Dal cam­bia­men­to al­la tras­for­ma­zio­ne

Convegno sul futuro al Monte Verità

Chiunque voglia dare forma al nostro spazio di vita all’insegna della lungimiranza deve avere un’idea pre- cisa del futuro. È in quest’ottica che, per la seconda volta, la SIA ha invitato alcuni esperti a partecipare a un convegno tenutosi sul Monte Verità, sopra Locarno. Il tema? Le prospettive di sviluppo economiche, culturali e demografiche delle Alpi svizzere

Publikationsdatum
21-02-2018
Revision
21-02-2018

Matthias Horx, uno dei più noti studiosi di tendenze e futurologo del momento, scrive nella sua opera Buch des Wandels: «Per me è importante distinguere la trasformazione dal mero cambiamento. Il cambiamento indica un processo esterno che nasce da costrizioni, processi economici o tendenze tecnologiche che “si impadroniscono di noi”. Sebbene riusciamo ad adattarci a tale situazione, si tratta pur sempre di una soluzione forzata che non ci rende felici né ci fa compiere dei passi in avanti. È più interessante, invece, quando siamo noi stessi a imporci, quali attori e creatori: l’autentica trasformazione inizia laddove siamo noi a voler cambiare, in un percorso che implica libertà di scelta e maggiore consapevolezza».

La sottile distinzione che Horx opera tra il concetto di cambiamento e quello di trasformazione coglie con esattezza il fondamentale insegnamento sul futuro che ci ha trasmesso anche il convegno Alle nostre altitudini – lo spazio alpino nel 2050, tenutosi sul Monte Verità dal 25 al 26 settembre 2017. Infatti, nella pianificazione del territorio delle Alpi svizzere, l’idea di cambiamento può ancora avere una possibilità di riscatto, a condizione che divenga trasformazione, ovvero purché ponga al centro gli abitanti.

La concentrazione nelle vallate

Mario Botta ha inaugurato il convegno di due giorni con una splendida «relazione amuse-bouche». Portando ad esempio sei delle sue costruzioni, si è fatto garante di un’architettura che cerca di penetrare in maniera sistematica nel genius loci e nella cultura delle persone che vi vivono, offrendo un risultato raffinato nella composizione dello spazio e dei materiali. La finalità dell’architettura – così Botta – è di porci di fronte a uno specchio, in una reciproca e costante scoperta della nostra essenza. Le successive relazioni di Daniel Müller Jensch (Avenir Suisse) e Partrik Schnorf (Wüest-Partner) hanno affrontato il tema dei cambiamenti strutturali subiti dalle aree montane svizzere a livello economico, demografico e insediativo.

Entrambi i relatori confermano ciò che da qualche tempo ormai non si può più ignorare, ossia l’evidente tendenza alla concentrazione urbana nei capoluoghi delle vallate – un processo che va a scapito dei piccoli, e soprattutto dei piccolissimi comuni situati nelle valli laterali e nelle regioni in altitudine. Secondo Schnorf, i comuni grandi (> 2250 abitanti) e medi (1300-2250 abitanti), di solito a fondovalle, dal 1980 hanno registrato una crescita di circa il 35%. Nello stesso periodo, i villaggi e i piccoli paesi (≤ 200 abitanti) situati ad altitudini superiori si sono invece rimpiccioliti, registrando circa il 10% in meno di abitanti. Gli ultimi dubbi in merito alla concentrazione sempre più massiccia nelle vallate sono stati dissipati da Damian Jerien, responsabile dell’Ufficio per lo sviluppo del territorio del Cantone del Vallese, nonché da Richard Atzmüller che adempie la stessa carica nel Cantone dei Grigioni. Dati alla mano, i due responsabili hanno illustrato la situazione della Valle del Rodano e della Valle del Reno alpino. Le ragioni che portano a questa dinamica sono molteplici e sfaccettate. Tuttavia, secondo Müller-Jensch, la causa maggiore è l’effetto di richiamo riconducibile all’alta e sempre crescente concentrazione di imprese nei fondovalle e, dunque, alla localizzazione dei posti di lavoro.

La sfida sociale è più grande di quella tecnica

Come ben spiegato da David Bresch, professore e climatologo dell’ETH di Zurigo, anche il cambiamento climatico, nel tempo, produce degli effetti. Il ritiro dei ghiacciai ha provocato una decompressione del terreno e delle rocce sottostanti, aumentando così il rischio di frane. Può allora succedere che i paravalanghe, ad oggi ancora nel permafrost, perdano le loro solide basi, e che i faggi di molti boschi protetti soffrano per la crescente siccità. Tali fenomeni aumentano i pericoli per gli insediamenti situati più in alto, favorendo la migrazione degli abitanti. Il professor Bresch non è soltanto interessato a capire come sia possibile tutelarci al meglio dagli effetti del mutamento climatico, il suo obiettivo è anche quello di analizzare a fondo quale sia il nostro habitus di insediamento. La domanda che egli si pone è la seguente: «In futuro, in quali spazi vogliamo stare, per fare ancora quali cose?».

