Ar­chi­tet­tu­ra in Val Bre­ga­glia

Le opere recenti di Armando Ruinelli

«Senza provocare cesure e senza negare la contemporaneità, la nostra architettura è sobria e modesta, non vuole lasciare un segno esibito, ma diventare essa stessa fatto normale per un determinato luogo, una traccia per ciò che sarà costruito dopo».

 

Publikationsdatum
20-02-2017
Revision
20-02-2017

Delle tre valli grigionesi di lingua italiana che formano, con il Canton Ticino, la Svizzera italiana, la Bregaglia è la più attraversata e, contemporaneamente, la meno conosciuta. Dal punto di vista del paesaggio costruito, così come viene percepito dal viaggiatore in automobile, la Bregaglia offre due scenari diversi, separati dalla frontiera di Castasegna. A sud della dogana, gli antichi borghi sono anticipati da periferie un po’ disordinate, casette multicolori e piccoli capannoni prefabbricati, recinzioni e insegne. A nord della dogana, i villaggi di Castasegna, Bondo, Promontogno, Vicosoprano, Stampa e Casaccia sono compatti, austeri, monocromatici. Appena dopo la dogana di Castasegna, la stazione di servizio Agip disegnata da Peppo Brivio nel 1963, con i singolari manufatti a fungo, dichiara subito che la frontiera culturale è netta, che qui il territorio viene trattato con una colta cura. E poi c’è Soglio, che si raggiunge da Bondo, salendo tra i castagni fino a un terrazzo dal quale si gode una estesa vista sulle alte montagne innevate che dividono la Bregaglia dalla Valtellina e dalla Valmalenco. Per la sua situazione, lontana dalla strada cantonale, la maggior parte dei viaggiatori che attraversano la Bregaglia per andare in Engadina non conosce l’esistenza del villaggio medioevale di Soglio. 

Negli antichi abitati della Bregaglia non ci sono fabbricati residenziali abbandonati e degradati, né nuove casette sparse – come più spesso si registra nella parte italiana della valle – perché è diffusa e consolidata la cultura della manutenzione. Le antiche case dei villaggi, in pietra o rivestite di intonaco di colore bianco e con il tetto in piode, sono in stato dignitoso, e gli innesti moderni si distinguono per la silenziosa qualità con cui dialogano con il contesto. L’economia non è vivace ma è solida. Alla pastorizia, alla colture del castagno e della vite e alle tradizionali attività artigianali si è aggiunto un turismo di appassionati di camminate e ascensioni in montagna, culturalmente molto diverso da quello che frequenta i costosi impianti sciistici engadinesi.

La Val Bregaglia è una pausa di calma tra le sensazioni di disagio provocate dal disordine insediativo del paesaggio italiano della Valchiavenna, che occulta al viaggiatore la dura bellezza delle sue montagne, e le emozioni provocate dallo spettacolo molto celebrato dei grandi laghi e delle cime del Bernina che dominano l’altopiano dell’alta Engadina, che le ripide rampe del Maloja separano dalla Bregaglia. È  una pausa di riflessione, che invita i viaggiatori/osservatori meno frettolosi e più attenti al territorio a pensieri sui modi alternativi di costruire e vivere la montagna. 

L’architettura di Armando Ruinelli è la compiuta espressione del modo di costruire e vivere la montagna della Bregaglia. Ruinelli è un architetto autodidatta, la cui profonda cultura traspare in filigrana in ogni dettaglio dei suoi progetti. Abita e lavora a Soglio, in una condizione singolarmente urbana. La elevata densità degli edifici del villaggio gli ha fatto apprezzare la forte socialità delle relazioni umane, insieme alla parsimonia dei mezzi costruttivi ed espressivi necessari all’abitare. Una condizione simile a quella che lega il lavoro di Gion Caminada al villaggio di Vrin, ma che tuttavia differisce da quella, proprio perché i villaggi della Val Bregaglia non sono solari come Vrin, formati da abitazioni aperte verso il paesaggio, ma sono vere città in miniatura che presidiano i percorsi della valle, con le strette strade sempre all’ombra, che riparano dal vento d’inverno e dal sole d’estate. Ogni lavoro di Ruinelli differisce dal precedente, perché la sua ricerca avanza continuamente, ma soprattutto perché ha messo a punto (insieme a Fernando Giovanoli, con il quale è associato dal 2000) un approccio progettuale finalizzato all’appropriatezza della soluzione di ogni specifico tema da risolvere. È  una qualità che, anche se con un’accezione un po’ diversa, Ruinelli chiama Massstäblichkeit, ovvero misura, senso della scala, rispetto al contesto. È  un approccio che obbliga ad affrontare ogni tema – il cui contesto è sempre diverso dal precedente – rimettendo in discussione le convinzioni precedentemente accumulate, e ricorrendo ogni volta alle motivazioni fondative del progettare.

In diverse occasioni, rivolgendo la nostra attenzione alle prove architettoniche più capaci di stabilire relazioni significative con il contesto, di offrire un contributo materiale, costruttivo, all’abitare come fatto sociale, abbiamo denunciato le tendenze – dominanti sulle riviste importanti e, ancora di più, sui media online – a esibire l’architettura come forma di spettacolo ed espressione di individualismo. Le opere di Armando Ruinelli, che invitiamo i lettori di Archi a visitare, sollecitano invece riflessioni sulle ragioni per cui ha un senso esercitare questo mestiere, e invitano all’autocritica.

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