Caro Raimondo, ogni promessa è debito: la mia l’ho fatta 13 anni fa, promettendo una proposta per la copertura della Piazza; da allora ho fatto passare tutte le idee immaginabili (da un sistema di funi tese su tralicci fino al pantografo che ho cominciato a pensare e a disegnare l’anno scorso), ma le ho regolarmente abbandonate, arrivando alla conclusione che la copertura della Piazza è una pazzia (o al massimo un divertimento fanta-architettonico). Così non ti ho mai fatto vedere uno straccio di schizzo. Certo che è una pazzia. Ma come faccio a non essere invaso un’altra volta da questa pazza idea di fronte a tutta quest’acqua che sta rovinando la festa?» AFL, Faldone G11 Costruzioni / V.22, Lettera da Roland Ulmi a Raimondo Rezzonico, 8 agosto 1995.
  20. L’investimento (onorari ing. + arch.) era stato stimato a Fr. 1’000’000. In seguito, Broggini e Pedretti hanno utilizzato questa tecnologia per diverse strutture, tra cui una passerella a Giubiasco, un padiglione a Ginevra ecc. Il brevetto di Pedretti (Tensairity) permetteva di creare tali leggerissimi longheroni con materiali traslucidi o trasparenti, ottimizzando la resistenza mediante pressione dell’aria (effetto della pressione per evitare lo sbandamento dell’elemento compresso).
  21. Cfr. AFL, Faldone G11 Costruzioni / V.18, Roland Ulmi, Piazza Castello. L’open air copribile accanto a P. Grande? Uno studio, 7 agosto 1999. 
  22. La realizzazione del progetto necessitava la modifica del Piano regolatore della zona di piazza Castello: in quell’area infatti era prevista una destinazione a semplice giardino pubblico.
  23. Nel maggio 1977, ad esempio, un gruppo di sei architetti di Locarno fece un progetto per una sala multiuso, da collocare nel terreno tra la vecchia darsena e la sede dei Canottieri. Pochi anni dopo venne invece sviluppato dall’architetto Cavadini uno studio per realizzare – oltre ad appartamenti – una sala multiuso sul terreno cosiddetto dell’ex Tennis. Entrambe le sale avrebbero potuto essere messe a disposizione del Festival. Cfr. AFL, Faldone G11 / V.22, Lettera di Roland Ulmi a Rezzonico, 4 aprile 1982.
  24. Cfr. AFL, Faldone G11, Proposta di interventi per trasformare il Palazzetto FEVI in una sala cinematografica, s.d., relazione dattiloscritta.
  25. Cfr. ad esempio AFL, Faldone G11 / V.38, Lettera dal Municipio della Città di Locarno a Raimondo Rezzonico, 8 giugno 1988. Cfr. anche Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco, cit., pp. 245 e sgg.
  26. In Piazza Grande, ad esempio, era necessario predisporre una zona coperta d’entrata dietro allo schermo, con servizi vari di accoglienza; alla Morettina, invece, serviva un trait d’union fra i diversi padiglioni del complesso. In questo caso, Zürcher pensò ad esempio – per l’edizione del 1984 – una tenda dalla forma organica, che – insieme ad altri interventi – mirava a migliorare anche «il carattere austero e desolante dell’ambiente, come denunciato negli anni precedenti».  Cfr. Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco, cit., p. 191.
  27. AFL, Faldone G11 Costruzioni / V.18, Lettera da Roland Ulmi a Raimondo Rezzonico, 30 gennaio 1992.
  28. La ricerca fu poi documentata in una mostra tenutasi al Museo Casorella di Locarno durante il Festival, e continuata all’Ecole d’architecture di Paris la Seine in un lavoro di diploma. Cfr. Lorenza Mazzola, Locarno città del cinema. Un palazzo per il festival, «Archi», 3, 1998, pp. 43-46. Cfr. anche Guglielmo Volonterio, Dalle suggestioni del Parco, cit., pp. 376-378.
  29. Luigi Snozzi, Relazione di progetto, 2 ottobre 2004.
  30. Ibidem.
  31. Cfr. Gustavo Groisman, Alti e bassi, una lettura critica delle vicende urbane, «Archi», 2, 2010, p. 17.
  32. Ibidem.
  33. Nel piano iniziale figuravano anche le sedi della Film Commission della Svizzera italiana e il Centro dell’Audiovisivo, con il progetto di Marco Müller di un’Officina del Nuovo Cinema e della Nuova Televisione, di un Centro di Ricerca Cinetelevisiva, di un Centro della Cultura Visiva e Digitale, di un Centro per il Restauro Digitale dei Classici del cinema del BRICS, un Laboratorio per il Cinema 3D, l’Accademia del Cinema della Svizzera italiana ecc.
  34. Un primo studio fu presentato nei primi mesi del 2010. Uno studio imprenditoriale stimava, nel luglio 2011, i costi di realizzazione della Casa del Cinema tra i 39 e i 42 milioni di franchi. Il Cantone promise 10 milioni di franchi, a condizione dell’aggregazione dei comuni che non si attuò. Il progetto quindi si arenò. Tutto rimase congelato fino all’aprile 2012, quando – anche per l’intercessione del sindaco di Locarno Carla Speziali – la Fondazione Stella Chiara decise di donare 10 milioni di franchi per la realizzazione del Palazzo del Cinema, ponendo alcuni vincoli relativi ai tempi di realizzazione e ai contenuti. In particolare, la realizzazione sarebbe dovuta iniziare (fatto salvo ricorsi o referendum) entro e non oltre il 31 ottobre 2013. Nel giugno del 2012, su incarico del Municipio di Locarno, l’architetto Gellera presentò lo studio di fattibilità Il Palazzo del Cinema di Locarno, che portò poco dopo al bando di un concorso internazionale di architettura.

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