Il Fonda­co dei Te­de­schi, Ve­ne­zia, OMA

Il restauro e il riuso di un monumento veneziano

Resoconto dell’ultima ricostruzione del Fondaco dei Tedeschi a Venezia.

Publikationsdatum
02-08-2017
Revision
09-04-2018

Resoconto dell’ultima ricostruzione del Fondaco dei Tedeschi nel corso dei quasi otto secoli della sua esistenza, il volume presenta con dovizia di particolari le vicende che hanno interessato uno degli edifici più caratteristici della Serenissima: spazio commerciale localizzato nel cosmopolita cuore rialtino – dove, come osservò Marin Sanudo (1466-1533), «non vi nasse alcuna cosa, ma di tutto se ne trova abbondantemente» – e al quale è strettamente vincolato anche dal punto di vista urbano. Gestito dal governo della Repubblica (che traeva notevoli vantaggi economici grazie alle transazioni con i mercati del nord Europa) e messo a disposizione della rilevante comunità tedesca di Venezia che nel fontego abitava e lavorava, per il suo ruolo istituzionale e politico la Teutsch Haus costituisce una testimonianza materiale di basilare importanza per comprendere la storia della città.

Il testo di apertura di Elisabetta Molteni narra con perizia storiografica le diverse trasformazioni della fabbrica: l’edificazione nel Duecento come centro di scambio mercantile regolato da una magistratura ad hoc (Venezia era riconosciuta in questo campo come l’unica intermediaria tra l’Impero germanico e il Levante); la prima ricostruzione «rapida e bellissima» dopo l’incendio verificatosi nel 1505, affidata ai proti Giorgio Spavento prima e Antonio Scarpagnino poi, a partire da una pragmatica proposta elaborata da Hyeronimus Tedesco (vengono analizzate le diverse ipotesi sull’autore del progetto – spesso attribuito a Frà Giocondo da una tradizione non fondata da certezze documentarie – e le connotazioni di un «decoro di stato», tanto eloquente quanto effimero, che affida a Giorgione e Tiziano la rappresentazione nei relativi prospetti di un programma iconologico che esprimeva i valori di Giustizia e di Pace su cui si fondava il mito della libertà veneziana, virtù particolarmente care al patriziato lagunare); sino al radicale restauro degli anni Trenta del Novecento – impegnato nel restituire al manufatto il suo «nobile aspetto originale» tramite una discutibile operazione che voleva il ripristino di una magnificenza tanto idealizzata quanto inevitabilmente scomparsa – che interviene pesantemente sulla struttura precedente, ormai inevitabilmente invecchiata, destinandola a sede postale.

Il saggio di Francesco Dal Co evidenzia inoltre i paradossi e le invenzioni di una serie di «tradizioni inventate» che hanno determinato le successive interpretazioni sulla natura dell’edificio, diventando riferimento quasi scontato per gli interventi più recenti.

Merito della sua riflessione è quello di dare una prospettiva critica per l’analisi, anche metodologica, di quanto realizzato da OMA in questo caso (episodio che assume in questo modo una chiara valenza dimostrativa per i progettisti italiani spesso chiamati a misurarsi con significative testimonianze storico-artistiche nella propria attività professionale).

L’ultima parte del libro illustra tutte le fasi della terza ricostruzione che OMA, lo studio olandese guidato da Rem Koolhaas, ha portato avanti trasformando l’edificio -– non senza polemiche e imprevisti cambiamenti di rotta da parte del committente che hanno fortemente condizionato la dimensione pubblica dell’idea iniziale – in un emporio del lusso del XXI secolo affollato di merci che, nelle parole di Karl Marx evocate da Francesco Dal Co, danzano ancora come «grilli mirabili».

Per ulteriori approfondimenti sul Fondaco dei Tedeschi si rimanda all'articolo, in lingua francese, su Tracés

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