Thomas Vogel, ingegnere civile e professore dell’ETH di Zurigo, e Heinz Marti, ingegnere civile e presidente dell’Unione Svizzera degli Studi Consulenti d’Ingegneria (usic), si sono trovati d’accordo sul fatto che in futuro dovremo interrogarci criticamente sulla nostra attuale libertà di movimento e insediamento. A questo proposito, Marti osserva: «La sfida sociale sarà più grande di quella tecnica». Le Alpi continueranno a essere popolate da persone che vi abitano e lavorano. Pertanto, in un modo o nell’altro, le infrastrutture esistenti e le costruzioni di utilità pubblica dovranno essere mantenute funzionanti e ampliate ulteriormente. Anche qui il tentativo è di trovare delle valide strategie per fronteggiare la migrazione nei fondovalle.

Il modello top-down

Nella successiva discussione sono emersi due approcci generali, o meglio due proposte fondamentali per definire il problema e indirizzare le azioni: da un lato, il modello top-down e dall’altro quello bottom-up. Il primo discende dall’osservazione dell’intero territorio alpino che, da Vienna a Nizza, segna l’immaginario degli abitanti svizzeri, considerando anche le forti relazioni con l’Altipiano svizzero confinante a nord. La regione dell’arco lemanico è strettamente collegata al Vallese, mentre lo spazio metropolitano di Zurigo alla Svizzera centrale e al Cantone dei Grigioni. A sud invece c’è la Grande Milano, nella Pianura padana, a soli 50 km dal Ticino. In altre parole, si tratta di comprendere la dimensione e il significato che questo spazio culturale, unico nel suo genere, riveste per il nostro Paese, in tutta la sua interezza. 

Secondo Daniel Müller-Jensch i programmi d’agglomerato della Confederazione sono pilastri importanti per un intervento top-down, a favore dello sviluppo territoriale sostenibile in Svizzera. Le proposte contemplate mirano alla pianificazione coordinata di traffico, insediamenti e paesaggio negli spazi urbani. Poiché le metropoli regionali nelle vallate, per conformazione strutturale e per i loro collegamenti territoriali, alla lunga, assumerebbero la fisionomia di agglomerati, ponendo i consueti interrogativi, i programmi d’agglomerato – cosi ancora Muller-Jensch –, possono costituire un’evidente base anche per lo sviluppo futuro di cluster alpini.

Christa Hostettler, segretaria generale della Conferenza svizzera dei direttori delle pubbliche costruzioni, della pianificazione del territorio e dell’ambiente (DCPA) concorda, in linea di principio, sulla capacità dei programmi d’agglomerato di generare nelle aree interessate uno spirito cooperativo, fresco e dinamico. Un medesimo atteggiamento sarebbe altresì auspicabile nella collaborazione tra le diverse regioni alpine. Tuttavia, rispetto al passato, i programmi d’agglomerato andrebbero trasformati, aumentando il controllo sullo sviluppo infrastrutturale e insediativo. Oggi, prosegue Hostettler, si continuano a favorire, in maniera troppo unilaterale, gli obiettivi del trasporto pubblico. Il seguito della discussione ha messo in luce l’opinione degli esperti, per cui i programmi d’agglomerato dovrebbero essere concepiti assolutamente a vantaggio anche, se non in primis, dei villaggi nelle valli laterali e nelle regioni in altitudine.

L’effetto direzionale del modello bottom-up

Si passa così all’altro effetto direzionale – il modello bottom-up – che, secondo i presenti, andrebbe elaborato parallelamente al primo: «Sono sempre state le iniziative individuali a condurre alla trasformazione, mai i programmi. Anche in futuro sarà così», questa l’opinione del teologo e uomo di teatro Giovanni Netzer, fondatore di Origen Festival Cultural nel Cantone dei Grigioni. Con il procedimento sussidiario s’intende esplorare scrupolosamente il paesaggio e la cultura delle persone che vivono nelle valli laterali. A tale scopo si presterebbero, ad esempio, le sezioni alpine della SIA, seguendo l’esempio dell’impegno assunto dalla sezione dei Grigioni. Con la sua vivida testimonianza, Francesca Pedrina, architetto e vicepresidente della Federazione svizzera degli urbanisti (FSU), attiva sul territorio di Airolo, dove attualmente vive, esorta a sfruttare la posizione geografica e le peculiarità paesaggistiche, nonché a cogliere, nelle costruzioni e negli abitanti, la risorsa più preziosa.

In conclusione, occorre trovare un punto di equilibrio tra i modelli top-down e bottom-up. Solo chi sarà in grado di percorrere entrambe le strategie, facendole convergere, potrà dirsi all’altezza del quesito posto e saprà garantire uno sviluppo sostenibile e responsabile della zona alpina. Pare sia questa l’unica via per attivare un clima di disponibilità e apertura che stimoli le persone alla partecipazione; in breve, solo così si potrà passare dal cambiamento alla trasformazione.

 


Informazioni
Dopo l’incontro del 2016, il Monte Verità ha ospitato un secondo convegno.
I rappresentanti SIA e diversi esperti, provenienti da tutta la Svizzera e specializzati negli ambiti pianificazione del territorio, architettura, arte ingegneristica, protezione del paesaggio, climatologia, turismo, mediazione artistica e culturale, futurologia, sociologia ed economia, si sono riuniti per parlare del futuro.


 

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