Il Can­to­ne e la pia­ni­fi­ca­zio­ne stra­te­gi­ca a li­vel­lo co­mu­na­le

Publikationsdatum
11-12-2018
Revision
11-12-2018
Paolo Poggiati
Capo della Sezione dello sviluppo territoriale del Dipartimento del territorio

La sfida dello sviluppo centripeto di qualità

Nel 2013 popolo e Cantoni hanno votato importanti modifiche della Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT), esprimendo così l’esigenza di un mutamento qualitativo nella gestione delle trasformazioni territoriali. Mutamento che va ora integrato negli strumenti pianificatori a livello cantonale e comunale con l’obiettivo di migliorare lo sfruttamento delle zone edificabili esistenti, garantendo un’alta qualità di vita in termini di aree verdi, disegno urbanistico ed espressione architettonica, relazioni sociali, mobilità e accessibilità agevolata a servizi e strutture pubbliche o private. Il riferimento è il concetto di «sviluppo centripeto di qualità» e non quello di «densificazione», spesso associato al solo incremento degli indici di sfruttamento.

Il Consiglio di Stato, il 27 giugno 2018, ha adottato l’integrazione degli indirizzi di sviluppo centripeto qualitativo in tre schede del Piano Direttore cantonale: R1 Modello territoriale cantonale, R6 Sviluppo degli insediamenti e gestione delle zone edificabili e R10 Qualità degli insediamenti.

Per i lettori di Archi tali indirizzi possono apparire scontati. Ogni urbanista è infatti consapevole delle regole di riferimento per la trasformazione del tessuto costruito, dell’importanza di un ordine e un equilibrio tra i pieni e i vuoti, del disegno di una trama di spazi pubblici, del bisogno di un verde urbano progettato e di percorsi di mobilità lenta, attrattivi e in grado di fungere da collante tra i vari quartieri. Ogni pianificatore è pure consapevole che il dimensionamento delle zone edificabili va correlato a esigenze di sviluppo realistiche, che la densità edilizia va calibrata in funzione dei contesti e dei valori presenti nei singoli quartieri, che gli elementi patrimoniali vanno integrati in un disegno di sviluppo rispettoso dell’identità dei luoghi e che il destino di un terreno non urbanizzato a trent’anni dal suo azzonamento va probabilmente ripensato. Eppure gli indirizzi del Piano Direttore per una rinnovata politica insediativa, che riprendono tutti questi concetti, non sono per nulla scontati per molti amministratori comunali, chiamati ora non solo a comprenderli, ma a tradurli in azioni concrete.

 

Il ruolo centrale dei Piani regolatori

La legge attribuisce ai Piani regolatori (PR) e ai Comuni un ruolo centrale nel governo del territorio. I contenuti e i margini d’autonomia comunale sono dati da legislazione e giurisprudenza. Questa impostazione è una realtà della nostra organizzazione istituzionale e amministrativa di cui occorre tenere conto quando si fissano obiettivi e indirizzi di sviluppo di carattere generale.

La prima generazione di PR, nata negli anni Ottanta del secolo scorso, ha sofferto dell’assenza di un disegno complessivo di riferimento, cosa che ha contribuito alla frammentazione pianificatoria di realtà che già allora avrebbero dovuto essere guardate come un unico insieme funzionale. Negli anni Novanta si è cercato di correggere questa carenza attraverso visioni di carattere generale (il primo Piano Direttore cantonale) e approcci sovracomunali, al fine di affrontare temi che sfuggivano sempre più ai singoli Comuni (i primi Piani regionali dei trasporti). Il nuovo Piano Direttore cantonale del 2009 e i Programmi d’agglomerato (oggi alla terza generazione) hanno vieppiù integrato e costruito analisi e strategie di sviluppo a livello regionale con le quali i singoli PR sono oggi tenuti a confrontarsi. PR che, tuttavia, in molti casi non sono stati aggiornati nel loro impianto originario, se non attraverso modifiche puntuali: basti ricordare che dei PR a tutt’oggi in vigore (ca. 250, un numero che corrisponde ai Comuni prima dell’inizio delle aggregazioni) oltre la metà ha un impianto di oltre 20 anni e solo il 10% ha meno di 10 anni.

 

Un’esigenza emergente: la pianificazione strategica comunale che precede le procedure pianificatorie

I Comuni che si sono confrontati con aggregazioni importanti e quindi con la necessità di coordinare diversi PR fra loro stanno sondando la via della pianificazione strategica comunale. Si tratta di Mendrisio e Lugano con il Piano Direttore comunale e Bellinzona con il masterplan. Pur con nomi, struttura e procedure diverse, questi documenti hanno in comune l’obiettivo di creare una visione generale del futuro assetto territoriale comunale in cui le componenti tradizionali (natura e paesaggio, insediamenti e mobilità) sono coordinate fra di loro e accompagnate da riflessioni e criteri qualitativi in termini sociali ed economici. Il tutto secondo un processo creativo distaccato dalle procedure amministrative.

Anche altri Comuni più piccoli si dotano sempre più frequentemente di studi di tipo urbanistico e paesaggistico che coinvolgono il loro intero territorio come base per l’aggiornamento del loro PR o per varianti parziali. Si sta insomma delineando un bisogno di accompagnare la pianificazione territoriale tradizionale con iniziative che permettano ai Comuni di acquisire una maggiore consapevolezza nella gestione dell’evoluzione del territorio e una più grande capacità di prendere decisioni con incidenza territoriale fondate su obiettivi di qualità.

 

Il Programma d’azione comunale per lo sviluppo insediativo centripeto di qualità (PAC) 

Il Programma d’azione comunale per lo sviluppo insediativo centripeto di qualità (PAC), previsto dalla scheda R6 del Piano Direttore, vuole, da una parte, essere un progetto strategico per l’evoluzione futura degli insediamenti sul territorio comunale e, dall’altra, fornire una serie di indicazioni operative, ovvero azioni per concretizzare tale progetto.

I Comuni sono chiamati ad allestire il PAC come documento propedeutico all’aggiornamento dei loro PR. Per sostenerli in questo compito il Dipartimento del territorio ha allestito una Linea Guida che è stata presentata durante un convegno organizzato in collaborazione con Espace Suisse – Gruppo Ticino. Il 25 ottobre scorso il Consiglio di Stato ha inoltre licenziato un Messaggio all’attenzione del Parlamento, con richiesta di un credito di 4 milioni di franchi come partecipazione cantonale alle spese sostenute dagli enti locali per l’allestimento del PAC.

Consapevolmente il Cantone ha inteso che tramite il PAC i Comuni si concentrino sulla gestione degli insediamenti, tenendo conto dell’esistente e andando a coglierne le opportunità e i rischi. Il PAC non vuol essere né una revisione a 360° dell’assetto territoriale comunale, né un documento astratto e concettuale. La Linea Guida chiede ai Comuni di confrontarsi su alcuni temi e luoghi essenziali per gli insediamenti: la formazione di una rete degli spazi pubblici e delle aree verdi come sistema sul quale basare posizionamento, forma e funzione del tessuto costruito; l’individuazione di luoghi strategici dove concentrare buona parte della crescita futura in abitanti e posti di lavoro poiché ben allacciati al trasporto pubblico e dotati di funzioni e servizi che li caratterizzano come luoghi dinamici; l’individuazione di luoghi sensibili in cui frenare lo sviluppo insediativo perché delicati dal profilo paesaggistico o perché la loro edificazione sarebbe in contrasto col principio del freno alla dispersione insediativa.

Il PAC va calibrato in base alle caratteristiche territoriali, sociali ed economiche dei singoli Comuni, che in Ticino sono molto diversificate e spaziano dalle realtà più urbane degli agglomerati a quelle più rurali delle montagne, passando per i territori periurbani. Col PAC s’intende promuovere un approccio svincolato dalle norme e indirizzato a un progetto spaziale, sociale ed economico del territorio comunale, restituendo agli enti locali il senso politico più elevato del governo del territorio.

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